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Persio Flacco

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Ultimi commenti

  • Di Persio Flacco (---.---.---.49) 17 luglio 2014 22:40

    Temo si tratti di qualcosa di molto peggiore di una costrizione psicologica che affliggerebbe la leadership sionista.

    Si consideri con attenzione il concetto espresso nel 2008 dal premier israeliano Netanyahu e accolto con una ovazione dal Congresso degli Stati Uniti:

    “Il popolo ebraico non è un occupante straniero. Noi non siamo gli inglesi in India, o i belgi in Congo. Questa è la terra dei nostri padri: nessuna distorsione della storia potrà mai smentire il legame di quattromila anni tra il popolo ebraico e la terra ebraica”.

    Non ci sono fraintendimenti possibili: Netanyahu afferma il diritto non transitorio e indiscutibile del popolo ebraico sulla terra di Israele. Che questo diritto si eserciti sulla terra i cui confini sono definiti dalle fonti storiche o su quelli descritti dalle sacre scritture non cambia né i termini né il significato dell’affermazione. Tra parentesi: l’analogia con il concetto nazista del Blut und Boden è impressionante.

    Ma si potrebbe pensare che questo concetto sia un’acquisizione recente, o che sia specifico della parte politica di Netanyahu: la destra israeliana "laica", alleata di governo della destra "religiosa" e del movimento dei coloni, non fosse per un fatto che smentisce questa ipotesi. Il fatto è che l’espansione coloniale ebraica nei Territori Occupati è preseguita inarrestabile per decenni, anche sotto i governi israeliani di centrosinistra. Chi ha provato ad interrompere la colonizzazione non ha avuto fortuna: Rabin è stato ucciso; Sharon ha avuto un ictus; Olmert è stato messo fuori gioco da uno scandalo. Chi ha promosso e sostenuto la colonizzazione: un processo le cui finalità contraddicono radicalmente la prospettiva della soluzione a due stati per ovvi motivi, era guidato dallo stesso concetto espresso da Netanyahu ed ha avuto per quasi mezzo secolo la forza e la costanza per imporla. Netanyahu non ha fatto altro che esprimerlo esplicitamente, come del resto fanno sempre più spesso gli esponenti della sua area politica.

    La via intrapresa da Israele sotto l’impulso della dirigenza sionista non è dunque un errore di prospettiva o frutto una costrizione psicologica: è un percorso conforme ad una ideologia dai caratteri ben riconoscibili, una ideologia che ha una meta definita da un assoluto, che assegna alla forza un ruolo primario, ultranazionalista, che una serie di ostacoli da superare o da abbattere e una serie di risultati da cogliere.

    Ora, se questo è vero, e non sembra vi siano elementi che contraddicano la verità di quanto scritto, risulta più chiaro il senso delle scelte fatte dal governo israeliano in questi anni e in questi giorni, e prende consistenza una ipotesi che invece riguarda il futuro.

    Nell’articolo viene giustamente stigmatizzato come pericoloso e autolesionista per Israele il corso degli eventi impresso da Netanyahu e dai suoi. Ma a sostenerlo è evidentemente una persona che non condivide la stessa visione e la stessa prospettiva di Netanyahu.
    Se la condividesse penserebbe probabilmente che è necessario fare di tutto per evitare di essere costretti al tavolo della pace, perché la pace significherebbe alienare al popolo ebraico la sovranità su Giudea e Samaria (la West Bank), e questo è impossibile. Dunque occorre rimediare al pericolo rappresentato dalla recente riunificazione di Fatah e Hamas, occorre colpire duramente Gaza per mettere Abu Mazen nella condizione di difenderla. Ma poiché nominalmente il colpi sono contro Hamas, se Abu Mazen si opponesse ai colpi risulterebbe schierato a favore dalla terrorista Hamas e dei suoi lanciatori di missili, compromettendo il duro lavoro fatto in questi anni per accreditarsi come leader moderato e affidabile. Ecco perché è stato colto il pretesto dell’assassinio dei tre ragazzi ebrei per scatenare la repressione contro la Cisgiordania: per provocare la reazione di Hamas da Gaza e giustificare l’attacco alla Striscia.

