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Il “terzo incomodo”: il Movimento dei Paesi Non Allineati

Fa ancora comodo, oggi, continuare a parlare di “Guerra Fredda”, “bipolarismo”, “primato statunitense” (sempre se c’è stato questo “fatidico primato”), e, difatti, a distanza di tre decenni il clima non sembra essere cambiato; peccato che, d’altra parte, fa ugualmente comodo dimenticarsi dell’esistenza di un terzo blocco che esiste in realtà da ben sette decenni, ma che, puntualmente, non viene mai menzionato: è il Movimento dei Paesi Non Allineati, fondato da e su proposta di Josip Broz Tito nel 1955, alla Conferenza di Bandung, Indonesia. 

La proposta venne accolta con entusiasmo dai Presidenti di Egitto e India, rispettivamente Nasser e Nehru, nonché dagli stessi vertici indonesiani, con Sukarno Presidente.

Il Movimento si estese rapidamente fino alla Regione Africana, che, sfruttata dal colonialismo occidentale, voleva ora rivendicare il proprio ruolo libero e indipendente. 

Ad oggi, il Movimento conta ben 120 Paesi: è naturale a questo punto comprendere che “un’entità” così importante non può non venir mai menzionata ogni qual volta si parli di Geopolitica e Guerra Fredda. 

Il principale motivo per il quale escludere dal discorso questo “terzo -ed incomodo- blocco”, è, a parere di chi scrive, il fatto che, agli occhi dell’opinione pubblica, è conveniente dividere il mondo in due categorie: “amici” e “nemici”. Il Terzo Blocco era, ed è, infatti composto da Paesi neutrali ma, soprattutto, composto da Paesi che non intendono piegarsi al mainstream occidentale; un “rischio”, dunque, per l’egocentrismo dell’Occidente che non riesce a metabolizzare l’entrata in scena di altri Attori, almeno fin quando non si ravveda dal fatto che al mondo esiste anche l’Oriente (con più ampia accezione). 

Più nel dettaglio, il Movimento dei Non Allineati nasce altresì proprio con lo scopo di condannare il colonialismo, rimasto in vigore fino al dopoguerra, nonché ogni forma di movimento neo-imperialista s’infiltrasse subdolamente in territori sovrani che rifiutassero di conformarsi a quanto imposto dalle Potenze Occidentali, minando così il principio di autodeterminazione dei popoli. 

In breve, lo sviluppo autonomo e la totale indipendenza da qualsiasi corrente in grado di alterare l’equilibrio dei Paesi aderenti -molti dei quali emergenti- era l’obiettivo che Tito si era prefissato al momento della fondazione di questo “terzo blocco”.

Sebbene non venga (quasi) mai menzionato, oggi il Movimento è più vivo che mai, mosso dall’adesione e dalle motivazioni di, si ripete, ben 120 Paesi che si oppongono a qualsiasi forma di “sfruttamento” non necessariamente inteso nel senso stretto del termine, e cioè delle terre: si parla infatti di uno sfruttamento che spazia dal campo politico a quello militare, passando per quello strategico. Non a caso, i Paesi Membri condannano l’interventismo militare largamente impiegato da parte dell’Occidente con i più svariati pretesti, nonché le conseguenze che da esso derivano (vedi casi Iraq, Libia…). 

Diffondere il messaggio dell'esistenza di un blocco neutrale ed indipendente farebbe, a parere di chi scrive, perdere di prestigio ad un Occidente che, finora, si è creato una "rete di consenso" basata su aspetti superficiali e propagandistici; agli occhi dell’opinione pubblica, il “terzo blocco” apparirebbe come un’alternativa valida, pacifica e soprattutto forte (120 Membri) che oscurerebbe in un secondo il ruolo occidentalista che finora ha arrecato solo una serie di ingenti danni.

E’ da ritenere altamente opportuno -di conseguenza- dare una degna e giusta visibilità ad un Movimento impegnato nel settore politico e sociale da decenni, e che è riuscito a conquistare -senza propaganda e senza armi- non 10, non 20, ma ben 120 Paesi, così come è giusto riconoscergli l’influenza che esercita su questa parte della comunità internazionale che, seppur lentamente e gradualmente, ha deciso di non cedere di fronte alla prepotenza del mainstream.
Foto Wikimedia

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