Mobilitazione nelle Università contro il bando Maeci e la complicità con Israele
Da due mesi nelle università di tutta Italia le studentesse e gli studenti, ma anche il corpo accademico, dalla docenza alla ricerca, nonché lavoratrici e lavoratori delle utenze degli atenei, stanno protestando contro il genocidio in corso in Palestina.
di Milos Skakal (*)
Il primo riguarda la collaborazione scientifica tra gli atenei italiani e quelli israeliani inquadrata all’interno dell’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica Italia-Israele stipulato per le rispettive parti dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) e dal Ministero dell’Innovazione, scienza e tecnologia (Most).
Il bando offriva ai progetti vincitori finanziamenti di ricerca in campi come le tecnologie del suolo, il trattamento delle acque, le ottiche di precisione e le tecnologie quantistiche, come i nuovi misuratori di onde gravitazionali.
La questione evidenziata dalle proteste universitarie è che i risultati che emergono da questi progetti sono per molti campi dual use, ovvero applicabili sia in contesti civili che militari. In questo modo, le università italiane si troverebbe in diretta linea di responsabilità nella realizzazione di nuove tecnologie belliche utilizzate nel contesto del genocidio in Palestina.
La seconda rivendicazione è invece legata ai rapporti che alcune rettrici e alcuni rettori hanno con il comitato scientifico della Fondazione Med-Or, nata, come si legge sul sito «per iniziativa di Leonardo Spa nella primavera del 2021 con l’obiettivo di promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica, al fine di rafforzare i legami, gli scambi e i rapporti internazionali tra l’Italia e i Paesi dell’area del Mediterraneo allargato fino al Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso (“Med”) e del Medio ed Estremo Oriente (“Or”)».
Leonardo, si ricorda, è una delle principali aziende belliche italiane e intrattiene rapporti commerciali correnti con Israele.
La terza richiesta riguarda più in generale di interrompere i rapporti e i finanziamenti tra le università e le aziende italiane fortemente coinvolte con lo Stato israeliano, come per esempio l’Eni, che si avvia a sfruttare i giacimenti di gas a largo della costa di Gaza, oppure la stessa Leonardo che vende armamenti all’esercito israeliano.
Anche se queste rivendicazioni non costituiscono una piattaforma omogenea e condivisa tra le varie mobilitazione che sono avvenute in queste settimane, le parole d’ordine sono quasi sempre le stesse. Ma facciamo un po’ di genealogia.
Le proteste studentesche e del mondo della ricerca
L’attenzione intorno alle mobilitazioni studentesche in solidarietà con la Palestina è emersa già il 23 febbraio, quando la celere ha manganellato a Pisa un corteo di un centinaio di studentesse e studenti universitarie e liceali che voleva raggiungere piazza dei Cavalieri. L’evento ha scatenato un’ondata di proteste e di indignazione per la gestione violenta e muscolare della celere. Anche il Presidente della Repubblica Matterella ha espresso preoccupazione per il comportamento dei poliziotti. In risposta alle cariche, il 2 marzo è stata convocata una manifestazione cittadina, che ha contato circa 6mila persone.
A Roma, il 5 marzo, un corteo interno all’Università La Sapienza ha protestato contro la partecipazione dell’ateneo al bando Maeci e ha chiesto alla rettrice Polimeni di dimettersi dal board scientifico della Fondazione Med-Or. La manifestazione si è svolta mentre all’interno del rettorato si teneva il Senato accademico, che ha rifiutato di ascoltare una delegazione di studentesse e studenti.
Poche settimane dopo, il 19 marzo, il Senato accademico dell’Università di Torino ha deliberato che non rinnoverà il bando del Maeci. In particolare l’ateneo ha sottolineato l’interruzione di nuove ricerche nel settore elettronico “dual use”. La decisione del Senato accademico è stata preceduta da un’azione della componente studentesca, che ha aperto uno striscione nell’aula dove si teneva la riunione.
Il giorno dopo, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, gli studenti dell’Università di Bologna hanno protestato per chiedere lo stop agli accordi tra l’ateneo e le università israeliane, oltre a richiedere il cessate il fuoco a Gaza.
Il corteo è stato represso con cariche della polizia. In contemporanea, è stato permesso a due studentesse di intervenire durante la seduta istituzionale. Mentre una di loro parlava, il rettore l’ha interrotta togliendole il microfono.
All’Università La Sapienza a Roma, il 25 e il 26 marzo le studentesse e gli studenti hanno occupato il rettorato e impedito così che si potesse svolgere in quei luoghi il Senato accademico, il quale ha continuato a ignorare le proteste.
Sempre il 26 marzo la Scuola Normale superiore di Pisa ha approvato un documento che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza e ha preso piede un dibattito interno per riconsiderare le collaborazioni scientifiche applicabili anche in campo militare con le università israeliane.
L’8 aprile le studentesse e gli studenti dell’Università di Napoli Federico II hanno occupato il rettorato del loro ateneo per protestare contro la collaborazione scientifica con le università israeliane. Lo stesso giorno, nel pomeriggio, un corteo si è mosso verso il teatro San Carlo per protestare contro la celebrazione del 75esimo anniversario nella Nato e per la pace in Palestina. Anche in questa occasione si sono verificate cariche da parte delle forze dell’ordine.
