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Intervista al ministro Andrea Riccardi: "La crisi come opportunità di crescita"

Andrea Riccardi: classe 1950, storico, accademico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, dal 16 novembre 2011 è Ministro per il governo Monti, a capo del dicastero per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione. Dal razzismo all'integrazione, dall'economia alle missioni di pace: l'intervista al ministro.

Nel mondo di oggi la parola più utilizzata è sicuramente “economia”: tutti i media, tutte le decisioni vertono intorno al mondo della finanza e della Borsa. In un’ottica come questa, dove ogni cosa deve essere finalizzata a uscire dalla crisi, risparmiando o sviluppando poco importa, c’è però un rischio concreto: dimenticare che non siamo numeri e percentuali ma persone, che non siamo investitori o risparmiatori ma umanità, che non siamo schiavi del sistema economico creato dagli stessi umani, ma esseri viventi con un passato di storia e cultura di migliaia di anni. C’è il fondato rischio di dimenticare tutto questo, di scordare chi siamo, da dove veniamo e a cosa tendiamo, per perderci in un mondo astratto di cifre e soldi.

Per questo è significativo il gesto di Mario Monti di voler istituire un Ministero totalmente nuovo, quello per la Cooperazione internazionale e l’integrazione. A capo di questo nuovo dicastero è stato chiamato Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio di Roma, una vita al servizio della pace e del contrasto al razzismo. Cattolico doc, Riccardi è anche da anni storico e docente universitario: «un laico immerso nel mondo cattolico», secondo l’efficace formula espressa da Repubblica.

L’intervista che segue è il frutto della collaborazione del ministro con gli studenti dell’istituto superiore “D’Adda” di Varallo: ai ragazzi, studenti del classico (come me) e dell’artistico, è stato chiesto di pensare a cosa avrebbero voluto chiedere al ministro Riccardi. Ho raccolto e organizzato le domande e con le risposte del ministro ne è uscita un’efficace chiacchierata sui temi più vari del nostro mondo: dall’economia al razzismo, dall’integrazione alle missioni di pace. Una conversazione con Andrea Riccardi per esplorare il senso della pace all’interno del clima di crisi che ci invade, perché, come ha detto il ministro, «la crisi è opportunità di crescita».

A novembre è diventato titolare del dicastero per la Cooperazione internazionale e l’integrazione, che non era mai esistito prima. Perché istituire questo ministero? Qualcuno potrebbe obiettare che, in epoca di crisi economica e di “tecnici”, un ministero di questo tipo non è utile; cosa risponderebbe?

«La solidarietà, l’inclusione, sono parole chiave che non a caso l’Europa ha inserito nella strategia 2020 per costruire la via di uscita dalla crisi. Anche l’economia sta imparando la lezione che non ci si salva da soli. In questo senso governare e indirizzare le politiche della cooperazione e dell’integrazione sono compiti che possono aiutare a restituire spessore etico e politico a un sistema, come quello italiano, che vuole collocarsi nel contesto europeo e internazionale con il posto che gli spetta. La crisi come opportunità di crescita, dunque. Il binomio cooperazione-integrazione suggerisce che gli interventi in tema di cooperazione allo sviluppo, per essere significativi e concreti, devono necessariamente coniugarsi con le politiche dell’integrazione, rappresentandone il complemento nei Paesi d’origine dei migranti. Così ho inteso la mia missione e in questo senso lavoro. Sono convinto che il processo di integrazione abbia inizio fin dai Paesi di origine dei migranti. Pertanto, la cooperazione con specifiche comunità all’estero, attraverso linee progettuali utili a sviluppare un dialogo continuativo, aperto all’integrazione e alla circolarità dell’immigrazione, rappresenta un modello da privilegiare e far crescere. Intere regioni (in termini di uomini e non di terra) si aggiungono al nostro Paese. In un certo senso si spostano i confini umani dell’Italia: non frontiere verso l’esterno, ma frontiere interne, che attraversano la nostra società. Non siamo più in una fase di emergenza, ma di consapevolezza. Considero uno dei miei ruoli principali, come ministro, quello di far maturare questa consapevolezza, agendo di conseguenza.»

L’immigrazione è stata a lungo un argomento al centro del dibattito politico italiano, anche a causa delle posizioni di alcuni partiti al riguardo. Come si rapporta la nostra cultura con quella degli immigrati stranieri?