    Ma anche il contesto generale della disgregazione del Medio Oriente appare sotto una luce diversa a chi è guidato dall’ideologia del Blut und Boden e ha l’obiettivo di riportare il popolo ebraico sulla terra che gli spetta di diritto. La disgregazione della Siria e dell’Iraq non viene vista come un pericolo bensì come una opportunità per riportare altre parti della Grande Israele sotto la sovranità ebraica.
    La terra che spetta di diritto agli ebrei, secondo l’idea di Netanyahu e dei suoi affini, comprende infatti anche parti della Siria, dell’Iraq, del Libano. Se queste aree cadessero in una condizione di anarchia o nelle mani di integralisti islamici diventerebbero disponibili per Israele, che avrebbe buon agio a difendersi dalla minaccia vera o presunta occupandole. E l’indolenza statunitense ed europea nei confronti dell’avanzata dell’ISIS in Iraq: una organizzazione che sarebbe ancora possibile fermare con relativa facilità, è in questa prospettiva un vantaggio.

    Questo spiegherebbe il motivo per cui la lobby sionista di Washington ha esercitato forti pressioni per un attacco statunitense contro il regime di Bashar al-Assad, che resiste da anni ai tentativi di rovesciarlo per via indiretta. Pressioni finora vanificate dall’appoggio della Russia al regime siriano, e accolte dal governo israeliano con dispetto. Ciò ha fatto della Russia un obiettivo da abbattere o, quantomeno, da indebolire sul piano internazionale.

    Come si vede, tutto acquista un senso più definito e razionale se si considera nella giusta luce l’ideologia che guida il gruppo dirigente sionista.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.49) 16 luglio 2014 23:28

    La tua analisi, nelle sue linee di fondo, è condivisibile, però trascura di considerare alcuni elementi fondamentali della realtà contemporanea.

    L’Unione Europea, quali che siano le forze e gli interessi che hanno maggiormente concorso a crearla e che la mantengono, fino a che esiste garantisce l’assenza di guerre tra le nazioni europee. Questo è importante perché la guerra in un sistema capitalistico è il classico strumento per la resa dei conti e il riequilibrio tra centri di interesse economico contrapposti, per l’apertura di nuovi mercati, per l’azzeramento delle conquiste dei lavoratori, che impiega i lavoratori stessi come carne da cannone. In tal senso la UE rappresenta oggettivamente una difesa delle classi subalterne.

    E’ vero che l’area di libero scambio è un formidabile strumento nelle mani delle imprese per mettere in concorrenza tra loro i lavoratori e ridurre al più basso livello sia i loro diritti che i loro redditi, ma è anche vero che questo rende più facile, anzi: obbligatoria, l’unione delle forze del lavoro contro lo sfruttamento. Se il Capitale ha superato, grazie alla UE, le barriere nazionali, nulla impedisce che anche il movimento dei lavoratori lo faccia. E questo è positivo.
    In altri termini la UE rende possibile la creazione di strumenti come i sindacati europei, o i partiti politici che rappresentino i lavoratori europei, che altrimenti sarebbero stati impraticabili in una Europa divisa dalle barriere nazionali.

