Jeffrey Sachs, l’Ucraina e la Geopolitica della Pace
Invitato dall'eurodeputato Michael von der Schulenberg del partito rossobruno di Sahra Wagenknecht ha fatto un corposo intervento all'evento "La Geopolitica della Pace" ospitato al Parlamento europeo, un noto economista e politologo americano appartenente all'ala "realista" delle analisi geopolitiche, Jeffrey Sachs che è spesso apparso nei talk-show di uno dei principali propagandisti russi, Vladimir Solovyov (uno che fra l'altro ha più volte invocato l'uso di bombe atomiche sui paesi Nato).
In questa occasione Sachs, già consigliere di Gorbaciov e di molti leader dell’Europa dell’Est, ha ripetuto le diffuse tesi sulle pressoché esclusive responsabilità occidentali nell'aver causato la guerra in Ucraina (forse per questo è stato salutato con entusiasmo dall'eurodeputato indipendente cipriota Fidias Panayiotou, famoso per aver organizzato una missione finalizzata ad abbracciare Elon Musk).
Dopo aver ascoltato Sachs si ha il dubbio che gli esperti di geopolitica (non a caso Sachs cita la Heartland Theory di Mackinder che fondò la disciplina), tutti presi dall'interesse per le trame dei potenti, "dimentichino" le reali aspirazioni dei popoli.
Gliele avevano già ricordate un paio di anni fa alcuni economisti internazionali (anche ucraini) su VoxUkraine. Allego l'articolo de Il Foglio https://www.ilfoglio.it/esteri/2023...; che l'aveva riproposta per il pubblico italiano.
Ne consiglio la lettura, è molto utile per capire quali siano le critiche al pensiero di Sachs, in particolare dove è contestata l'ipotesi che la famosa rivolta dell'Euromaidan fosse, come ha sostenuto in varie occasioni, un colpo di stato finanziato e sostenuto dalla CIA.
I suoi critici lo dicono chiaramente: «Mettiamo le cose in chiaro sugli eventi storici del 2013-2014, a cui lei accenna nelle dichiarazioni disinformate sopra citate: l’Euromaidan non ha nulla a che fare con la Nato né con gli Stati Uniti. La protesta iniziale è stata scatenata dalla decisione di Viktor Yanukovich di non firmare l’accordo di associazione Unione europea-Ucraina, nonostante l’accordo fosse stato approvato dal Parlamento ucraino con una maggioranza schiacciante e godesse di un ampio sostegno tra la popolazione ucraina. La scelta del regime di Yanukovich di rispondere picchiando brutalmente i manifestanti pacifici (per lo più studenti) nella notte del 30 novembre 2013 non ha fatto altro che allontanare ulteriormente la popolazione e intensificare le proteste. Dopo l’adozione da parte di Yanukovich di una serie di leggi che vietavano la libertà di stampa e di riunione (comunemente definite “leggi della dittatura”), nel gennaio 2014, l’Euromaidan si è trasformato in un movimento più ampio contro l’abuso di potere e la corruzione del governo, la brutalità della polizia e la violazione dei diritti umani, a cui oggi ci riferiamo definendola la Rivoluzione della dignità. L’adesione dell’Ucraina alla Nato non è mai stata un obiettivo di questo movimento. Pertanto, i suoi tentativi di ricondurre l’inizio della guerra alla Nato sono storicamente inaccurati. Inoltre, trattare l’Ucraina come una pedina sullo scacchiere geopolitico degli Stati Uniti è uno schiaffo ai milioni di ucraini che hanno rischiato la vita durante la Rivoluzione della dignità.»
Va inoltre evidenziato che Sachs nel suo lungo discorso ha "dimenticato" (ma è ovvio che uno di quello spessore non "dimentica" proprio niente, casomai oscura maliziosamente) ciò che avvenne nel 2004, dieci anni prima dell'invasione russa del 2014: il candidato filoeuropeo Juščenko fu avvelenato e quello filorusso Janukovyč vinse le elezioni. Ma i brogli furono tali che la protesta popolare (la rivoluzione arancione) indusse la Corte Suprema ad annullare il voto e a ordinare la ripetizione delle elezioni, in seguito alle quali la vittoria andò al candidato europeista Juščenko sopravvissuto al veleno.
La "dimenticanza" è meno strana di quanto si pensi visto che Sachs era stato in passato il consulente del presidente ucraino uscente Kučma, il cui delfino Viktor Janukovyč era proprio il candidato filorusso destinato a succedergli.
La volontà popolare si è ripetuta nel 2019 con il voto che ha premiato Zelensky (30% al primo turno, 75% al ballottaggio) con i partiti filorussi (ma anche l'estrema destra) ridotti a una vistosa marginalità. Il programma di Zelensky conteneva l'impegno a organizzare un referendum sull'entrata del Paese nell’Unione europea e nella NATO: un sondaggio del 2017 affermava che "circa il 69 percento degli Ucrainiani vuole l'adesione alla NATO ("The Democratic Initiatives Foundation", Reuters). E figuriamoci adesso dopo tre anni di guerra.