«La politica ha bisogno di stabilire alcune priorità. Per quanto riguarda l’immigrazione, misure basate primariamente sulla repressione e sul contrasto difficilmente riescono a valorizzare il fenomeno dell’immigrazione come un’opportunità di crescita per l’Europa. È invece sull’integrazione che occorre investire, perché è questa, di fatto, la fase che stiamo vivendo. Per favorire questo processo è sulla mentalità che bisogna lavorare. Con molta pazienza, come ci insegna Lucien Febvre, ma con la convinzione che i cambiamenti culturali, una volta avviati, sono più forti e duraturi di qualsiasi norma. Nel frattempo, è comunque utile e doveroso apportare alcune modifiche alle regole attuali. Lo stiamo facendo, in stretta collaborazione con il ministro Cancellieri. In questa direzione vanno le proposte di allungare la durata dei permessi di soggiorno per ridurne i costi e di prolungare il periodo per la ricerca di una nuova occupazione ad almeno un anno, per evitare che l’attuale congiuntura possa frustrare, in maniera definitiva e per cause non dipendenti dal lavoratore, percorsi di integrazione già intrapresi con successo. Come ministro, ho fatto eliminare la tassa aggiuntiva del 2% sulle rimesse degli immigrati. Ed è in quest’ottica di inclusione positiva che va letta l’attenzione nei confronti di comunità “isolate” come quelle dei Rom, Sinti e Caminanti. Sui Rom ci sono pregiudizi e poca conoscenza. Per loro abbiamo preparato una “Strategia nazionale d’inclusione”, che si fonda su quattro pilastri: lavoro, salute, alloggio e istruzione. Infine, ho creduto opportuno valorizzare l’incontro tra le diverse culture e il contributo delle diverse religioni presenti nel nostro Paese inaugurando la Conferenza Permanente “Religioni, Cultura e Integrazione”, un organismo consultivo che riunisce i leader religiosi delle principali comunità straniere, insieme ad esponenti delle istituzioni, della cultura e della società civile italiana. L’idea è che le comunità religiose possano essere mediatrici di un’integrazione virtuosa: un’integrazione che non significa azzeramento del proprio patrimonio religioso e culturale, ma che comporta un’apertura alla lingua, alla cultura, ai principi e ai valori dell’Italia.» 

 

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I cartelli a Varallo

 

Sempre sul problema dell’integrazione, a Varallo all’ingresso del paese ci sono dei cartelli con dei divieti particolari: NO BURQA e NO VU CUMPRA’ recitano le scritte; intorno ci sono dei volti umani che esemplificano questi comportamenti e sono sbarrati da una croce rossa. Quanto è pericoloso barrare un essere umano? I problemi del nostro tempo, dall’economia alla spirale di violenza, non nascono forse anche da rifiuti del nostro comune essere umanità?

«Quello di cui parlate, e vi ringrazio molto per tutto ciò che fate allo scopo di contrastarlo, non è un problema di integrazione, ma di razzismo. La società italiana è percorsa da pulsioni anche violente, manifestazioni di un razzismo strisciante o esibito che talvolta alimentano circuiti di intolleranza e di pregiudizio e giungono fino all’omicidio, come a Firenze. L’acutizzarsi della crisi economica certo non giova, così come l’atomizzazione degli individui, lo spaesamento di tanti, ma soprattutto l’insufficienza di un investimento culturale di largo respiro e la preoccupante facilità con cui toni xenofobi si sono fatti largo fin tra i mass media e le istituzioni. L’ho dichiarato più volte: anche le parole contano. Figuriamoci le immagini. Tuttavia, in questo scenario a tinte fosche qualche luce si intravede. Vi faccio l’esempio della Calabria, che un paio d’anni fa ha affrontato, a Rosarno, una gravissima emergenza legata all’immigrazione, con un portato di xenofobia violenta degenerato in una vera e propria "caccia allo straniero". Ebbene, nel gennaio di quest’anno sono stato in quei luoghi e ho avuto modo di osservare come la situazione sia cambiata, grazie a porzioni di società che hanno fatto un grande lavoro di integrazione, e grazie ad un'eccellente amministrazione comunale. Lo stesso si può dire di San Salvario a Torino. Stare insieme si può. L’etnologa francese Germaine Tillon, sopravvissuta al lager, scriveva che “siamo tutti parenti, tutti differenti’. In questo momento noi italiani siamo un po’ imbambolati e con visioni a volte ristrette, i non italiani possono solo darci una scossa benefica.»

L’articolo 11 della nostra Costituzione recita “L’Italia ripudia la guerra”. E le cosiddette missioni di pace? Non pensa che possano finire per interferire anche pesantemente con lo sviluppo dei Paesi interessati, sia dal punto di vista economico sia politico?

