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Legge elettorale e democrazia

La mia prima intenzione a votare "no" al referendum del 4 dicembre scorso fu la sfiducia verso Renzi e la sua cerchia. E sarebbe stata comunque una scelta legittima poiché, come si usa dire: non si compra un'auto usata da un venditore di cui non ci si fida.

Tuttavia mi colpì la sproporzione tra il fortissimo impegno speso dai sostenitori della riforma e i suoi obiettivi dichiarati: il risparmio di qualche decina di milioni e la maggiore velocità nel legiferare (in un Paese in cui di leggi ce ne sono già troppe).
Mi chiesi se vi fossero altre ragioni per un tale dispendio di energie e questo mi spinse ad approfondire la materia, col risultato che le ragioni per votare "no" divennero travolgenti.

Lo ricordo perché le stesse ragioni che mi indussero ad un "no" convinto e circostanziato alla riforma Napolitano-Renzi-Boschi sono rimaste di assoluta rilevanza e attualità anche in relazione al dibattito di questi giorni sulla legge elettorale. 

Cerco di spiegarne i motivi articolando il ragionamento su quattro punti che pur riferendosi a principi ordinamentali della nostra architettura costituzionale non richiedono particolari tecnicismi:

1. separazione dei Poteri sovrani tra Legislativo, Esecutivo, Giudiziario
2. sovranità del Popolo nelle democrazie parlamentari
3. differenza tra Costituzione formale e costituzione materiale
4. libertà dei rappresentanti del Popolo dal vincolo di mandato

Come è noto l'architettura istituzionale delle moderne democrazie liberali si fonda sulla divisone dei poteri sovrani: Legislativo, Esecutivo, Giudiziario. Poteri indipendenti l'uno dall'altro, che si bilanciano, collaborano, interagiscono secondo modalità stabilite dalla Costituzione in modo che nessuno prevalga sull'altro e tutti assieme garantiscano la equilibrata gestione dello Stato. 
In particolare, la reciproca indipendenza tra Legislativo ed Esecutivo implica necessariamente la possibilità che questi due poteri si trovino in contrasto tra loro su particolari materie, senza che ciò comporti null'altro che un confronto dialettito e la ricerca di punti di mediazione. Come peraltro avviene normalmente negli Stati Uniti, spesso portati ad esempio come democrazia funzionante.

Nelle democrazie parlamentari l'organo che rappresenta la Sovranità popolare è il Parlamento, e ad esso compete di investire del potere Esecutivo il Governo votandogli la fiducia e di revocarglielo votando una specifica mozione di sfiducia. 

Vale la pena citare integralmente l'art.94 della Costituzione perché è di esemplare chiarezza.

- Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d'entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. -

L'intento dei Costituenti è chiarissimo: una volta ricevuta la fiducia delle due Camere il Governo assume per intero e senza condizioni il potere Esecutivo fino al termine del suo mandato. Salvo che lo stesso Parlamento non la revochi con una esplicita mozione di sfiducia votata nei modi e nei tempi stabiliti nello stesso articolo.

Per rafforzare il principio dell'indipendenza del potere Esecutivo dal Legislativo, e viceversa, il quarto comma dell'articolo 94 esclude esplicitamente che il voto contrario del Parlamento su una proposta del Governo possa giustificare le dimissioni di quest'ultimo.

E' una disposizione conseguente col principio generale della separazione dei poteri, perché è evidente che il voto contrario ad una specifica proposta del Governo non è, non può essere, equiparato ad un voto di sfiducia contro il Governo.

Se questo articolo fosse stato pienamente applicato nella forma e nella sostanza non vi sarebbero stati 63 governi in 70 anni di Repubblica. Ma questa è la Costituzione formale, la Costituzione materiale, quella derivante dalla prassi, è sostanzialmente diversa.

Nella Costituzione materiale vige il principio che il voto contrario del Parlamento su una proposta del Governo può comportare le dimissioni di quest'ultimo. Dimissioni che possono essere reclamate dai parlamentari che hanno bocciato la proposta oppure possono essere date dal Governo di sua iniziativa in risposta al voto contrario, a seconda delle convenienze politiche del momento.

Fonte di questo principio della Costituzione materiale, causa di continua instabilità dei governi e pretesto per tutte le alchimie elettorali, è l'istituto della "Questione di fiducia", inserito nei regolamenti parlamentari di Camera e Senato.

Grazie a tale artificio è stato aggirato l'art.94 della Costituzione e il Governo può ricattare il Parlamento minacciando le sue dimissioni, lo scioglimento delle Camere, il ricorso a nuove elezioni e la possibile esclusione dalle liste elettorali dei parlamentari facenti parte della maggioranza di governo che avessero votato contro la proposta.

E' del tutto evidente che nel caso di maggioranze formate da coalizioni composite e poco solide l'istituto della questione di fiducia mette in mano alle componenti minoritarie una formidabile arma di ricatto politico. Facendo venire meno la maggioranza su una proposta governativa sul quale è stata posta la fiducia possono far cadere il Governo e provocare nuove elezioni. Cosa avvenuta effettivamente piuttosto spesso in passato.

