Sposati e sii sottomessa. Manuale per la donna moderna
Non vorrei essere preso per un turpe maschilista.
Magari soggetto a saltuari rigurgiti di ommismo d’altri tempi (tipo “l’omm ch’è omm addà ommà”, versione napoletana “sofisticata” del ben più rudimentale “addà puzzà”).
Ma devo confessare di essermi incuriosito di un libro, pubblicato in Italia nel 2011, ma rilanciato in questi giorni con grande rumore da Il Fatto Quotidiano per via dell’edizione spagnola che ha suscitato nel paese iberico, a differenza che da noi, un’ondata di proteste femministe a dir poco virulente.
Fino al punto che l'Arcivescovo di Granada - uno già famoso per un'affermazione a dir poco delinquenziale contro l'aborto "uccidere un bambino indifeso, per mano della sua stessa madre, dà agli uomini il diritto, senza limitazioni, di abusare del corpo della donna" (sic!) - ha pensato bene di rendere pubblico il suo pensiero in cui esalta l'opera - ritenuta addirittura "evangelizzatrice" dall'Osservatore Romano - e sfrutta l'occasione per sostenere che "solo in un terreno cristiano avrebbero potuto fiorire tutte le grandi critiche alla religione del XIX secolo - Feuerbach, Nietzsche, Comte, Freud e Marx, solo per ricordare alcune di quelle più importanti - alla Chiesa, che oltretutto è da sempre disposta a ricerverle con gratitudine nella misura in cui esse documentino un tentativo di ricerca del vero".
Io mi ricordavo una storia un po' diversa, in cui la Chiesa - a cui si devono secoli di roghi, torture e persecuzioni - è stata il grande nemico a cui resistere e poi da combattere per conquistarsi il diritto anche solo di pensare.
Ad ogni modo, il libro, scritto da una arguta giornalista italiana della RAI, Costanza Miriano, ha sollevato un discreto scalpore. Si intitola “Sposati e sii sottomessa” e il titolo già spiega in abbondanza le polemiche che sono seguite.
Non ho comprato il libro (né lo farò), ma ho letto con curiosità il blog dell’autrice, dove parla della sua fatica letteraria. E devo dire che lo stile leggero, sbarazzino, mi ha divertito per un po’. La ragazza è intelligente e colta, e si vede. Giornalista affermata, quarantenne moglie e madre di un tot di figli, non fa mistero di essere ben contenta della sua situazione di “donna sottomessa”.
E un po’ se ne vanta, fra le righe e anche sopra le righe; in fondo non è che ha scoperto l’America, ha scoperto l’acqua calda di una situazione femminile pressoché plurimillenaria.
Di sicuro pubblicare un libro così in un periodo in cui ogni due giorni una donna viene uccisa e non si sa quante brutalizzate, seviziate, stuprate perlopiù da mariti, fidanzati amanti, ex (ma lei accusa la stampa di "pompare" le notizie) può ovviamente suonare come pesantemente provocatorio (o del tutto fuori luogo).
Soprattutto da una che sarebbe favorevole anche ad abolire la festa dell'8 marzo e che ci ricorda che "l’uomo dovrebbe avere il ruolo della guida: se inizia anche lui a cambiare i pannolini o a preparare le pappe non potrà essere autorevole…".
Suo marito, tal Guido Tombari, si è risparmiato un bel po' di sederi infantili da pulire. E avrà così accumulato (gratuitamente) un tot di autorevolezza in più, si suppone, anche se non si riescono a collegare granché i due aspetti della questione.
Ma l'autrice ci avverte: “Quando parliamo - sottovoce per evitare il linciaggio - di sottomissione dobbiamo uscire dal linguaggio del mondo, che legge tutto nell’ottica del dominio, del potere". Ed entrare in un linguaggio che si fa quasi mistico "la sottomissione non viene dal deprezzamento, non la si sceglie perché si pensa di non valere"; al contrario "anche una donna che lavora, e che lo fa ad alto livello, può essere sottomessa se ascolta il marito, lo rispetta, tiene in gran conto le sue opinioni e le mette prima delle proprie".
Infine si deve ricordare che “Il nostro Re sta in croce, però così ha vinto contro l’unico nemico invincibile, la morte”.
Insomma, la sottomissione della donna è paragonata alla crocefissione del Messia. Un po’ azzardato, mi pare, e anche vagamente delirante, ma tant’è, il concetto è (quasi) chiaro.