In sintesi, la volontà del popolo ucraino era orientata, prima dell'ultima invasione russa, verso una integrazione con l'Occidente piuttosto che con la Russia di Putin. E questo è il vero motivo dell'invasione.
Qui sta la differenza tra una lettura esclusivamente geopolitica – come quella di Sachs – che vede la Russia reagire "all'espansione a est della Nato", e quella che tiene conto invece della volontà popolare e contrasta le intromissioni russe sulle decisioni di un paese sovrano. Come se aderire a un'alleanza invece che a un'altra non fosse nelle disponibilità di un governo legittimamente eletto (proprio come, in conseguenza della guerra in Ucraina, hanno fatto i parlamenti di Svezia e Finlandia a larga maggioranza).
Della volontà popolare, espressa tramite elezioni verificate da osservatori internazionali come sono state quelle ucraine (l’Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa dispiegò per l'occasione una missione di circa 600 osservatori) non c'è traccia nelle argomentazioni di Sachs ed è davvero curioso che nell'ambito della sinistra radicale (Left, il Manifesto e qualche sito politico sono gli unici che hanno menzionato l'incontro) o del populismo a cinquestelle si dia così tanto spazio alle argomentazioni geopolitiche di Sachs anche con qualche entusiasmo di troppo visto che la Russia non è più da tempo la madrepatria del marxismo internazionale, ma la portatrice di una palese forza reazionaria che ha addirittura rispolverato i simboli dello zarismo e della fusione tra Stato e Chiesa ortodossa.
Al contrario si dà zero spazio alle aspirazioni popolari che si sono manifestate in piazza (e accusate di essere manipolazioni golpiste della CIA), ma anche nel voto. Segno (pessimo) dei tempi.
La sinistra dovrebbe essere l'ambiente, a rigor di logica, che più di ogni altro si preoccupa della volontà "dei popoli" più che del risiko fra superpotenze. E invece niente. L'unico interesse sembra essere quello di perorare le cause dell'antioccidentalismo, comunque formulate.
Un'ultima annotazione sul discorso di Sachs (e molto ripetuta dai polemisti filorussi): provate a montare delle basi russe o cinesi – ha detto – in Messico o in Canada e gli Usa scateneranno la guerra in dieci minuti. Molto probabilmente è vero, ma è appunto un ragionamento da americano. Il che non ha impedito a Cuba di rimanere castrista fino a oggi nonostante la crisi dei missili (e lì i missili russi c'erano, ma non c'è stata invasione. In Ucraina i missili americani invece non ci sono mai stati, ma di invasioni ce ne sono state già due...)
Noi invece siamo europei e ragioniamo da europei: le basi missilistiche russe per noi non sono un'ipotesi assurda. Ci sono e ci sono sempre state dietro l'angolo, a Kaliningrad la più vicina. Sapete quanto ci metterebbe un Iskander-M russo armato di testata nucleare a raggiungere Berlino? Dai 3 ai 5 minuti. E un Iskander-K o un ipersonico Zircon a raggiungere Bruxelles? 6-8 minuti. Vogliamo continuare? Varsavia è a 2-3 minuti di volo, Copenhagen a 3-4 minuti, Tallin e le altre capitali baltiche a 4-6 minuti, Stoccolma a 5-6. Helsinki, Parigi, Londra, Praga, Amsterdam poco più in là. Entro dieci minuti dal lancio tutte le maggiori capitali europee (tranne Roma, Atene, Madrid e Lisbona che sono fuori gittata) sarebbero rase al suolo. Non è quindi la domanda "cosa farebbero gli Usa se..." che può davvero interessare a un europeo, ma "cosa farebbe l'Unione europea se..."
E, certo, ci dice Sachs, non si può "provocare" la Russia.
Sinceramente possiamo capire la suscettibilità russa e la logica della "Geopolitica della Pace": trattate con i russi, fate quello che vi chiedono di fare e quello che otterrete chiamatelo pace (anche se sarà proprio quello che pretendono loro e il contrario di quello che vogliono gli altri).
Nel frattempo apprezzeremmo che i russi si preoccupassero anche della suscettibilità europea e ci togliessero quei missili da Kaliningrad. Ma, visti i tempi che corrono, l'Europa "non ha le carte" per chiedere niente. Deve perciò affrettarsi a garantirsi un'autonomia strategica anche in campo difensivo e soprattutto informatico e cibernetico. Su questo anche Sachs è d'accordo: «Non sarei contrario a un approccio che preveda che l’Europa spenda dal due al tre per cento del PIL per una struttura di sicurezza europea unificata e che investa in Europa e nella tecnologia europea».
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