Dall'istituto della questione di fiducia, inserito nei regolamenti parlamentari ma escluso dalla Costituzione, deriva un principio secondario, anch'esso fonte di instabilità politica, secondo il quale il Governo deve avere la fiducia del Parlamento costantemente nel tempo. Cosa che oltre a comportare una ovvia incertezza nella continuità del Governo e della legislatura, nega di fatto il principio della separazione di poteri, obbligando Legislativo ed Esecutivo ad una conformità di visione che contrasta sia con la differente natura costitutiva dei due organi, con la diversità dei loro compiti, con la possibilità di istituire tra loro un confronto dialettico.
Ma soprattutto riduce il Parlamento che, ricordiamolo, è l'organo che rappresenta il Sovrano democratico, allo stesso livello del Governo.

Questo stato di cose implica effetti distorcenti anche su altri aspetti fondamentali dell'assetto istituzionale del Paese.

Uno di questi è la sovrapposizione del potere Esecutivo sul Legislativo. 
E' un fatto acclarato che negli ultimi 20-30 anni il Governo ha assunto quasi interamente la funzione legislativa. Dalle statistiche ufficiali risulta che dei provvedimenti discussi e votati in Parlamento la stragrande maggioranza sono elaborati e proposti dal Governo: non hanno origine parlamentare. L'esercizio del Potere Legislativo, di fatto, è stato avocato dal Governo e sottratto ai rappresentanti del Popolo.

E il Governo solitamente, salvo interludi "tecnici" promossi dal Capo dello Stato in particolari condizioni di necessità, è espresso dalle forze politiche di maggioranza, cioè dai Partiti. 
Ne consegue che, in sostanza, i poteri Esecutivo e Legislativo vanno a concentrarsi nelle mani dei capi dei partiti di maggioranza.
Un assetto istituzionale che in qualche modo ricorda quello dei regimi totalitari.

A loro volta i parlamentari, che secondo la Costituzione dovrebbero essere liberi dal vincolo di mandato, cioé liberi da qualsiasi condizionamento che non derivi dal loro libero convincimento, grazie a questo meccanismo sono irregimentati dalla disciplina di partito.
 
Questo è un punto di fondamentale importanza. I Costituenti hanno voluto garantire la piena libertà dei rappresentanti del Popolo, anche al prezzo di svincolarli dall'obbligo morale e politico della coerenza con gli impegni presi con i cittadini che li hanno eletti, purché non fossero posti sotto tutela da poteri esterni al Parlamento. 
La costituzione materiale invece, come abbiamo visto, va in direzione diametralmente opposta, deformando gravemente il quadro istituzionale e sottraendo ai cittadini consistenti quote di rappresentanza e di potere per attribuirle ai partiti. I quali partiti, da organizzazioni destinate a promuovere e organizzare la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, diventano veri e propri gestori del potere a scapito delle istituzioni: una funzione che non è loro propria e che contribuisce a creare uno Stato parallelo a quello costituzionalmente previsto, nel quale sono le istituzioni, e solo esse, a dover gestire la cosa pubblica.

Tutto ciò premesso è evidente che l'attuale dibattito sulla legge elettorale è affetto da un grave vizio di fondo. Non è con le alchimie elettoralistiche che si può garantire al Paese stabilità politica, democrazia, trasparenza; non è comprimendo il diritto di rappresentanza con soglie di sbarramento o deformandola con abnormi premi di maggioranza, con liste bloccate e ballottaggi, che si garantisce la salute della democrazia e la fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Tutto questo lo si garantisce solo applicando fedelmente la Costituzione e i suoi principi.

Stranamente, ma neanche tanto, di tutto questo nel dibattito sulla legge elettorale non si parla affatto. Per questo suona insopportabilmente artificioso e falso.

Commenti all'articolo

  • Di linuxfan (---.---.---.93) 10 febbraio 2017 19:27

    Vivi complimenti per l’articolo. Siamo inondati da discorsi del cazzo (le parolacce non mi piacciono ma, a volte, sono l’unica risorsa disponibile) proferiti da politici da strapazzo che magari credono pure a quello che dicono. Ogni tanto qualche voce saggia si leva, come in questo articolo, che dovrebbe essere diffuso e discusso il più possibile.

    • Di Persio Flacco (---.---.---.160) 11 febbraio 2017 08:49

      Grazie per l’apprezzamento. In realtà il contenuto di questo articolo è sostanzialmente identico a quello che pubblicai a proposito del referendum del 4 dicembre. Del resto era una scelta obbligata: volendo intervenire nel dibattito sulla legge elettorale non avrei potuto scrivere nulla di diverso. La priorità, in un caso e nell’altro, è difendere la tenuta democratica del paese dal regime partitocratico e dalle mire di dominio che vengono dall’esterno.

      Sono ancora pochi quelli che nel mondo della informazione e della politica sono disposti a riconoscere la gravità del colpo tentato con la riforma Napolitano-Renzi-Boschi, e probabilmente rimarranno pochi, perché anche solo scalfire la superficie di questa materia metterebbe in luce l’origine dell’anomalia italiana.

