Francia, un referendum sulla disperazione
Il premier francese François Bayrou, angosciato dal debito, ipotizza un referendum sulla prossima legge di bilancio. Circostanza che la dice lunga e cupa sulla situazione economica e soprattutto costituzionale di uno dei pilastri europei.
Intervistato ieri dal Journal du Dimanche, il premier francese François Bayrou ha espresso l’abituale profonda preoccupazione per lo stato dei conti pubblici del paese, mentre si prepara a spiegare ai concittadini come sarà la manovra di bilancio per il 2026, dopo aver fortunosamente scollinato quella del 2025 con un espediente molto classico: una bella commissione di studio tra le parti sociali per valutare di riformare la riforma delle pensioni, cioè abbassare l’età pensionabile. Cosa ovviamente non fattibile ma che gli ha permesso di sopravvivere politicamente a un voto di sfiducia, grazie alla benevola negligenza dei Socialisti. Ma la realtà torna a bussare alla porta.
Nell’intervista, Bayrou si dice letteralmente angosciato per il peso del servizio del debito:
Il solo servizio del debito – vale a dire gli interessi annuali – potrebbe raggiungere i 100 miliardi di euro. Ogni anno. È l’equivalente dei budget dell’Istruzione nazionale e della Difesa messi insieme. Si tratta di un rischio considerevole per il nostro modello sociale, per la nostra sovranità, per il nostro futuro comune. Qualsiasi esplosione dei tassi d’interesse sarebbe sufficiente a farci entrare in una crisi economica e finanziaria di portata storica.
La rinascita in lavatrice
E questo ci è chiaro da tempo. Bayrou ritiene che esistano due grandi aspetti da gestire, per fare rinascere la Francia: produzione e finanze pubbliche. Non mi è chiaro cosa il premier intenda con “produzione”, e in che ambito. Immagino quello manifatturiero, un po’ alla Trump ma ovviamente con un po’ meno patologico sciovinismo. Che, per un francese, sarebbe una svolta epocale. Ma c’è questo passaggio che penso la metta in termini di produttività:
Se avessimo, pro capite, lo stesso livello di produzione della Germania o dei Paesi Bassi, i salari sarebbero superiori del 10 o 20 per cento e lo Stato avrebbe margini di bilancio decisamente più solido. È per questo che, in quanto cittadino e in quanto capo del governo, lo dico chiaramente: non c’è altra via che quella del risveglio nazionale; un paese che si riprende in mano, con gli occhi aperti, e decide di riacquistare il proprio equilibrio.
Come si nota, siamo al confronto con i vicini. Se poi si prendesse in considerazione che nel grande vicino tedesco ci sono politici che lamentano che il paese lavora troppo poco, il cerchio si chiude. Sfortunatamente, le cose sono più complesse di così. Ma tale è la disperazione che Bayrou si lancia in un discorso francamente sconclusionato, non prima di aver mandato il messaggio ai suoi chèrs compatriotes: noi siamo la Francia, siamo dei leader dell’ingegno, nulla ci è precluso:
Per la produzione agricola, industriale e intellettuale, ciò che è affascinante è che siamo uno dei paesi più avanzati al mondo per tutto ciò che concerne la più alta esigenza tecnologica: sappiamo produrre satelliti, lanciatori spaziali, centrali nucleari, i migliori aerei del mondo, siamo notevoli in genetica, algoritmi e intelligenza artificiale. Eppure, non sappiamo produrre una lavatrice.
Per lungo tempo, non siamo riusciti a competere con i paesi dove il lavoro costava pochissimo. Tuttavia, anche se non ce ne rendiamo ancora conto, abbiamo cambiato epoca: i tempi nuovi, grazie all’intelligenza artificiale, alla robotica e alla produzione di energia decarbonizzata, ci permetteranno di competere alla pari con tutti coloro che ci hanno superato in questi mercati.
È dunque necessaria una strategia di riconquista di tutte le produzioni, una strategia offensiva in cui la produzione non è più il parente povero, ma il vanto nazionale.
Quindi, par di capire, il problema francese è quello di non produrre lavatrici? Quindi fa bene il nostro ministro del cosiddetto Made in Italy a minacciare il Golden Power sugli elettrodomestici bianchi. Ma non temete: ora, grazie all’intelligenza artificiale e alla decarbonizzazione, i francesi torneranno a produrre lavatrici! Non mi è chiaro se questa intervista sia stata rilasciato dopo un pasto innaffiato da vino rigorosamente francese ma direi che c’è da aver paura, con una classe di governo che si esprime in questi termini.
Ovviamente, il punto non è tanto quello di ricreare la “francesità” delle lavatrici e dei frigoriferi quanto avvertire i francesi che sta per approssimarsi una discreta randellata sulla spesa, perché di tasse siamo al capolinea. Almeno, così dicono i premier transalpini da qualche anno, prima di presentare manovre che tagliano la spesa aumentando le tasse. Avenue des Italiens.
