Nella Costa Concordia abbiamo visto di tutto. Tranne noi stessi
13 gennaio 2012, ore 21.30. La nave da crociera Costa Concordia urta uno scoglio e inizia la disgrazia. Subito si scatenano i media, ma anche dopo giorni in quelle immagini non siamo ancora riusciti a vedere l'Italia.
Schettino. Costa Concordia.
Quante volte abbiamo sentito questi nomi? Quante volte i giornali e i telegiornali li hanno strillati nelle nostre orecchie?
E anche adesso si continua, quando ormai la realtà è reality, puro gossip, preda di trasmissioni che preferisco non commentare.
Ci siamo chiesti di tutto: chi fosse Schettino, di chi fosse la colpa, se il comandante avesse abbandonato la nave sbalzato via o per andare al ristorante con una bionda; abbiamo seguito morbosamente le immagini e i video continui del naufragio, godendo e rammaricandoci di non poter andar lì a fotografare il relitto come tutti quei turisti che hanno affollato la zona domenica scorsa; abbiamo sentito fare indagini di gossip su ogni inutile particolare.
Eppure ci siamo dimenticati di fare il collegamento più semplice.
Perché in quella nave riversa su un fianco, sventrata, in quel mostro enorme dolorosamente sdraiato di fianco alla costa, c’era tutta l’Italia: un naufragio, comandanti che abbandonano le navi, passeggeri ignari, dipendenti ignoranti delle misure di salvataggio, scialuppe lanciate a caso in mare o trattenute troppo a lungo, sciacalli che vogliono l’oro lì dentro, morbosi e malati che si attaccano a quelle immagini come passatempo...
Mentre quelli che gridano «Vada a bordo, c***o» sono troppo pochi.
Ma per fortuna qualcuno c’è.
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