  • Di pv21 (---.---.---.204) 12 febbraio 2017 18:49

    PERPLESSITA’ >

    Salvo altri chiarimenti, le motivazioni espresse nella Sentenza 35/2017 della Consulta sull’Italicum non appaiono del tutto convincenti. Nel merito.


    La LISTA che primeggia con il 40% dei voti validi viene “premiata” mediante l’attribuzione di 340 seggi, cioè con il 54% del totale disponibile. Avrà quindi i NUMERI per governare il paese per ben 5 anni, decidendo in piena autonomia.

    Questo a fronte delle altre rappresentanze elette con il 60% dei voti espressi. E nulla vieta che con un 40% di astenuti detta lista di fatto rappresenti solo il 25% del corpo elettorale. (NB: analogo “effetto distorsivo” del metodo democratico già rilevato per il ballottaggio).

    Non solo.

    Ove la stessa lista si fermasse al 39,9% non avrebbe diritto a cotanto “premio” pur restando davvero arduo cogliere una sostanziale differenza nella rappresentatività della volontà popolare. Da qui le perplessità legate al giudizio che, ai fini di detto “premio”, la soglia del 40% “non è irragionevole”.


    Alternativa.

    Una SOLUZIONE ben diversa sarebbe stabilire una quota fissa e contenuta di seggi “aggiuntivi” (tipo 5-6% del totale) da attribuire alla lista più votata.

    Validerebbe la “scelta” di un certo indirizzo programmatico e ne favorirebbe la “stabilità” attuativa. SENZA tuttavia precludere la necessità di dover concretizzare ulteriori alleanze al fine di conseguire una “solida” maggioranza di governo.


    In quest’ottica ogni formazione politica in campo avrebbe il preciso interesse nonché “onere” di raccogliere il più vasto numero di consensi.

    La SOGLIA del 40% non sarebbe più l’unico presupposto, traguardo e, come tale, “vincolo” di una campagna elettorale.

    Dare spazio alla “eguaglianza del voto” è il vero argine al Consenso Surrogato di chi …

    • Di Persio Flacco (---.---.---.160) 13 febbraio 2017 16:58
      Il Parlamento è un organo che deve garantire al tempo stesso la rappresentatività democratica e l’operatività delle sue funzioni. 
      La fedele rappresentatività di un corpo elettorale frammentato trasferisce nel Parlamento la sua stessa frammentarietà, ed essendo il Parlamento un organo collegiale che delibera per lo più a maggioranza, questo va a detrimento alla sua capacità decisionale ed operativa.

      La Corte ha ritenuto legittimo alterarne entro certi limiti la rappresentatività per migliorarne l’efficienza. Io personalmente non sono d’accordo perché, a mio avviso, la parte di gran lunga più rilevante dell’attività parlamentare consiste nella produzione legislativa.

      Infatti, salvo eventi eccezionali: elezione del Presidente della Repubblica, fiducia al Governo, decreti del Governo motivati da eccezionalità e urgenza, il lavoro del Parlamento non richiede particolare rapidità, richiede, al contrario, ponderazione, confronto ampio di idee, massima rappresentatività nella produzione delle leggi.

      E’ il Governo l’organo che deve garantire prontezza decisionale, non il Parlamento. Il Parlamento deve produrre poche e buone leggi, non più e non meno di quelle che occorrono, cercando di comprendere in esse il massimo delle istanze provenienti dal Paese, in modo che siano il più possibile comprese e condivise dai cittadini. Questo lo si ottiene con il confronto politico, e il Parlamento è il luogo deputato al suo esercizio.

      Invece sembra che la Corte abbia implicitamente ceduto ad una visione incostituzionale dettata dalla prassi secondo la quale è il Governo che legifera, per lo più abusando dello strumento della decretazione, e il Parlamento deve avallare con la massima celerità le sue proposte. 

      In altri termini viene considerata dalla Corte come motivazione legittima l’esigenza di migliorare operatività del Parlamento quale "notaio" promulgatore della produzione legislativa del Governo, alla quale vale la pena sacrificare anche la sua rappresentatività.

      Che dire? Della Costituzione è rimasto ben poco. E se i suoi massimi custodi: il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale, non hanno nulla da eccepire verso il suo stravolgimento, allora siamo messi davvero male.

      Riguardo al tuo "consenso surrogato" per il momento preferisco non esprimermi.
    • Di pv21 (---.---.---.4) 14 febbraio 2017 19:11

      Messi male >

      Sembra che siano state depositate 16 “proposte” per una possibile legge elettorale.

      Pur riconoscendo la complessità della materia in esame non riesco proprio a immaginare un tale numero di “sistemi elettorali” diversificati.

      Ne desumo che tali “proposte” siano un’altra prova della dilagante frammentazione dell’aula parlamentare.

      Fenomeno che si sposa direttamente con la “moda” del leader carismatico quale calamita e forza motrice del consenso popolare.

      Non è Tutta colpa di Carosello se in politica piovono slogan e spot …

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