Ed essendo una così fervente cattolica che si occupa da tempo di informazione religiosa, si lancia in interpretazioni discutibili - e discusse - del pensiero paolino (cosa che, mi è capitato di notare, sta tornando di moda ultimamente soprattutto fra le teologhe, ergo nel mondo femminile) finora noto come il tòpos emblematico della misoginia cristiana più spinta.
Il successo dell’apostolo delle genti in alcuni settori (ristretti per fortuna) del femminile non può essere altro che un prevedibile riflusso, un po’ tardo, alla forse sterile ondata femminista di alcuni decenni fa.
Tutto ciò avviene con grande entusiasmo, ovviamente, dei microfoni della Chiesa come l’Avvenire o l’Osservatore Romano. Dai riferimenti alla lettera di Paolo di Tarso agli Efesini, deriva anche il titolo del libro. E sulle parole dell’apostolo casca l’asino.
“Quando san Paolo dice alle donne di accettare di stare sotto, non pensa affatto che siano inferiori. Anzi, è al cristianesimo che dobbiamo la prima vera grande rivalutazione delle donne - ci spiega l'autrice - la sottomissione di cui parla Paolo è un regalo, libero come ogni regalo, che sennò sarebbe una tassa. È un regalo di sé spontaneo, fatto per amore”.
In realtà si possono leggere alcuni passi di Paolo (apocrifi o no, qui non ha importanza, questi sono i testi che la Chiesa ha tramandato per secoli) che non mi pare parli di "regali": “Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia" (Timoteo 2,12).
Essere salvata “partorendo figli” è la sintesi più esatta del pensiero cristiano, l’unica religione in cui la sessualità è stata considerata per millenni un atto peccaminoso di per sé, riscattabile solo dalla procreazione. La donna quindi (la “porta del diavolo” di Tertulliano) ha questa unica speranza, che è anche l’unica sua funzione: partorire, non insegnare, né tantomeno, essendo colpevole a priori, dettare legge. E nemmeno parlare: "che le donne tacciano in chiesa, perché non è permesso loro di parlare; anzi siano sottoposte, proprio come dice la Legge; e se vogliono imparare qualcosa, chiedano ai loro mariti, a casa. " (Prima lettera ai Corinzi 14.34).
In poche parole “Sottomettersi al marito e fare figli, secondo il precetto di san Paolo”, come riassume, tremebondo di entusiasmo, Camillo Langone, giornalista ultracattolico di varie testate di area berlusconiana, già famoso per aver sostenuto su Libero che togliendo i libri alle donne nasceranno finalmente più bambini.
Si potrebbe sostenere con qualche ragione che quella di Langone è un'affermazione demenziale, ma come dargli torto se lei ci delizia con frasi tipo “La mia risposta a qualsiasi problema è una a scelta tra le seguenti: ha ragione lui; sposalo; fate un figlio; obbediscigli; fate un altro figlio; trasferisciti nella sua città; perdonalo; cerca di capirlo; e infine fate un figlio”.
Insomma la felicità non sta nella faticosissima scalata al cielo, ma nel rinunciare a potere e parità. E sottomettersi a un lui tanto generico quanto indefinibile. Sarebbe comprensibile se una donna decidesse di tenere in gran conto le opinioni di un marito intelligente, arguto, colto, creativo, eccetera, ma se è solo un pirla? Un violento? O un cretino?O un delinquente? Anche a questi la donna si deve sottomettere? La signora ci lascia nel dubbio o forse nel libro scende nei particolari e distingue, chi lo sa.
Ma non lo leggerò e sconsiglio alle donne di leggerlo; per non finire magari come auspica il Langone di cui sopra: con l'abbandono dei libri, della conoscenza, della crescita culturale, della stessa identità personale e sociale per finire chiuse in casa a fare figli, come giovenche da riproduzione. Così ogni cosa andrà magicamente a posto.
Aria fritta vista da migliaia d'anni; gli ultimi a proporre in occidente una simile visione della donna mi pare che fossero nazismo e fascismo.
Tutto ciò sarebbe quindi una gag divertente, se non fosse - alla fine - una tesi così fantasiosamente paradossale. Che però apre la strada ai Langone di turno; e su questo non è opportuno ironizzare né è da sottovalutare.
Camillo Langone
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