La cugina dell’Imu
Dovere sapere che la Francia ha seguito una strada molto italiana riguardo la cosiddetta taxe d’habitation. Che sarebbe parente della nostra Imu nel senso che i proventi vanno ai comuni, ma ne differisce perché si applica(va) non solo al proprietario dell’immobile ma anche al locatario o all’occupante a titolo gratuito. Ebbene, nel 2023 tale imposizione è stata abolita per le residenze principali, restando in vigore solo per le seconde case e gli immobili sfitti. I comuni vengono indennizzati dallo stato per il gettito mancante. Beneficio medio per proprietario: 800 (ottocento) euro annui. La sentite, l’aria di famiglia?
Certo che la sentite. E la sentite anche quando leggete che i sindaci sono furiosi e angosciati perché con questa abolizione sono esplosi buchi di bilancio mentre il governo centrale dice che non è vero e che sono rimborsati al singolo euro. Nel frattempo, per disperazione, le municipalità hanno alzato in modo robusto la taxe foncière, che tuttavia colpisce solo i proprietari. Insomma, un caos di recriminazioni molto italico.
All’improvviso, giorni addietro, il ministro della Gestione del Territorio e del Decentramento (i politici italiani prendano nota: quelli francesi sono molto abili con le denominazioni. Del resto, il ministero della Sovranità alimentare lo hanno creato loro), François Rebsamen, ha detto che nel bilancio 2026 bisognerebbe mettere un “modesto contributo” a carico dei cittadini e a beneficio degli enti locali e dei loro servizi pubblici.
Quindi: si tagliano le imposte locali, ci si accorge che il sistema è un vero colabrodo di spesa, si invocano nuove entrate locali, risciacqua e ripeti. Ma il premier Bayrou dice che questa volta non andrà così, che la Francia non può più reggere al tassa e spendi.
Parlino gli elettori anziché gli eletti
E quindi, che si fa? Beh, dice Bayrou, si riducono gli organici pubblici “ma non alla cieca” bensì con efficacia e semplificazione. Ci aiuterà l’intelligenza artificiale! Altro grande topos della disperazione dei governanti alle prese col taglio della spesa pubblica. Certo, signor primo ministro, ma lei pensa di recuperare nel 2026 ben 40 miliardi di euro a questo modo? Beh, no, risponde Bayrou. Non voglio prendere di mira singole categorie, pensionati, pubblici dipendenti, enti locali. Quindi presenterò un piano con proposte organiche, “leggibili”, oserei dire olistiche (lo dico io, non Bayrou). E i francesi hanno da dire la loro.
In che senso, “i francesi hanno da dire la loro”? Non c’era una volta un parlamento, per votare le leggi? Bien sûr, ma qui il tema è troppo importante, dice Bayrou. Quindi, il premier potrebbe chiedere al presidente Macron di sottoporre a referendum il suo piano. In caso di voto favorevole, il testo diventa legge.
Ora, voi capite la portata epocale e dirompente di una simile iniziativa. In pratica, una legge di bilancio verrebbe sottratta al legislativo e sottoposta al volere popolare. Il referendum è previsto dall’articolo 11 della costituzione francese, che recita:
Il Presidente della Repubblica, su proposta del Governo durante la durata delle sessioni o su proposta congiunta delle due assemblee, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, può sottoporre a referendum qualsiasi progetto di legge riguardante l’organizzazione dei poteri pubblici, riforme relative alla politica economica o sociale della nazione e ai servizi pubblici che vi concorrono, o tendente ad autorizzare la ratifica di un trattato che, pur non essendo contrario alla Costituzione, avrebbe ripercussioni sul funzionamento delle istituzioni. Quando il referendum è organizzato su proposta del Governo, quest’ultimo fa, davanti a ciascuna assemblea, una dichiarazione che è seguita da un dibattito. Quando il referendum ha portato all’adozione del progetto di legge, il Presidente della Repubblica promulga la legge entro quindici giorni dalla proclamazione dei risultati della consultazione.
Crisi francese, crisi europea
Qui parliamo del cosiddetto referendum legislativo, che non mi risulta abbia quorum. Anche se Emmanuel Macron ha più volte fatto riferimento alla via referendaria per sbloccare una situazione in cui il presidente della Repubblica non ha una maggioranza parlamentare, e quindi servirebbe rimettere mano alla costituzione e uscire dalla Quinta Repubblica, qui si tratta di qualcosa di differente ma di non meno esistenziale: i conti pubblici. Certo, l’idea di sottoporre a referendum una legge di bilancio dà la misura della malattia francese, economica e costituzionale.
Occorre seguire con attenzione gli sviluppi perché il male francese è il male della “vecchia” Europa, quella dei suoi fondatori, e ha il potenziale per affondarla. Soprattutto, quando toccherà ai tedeschi prendere atto che la crisi non è dovuta solo a un eccesso di welfare che riduce le ore lavorate. Andiamo verso una strettoia molto pericolosa, per questo continente.
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