«La cooperazione è un fondamento della politica estera di un Paese, la spia di come questo si rapporta a livello internazionale. Da un lato la cooperazione è aiuto alla stabilizzazione democratica e alla costruzione di processi di pace; dall’altro costituisce un notevole contributo alla nostra stessa sicurezza. Prendiamo il mondo arabo, dove sta avvenendo un processo che guardiamo con interesse, con simpatia e anche con preoccupazione. La “Primavera araba” è stata una grande sorpresa della storia. Si tratta di un fenomeno molto interessante del quale non conosciamo l'esito, ma che ci sta già toccando, con l’arrivo nel nostro Paese di molti profughi. Le sorti del Mediterraneo si giocheranno in gran parte proprio sulla sponda Sud e noi come Unione Europea non dobbiamo essere assenti, per diversi motivi. Esiste una “frontiera italiana”, una nuova collocazione geopolitica per la nostra nazione, un’opportunità che la storia ci offre con la “Primavera araba”, le cui conseguenze vanno ben oltre il Medio Oriente. Siamo al centro di cambiamenti che non si arresteranno. Per l’Italia potrebbe essere una grande chance. L’Italia è vicina ed ha una lunga esperienza di democrazia da condividere con chi la democrazia la sta conoscendo per la prima volta. Sulle rive del nostro mare e nel continente africano si sono affacciate in maniera cospicua potenze emergenti. Davanti a questa situazione, l’interesse nazionale dell’Italia è di contribuire alla nascita della democrazia e allo sviluppo a cui deve essere associata. Abbiamo la cultura e il savoir faire necessari per accompagnare e difendere il nuovo protagonismo di società che cercano il loro posto nella storia. Il nostro sistema politico e la società civile italiana ed europea sono all’altezza della situazione: occorre dunque una politica di cooperazione che sostenga queste nuove realtà e sappia dar loro l’impulso necessario. L'Islam si trova davanti ad una grande sfida: la costruzione della democrazia. La democrazia è la base necessaria su cui costruire lo sviluppo. Il successo della nostra cooperazione con questi Paesi si misura in gran parte con la capacità dell’Europa di garantire la loro transizione democratica in tempi di pace. E’ (anche) nostro interesse favorire l’evoluzione dell’Islam verso la democrazia e difendere il ruolo decisivo delle minoranze religiose, come quelle cristiane in Medio Oriente, che sono un’importante premessa di democrazia. Il Mediterraneo può tornare a rappresentare quel luogo d’intreccio di opportunità (culturali e civili) che ha saputo essere in passato, non solo un serbatoio di immigrazione. Ma per ottenere questo dobbiamo cooperare nel senso più profondo del termine, sostenendo il vivere civile in società ancora squilibrate, e non lasciando solo un popolo come quello siriano. La comunità internazionale non deve dimenticare la Siria. Il mondo arabo, l'Unione Europea e l'Onu hanno una responsabilità e ci sono molte ipotesi in questo senso, ma non è con metodi violenti che si esce dalla crisi.»


Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.39) 12 giugno 2012 21:02

    Grazie Maria Rosa.
    Se anche il ministro Riccardi ritiene che i cartelli anti burqa sono una manifetstazione di "razzismo", mi chiedo come non si possa imporre al comune di Varallo di toglierli.
    Proprio oggi, sulla Stampa, c’era una notizia confortante.
    Una donna egiziana a Chivasso, che era stata denunciata da un cittadino (un cittadino?) perchè camminava per strada col burqa. La sua posizione è stata archiviata procuratore aggiunto Paolo Borgna, il quale ha dato atto che "la signora...indossa il burqa in ossequio ai suoi principi religiosi, rispettati dall’art. 8 della Costituzione italiana" e che l’art. 19 riconosce e protegge il diritto per chiunque di manifestare "in qualsiasi forma" fede e appartenenza religiosa.
    Ciao. Giuseppe

  • Di Piero Canzoniero (---.---.---.208) 13 giugno 2012 00:59

    complimenti a te Andrea che te la cavi alla grande ed altrettanto anche ai tuoi colleghi di scuola per l’ottimo contributo. Inoltre quest’intervista dimostra concretamente come i ragazzi possano ampiamente tenere un colloquio costruttivo e critico con le classi dirigenti di questo paese. Al di là della retorica tecnica delle risposte, le domande invece individuano dei punti molto importanti delle politiche degli ultimi mesi. Addirittura impietoso il confronto con molti giornalisti professionisti che in questo momento complicato non sanno né porre le giuste domande né comporre un’analisi in prospettiva.

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