Il 9 aprile, il Senato accademico dell’Università di Bari si è convocata per parlare unicamente della partecipazione al bando Maeci. Nessun docente ha partecipato al bando, mentre il rettore ha sottolineato l’importanza di una ricerca libera e collaborativa con gli atenei di tutto il mondo, ispirandosi al principio di pace sancito dall’articolo 11 della Carta. Inoltre il rettore si è dimesso anche dal comitato scientifico della Fondazione Med-Or a seguito delle richieste delle studentesse e degli studenti.
In questi ultimi giorni all’Università La Sapienza a Roma si sono svolte nuove mobilitazioni. In particolare martedì 16 aprile, dopo un corteo che in mattinata ha chiesto di nuovo al Senato accademico di prendere posizione sulle stragi che avvengono in Palestina, nel pomeriggio per quattro volte le studentesse e gli studenti sono stati manganellati dalla polizia mentre provavano a uscire in corteo dall’università. Alla fine della giornata risulteranno due persone arrestate.
La componente studentesca delle università sta in prima fila nelle proteste per il cessate il fuoco a Gaza e per la pace in Palestina, ma non bisogna dimenticare che si sono mobilitate anche ricercatrici e ricercatori.
Al momento le mobilitazioni universitarie in solidarietà con il popolo palestinese hanno ottenuto un riconoscimento dalla loro controparte accademica, sia negli atenei dove hanno effettivamente conseguito dei risultati concreti, come a Torino o a Bari, sia in quelli dove invece le risposte sono state negative.
La Sapienza, nonostante abbia alla fine votato una delibera che condannava le violenze in Palestina senza parlare mai delle responsabilità dello Stato israeliano e del suo esercito, ha risposto direttamente alle studentesse, agli studenti, al corpo docente e alle ricercatrici e i ricercatori in mobilitazione per la Palestina, considerandoli un soggetto con cui dover interloquire.
Le risposte e le responsabilità delle istituzioni
Ma la risposta delle istituzioni, anche ai più alti livelli, sembra voler fermare questa mobilitazione in modo chiaro. Proprio questa settimana la Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), per bocca della sua presidente Giovanna Iannantuoni, ha ribadito che «non c’è nessun boicottaggio da parte degli atenei italiani nei rapporti scientifici esistenti con le università israeliane». Inoltre, anche la ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini si è più volte espressa contro le richieste di sospensione degli accordi tra atenei italiani e israeliani.
A tal proposito, nella lettera aperta dello scorso 8 aprile, docenti, ricercatrici e ricercatori contro il bando Maeci, sostengono che “la questione della collaborazione universitaria con istituzioni di ricerca implicate nella sistematica violazione di diritti umani, sociali e civili – come lo sono le università e i centri di ricerca israeliani – dovrebbe sempre accompagnare la nostra professione. Ad oggi, non esiste alcuna istituzione israeliana che si sia dissociata dalla linea governativa e non abbia sostenuto la continuazione dell’attacco militare contro Gaza. Le colleghe e i colleghi che hanno osato dissentire sono state prontamente punite dalle loro istituzioni con sospensioni, licenziamenti e, nel caso della collega Shalhoub-Kevorkian della Hebrew University, come è ormai noto, persino con la detenzione temporanea e la confisca temporanea del passaporto.”
La richiesta di sospendere il bando del MAECI, si affianca anche alla denuncia delle “altre collaborazioni con istituzioni israeliane, ben più lucrose, che esistono nel contesto dei bandi Horizon Europe e dei consorzi tra i politecnici e le facoltà scientifiche. Il ruolo di istituti di ricerca come il Technion, per citare un caso famoso, nella produzione e sperimentazione di armi d’avanguardia è ben noto, e altrettanto nota è l’attenzione riservata a questo istituto dall’Italia. Molti altri esempi della sistematica complicità del sistema universitario e di ricerca isareliano con le violazioni dei diritti umani dei palestinesi li abbiamo riportati nella nostra risposta alla Ministra Bernini, pubblicata sull’Huffington Post nel marzo del 2024”.
Ricercatori e ricercatrici fanno anche riferimento alla lunga inchiesta pubblicata sulle testate giornalistiche +972 e Local Call, ripresa in Italia dal quotidiano Il Manifesto, sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’industria bellica israeliana, in cui viene mostrato come questa sia la causa “tecnica” di un numero di vittime così elevato a Gaza oggi.
Per questo, nella lettera viene sottolineato come il “sistema bellico Lavender, generato e operativizzato dall’intelligenza artificiale, sia stato presentato presso l’Università di Tel Aviv durante le giornate dedicate all’intelligenza artificiale, organizzate nel 2023 dall’ateneo stesso, e come a presentarlo sia stato invitato il comandante del centro segreto di Scienza dei Dati e AI dell’Unità 8200 dell’esercito israeliano, il colonnello Yoav, come anche riportato dal quotidiano israeliano Haaretz. La normalizzazione da parte dell’Università di Tel Aviv del sistema Lavender e dei software a questo correlati e del loro modo di operare è un altro esempio della interconnessione sistemica tra gli atenei e l’esercito israeliani. L’estensione di tale interconnessione, tuttavia, va oltre Gaza e il plausibile genocidio in corso”.
Nella lettera aperta i docenti concludono: “Di fronte al plausibile genocidio in corso a Gaza ma anche di fronte a Frontex o agli enormi interessi di Leonardo, che sono investiti nell’industria bellica israeliana e che determinano il sostegno del nostro governo a regimi dittatoriali come quello egiziano – sostegno che rende ipocrita la retorica governativa sui diritti umani e sugli sforzi per assicurare alla giustizia gli assassini di Giulio Regeni – pensiamo che non si possa fare altro che opporsi”.
Immagine di copertina di Comitato Sapienza Palestina.
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