    Se le imprese diventano sovranazionali lo stesso dovrebbero fare sindacati e partiti dei lavoratori, e questo innalzerebbe e diffonderebbe la coscienza di classe oltre i limiti angusti ed egoistici della dimensione nazionale.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.49) 14 luglio 2014 15:56

    Va però riconosciuto che almeno Giuliano Amato ha fatto il colpaccio senza nascondersi e assumendosene per intero la responsabilità.
    Questi loffi, invece, si fanno passare per giustizieri, per quelli che puniscono i parassiti che godono di rendite improduttive sottraendo risorse all’economia.
    Come se la banca che gestisce il risparmio tenesse i soldi affidatigli chiusi in cassaforte, come se non li investisse in titoli e credito alle imprese e ai privati.
    E’ questo atteggiamento da vili e bugiardi fottipopolo che fa girare fortemente le balle.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.49) 14 luglio 2014 15:37

    Sottoscrivo interamente l’articolo.
    Quando avremo tempo potremo anche tentare di analizzare il motivo per cui i politici "incoerenti" raramente subiscono le conseguenze delle fregature che affibbiano ai cittadini con le loro balle.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.49) 13 luglio 2014 11:35

    Quella che lei propone oggi sembra una soluzione rivoluzionaria, ma in realtà è insita in un Capitalismo "sano", o almeno non troppo malato. 

    In un Capitalismo sano gran parte del valore viene prodotto dall’innovazione in senso lato, dalle idee nuove, dalle scoperte scientifiche, dall’impresa che tenta nuovi mercati e offre soluzioni che non esistevano.

    Quando l’investitore rischia il suo capitale in un’impresa innovativa, e gli fornisce i mezzi per produrre innovazione, non impiega solo i suoi soldi ma anche il coraggio nel sostenere le sue idee. In questo modo concorre a produrre ricchezza reale attraverso il progresso intellettuale e la conoscenza. Ovviamente non investe per filantropia o per amore delle idee nuove: investe per avere un profitto, per arricchirsi. Tuttavia, nel sistema, il desiderio di profitto si trasforma in innovazione e progresso.
    A patto che il desiderio di profitto si eserciti in un quadro di regole stabilite dal potere politico: responsabile ultimo del bene comune.
    Altrimenti, senza regole e controlli, il desiderio di profitto produce l’effetto "volpe nel pollaio": una volpe che riesca ad entrare nel pollaio uccide tutte le galline, anche se può mangiarne solo alcune. Il suo istinto si è sviluppato in un contesto naturale nel quale non si verifica mai che tante prede siano disponibili in un luogo dal quale non possono scappare, per questo non ha sviluppato alcuna capacità di regolazione autonoma.
    Lo stesso vale per la Finanza: i teorici dell’ultraliberismo hanno liberato la volpe nel pollaio assicurando che si sarebbe autoregolata. Si sono sbagliati: la volpe sta divorando tutto, anche il suo stesso futuro.

    Comunque, questo discorso vale per le degenerazioni del Capitalismo, non serve a risolvere il problema della crescita infinita in un contesto finito. Il Mondo è diventato troppo piccolo e fragile per lasciarlo nelle mani di un sistema governato da istinti semplici e miopi come il desiderio di potere e di ricchezza.
    Chi rappresenta l’interesse comune deve imporre delle linee di indirizzo generali all’interno delle quali il Capitalismo possa sviluppare la sua capacità innovativa senza fare danni.

    Purtroppo sarà impossibile farlo in tempo utile, non con le buone almeno. Ricordo che il Presidente Obama espresse la sua simpatia al movimento Occupy Wall Street e alle sue sacrosante richieste. Il Movimento è stato infiltrato dall’FBI, i suoi leader sono stati minacciati, le sue manifestazioni di fatto proibite. Alla faccia delle garanzie costituzionali.

    Lo stesso Obama è stato eletto dai cittadini americani sulla base di un programma politico innovativo: salvaguardia delle aree naturali, divieto delle trivellazioni offshore, investimenti pubblici nelle energie alternative, limitazione del nucleare, lotta alle lobbies, distensione nei rapporti internazionali, de-escalation negli armamenti.
    Oggi possiamo affermare con sicurezza che Obama e i cittadini americani sono stati sconfitti da un potere più forte di loro.
    Non è facile riacchiappare la volpe.

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