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L’indifferenza araba rispetto all’Olocausto

Ieri 27 gennaio si commemorava la fine della Shoah, ma non abbiamo ancora disimparato a guardare l'Altro con diffidenza. Una critica ad un articolo di Antonio Ferrari di CorriereTv.

Antonio Ferrari ci ricordava la ricorrenza della Giornata della Memoria, l'anniversario dell'apertura dei cancelli di Auschwitz che ha, almeno simbolicamente, messo fine alla Shoah, cioè alla persecuzione e allo sterminio del popolo ebraico. Tuttavia la Giornata della Memoria ha assunto un significato molto più globale. Come sappiamo, già solo per fare un esempio, l'Arcigay commemora gli omosessuali vittime delle persecuzioni che avevano come fine non solo la distruzione di un popolo, ma l'epurazione di qualunque elemento contaminante che potesse indebolire la razza ariana.

Sono stati risucchiati in questo vortice di persecuzione e soppressione del diverso, infatti, ebrei, zingari, omosessuali, malati di mente, portatori di handicap, oppositori politici, anche religiosi, persone invise al regime, nemici di guerra. E' vero, quindi, che tecnicamente il Giorno della Memoria commemora la fine della Shoah, ma quanto è sintomo di un arretramento rispetto all'insegnamento che la fine della persecuzione dovrebbe averci dato pensare di dedicare questa giornata solo ad una delle categorie che sono state perseguitate e barbaramente uccise?

La Giornata della Memoria è giornata di commemorazione per tutte le vittime di persecuzione, ma è principalmente la Nostra giornata di commemorazione, la giornata di noi europei che siamo eredi se non direttamente dei persecutori e dei perseguitati, almeno dei conniventi con quel massacro e di coloro che hanno taciuto. Ma questa mia precisazione non è che la prima in riferimento alla rubrica di Antonio Ferrari sull'indifferenza “araba” rispetto alla commemorazione dell'Olocausto.

Ecco alcuni dei punti salienti della mia critica.

"Nei paesi islamici che stanno cercando di imboccare la strada della Democrazia (…) il risentimento e il rancore nei confronti dello stato di Israele e della sua politica, a volte discutibile, quasi sempre si confonde con l'antisemitismo, dimenticando che gli arabi, come gli ebrei, sono semiti". Questa affermazione a me dice due cose. 

La prima è che il passaporto per passare da un sistema non democratico ad un sistema democratico è il riconoscimento dell'assoluta superiorità che ha la commemorazione dell'Olocausto sulle commemorazioni di qualunque altro massacro nella storia dell'Umanità. Gli “arabi” saranno democratici quando riconosceranno l'assoluta centralità dell'Olocausto (che nelle parole di Ferrari riguarda solo gli ebrei) come fonte di simboli, identità, riconoscimento, legittimità.

Perché l'Olocausto per noi rappresenta il discrimine fra una civilizzazione solo apparente e una barbaria mascherata dal progresso, quella dei regimi fascisti, e una civiltà che, in quest'ottica è invece assolutamente democratica. Ma è stata una nostra precisa scelta attribuire all'Olocausto questo significato, più che giusto perché noi siamo figli di quel che è accaduto e sul fare ammenda per le colpe che abbiamo commesso abbiamo fondato i progetti per un futuro più giusto.

Quanto poi abbiamo realmente imparato è oggetto di discussione. Non per questo siamo più barbari o meno democratici se non riconosciamo un'importanza eguale al Genocidio Armeno, al Genocidio del Ruanda, alle persecuzioni dei Curdi e dei Palestinesi e a tutte le altre forme di discriminazioni che hanno portato alla morte di migliaia di persone?

Ma noi, europei illuminati, vogliamo che gli altri acquisiscano i nostri modelli e i nostri riferimenti, anche quelli dolorosi, anche quelli che non appartengono alla storia dei popoli con cui interagiamo. Altrimenti li tacciamo di barbarie.

La seconda cosa che mi viene alla mente è che esista nella realtà dei fatti una etnia araba di origine semita. Parlando della Shoah si può parlare di “ebrei”, pur sapendo quanto sia difficile affibbiare una sola categoria a individui di cultura, estrazione sociale, esperienze e storia diverse, dal momento che individui diversi fra loro sono stati perseguitati perché, a parere di altri individui, ricadevano sotto la categoria limitante (nel senso che non ci restituisce la misura della diversità culturale in seno a questa categoria) di “ebrei”.

Ma come non si può parlare di “europei” (chi si sognerebbe di dire che gli europei siano un popolo omogeneo?) o di “ebrei”, o di “cristiani” (ci sono i cristiani cattolici, i protestanti, i copti e ancora di queste categorie ci sono sottocategorie di cui fanno parte individui che abitano in ogni parte del globo), non si può parlare di “musulmani” come di un individuo a più teste o di “arabi”, che poi sarebbero semiti. Gli “arabi” non esistono come gruppo culturale omogeneo, non esistono come etnia unica. Non esistono neppure come unica visione rispetto all'Olocausto e ad altre questioni, come Ferrari è costretto ad ammettere.

Gilbert Achcar nel suo The Arabs and the Holocaust parla proprio di quanto sia vario e non omogeneo il rapporto dai cosiddetti “arabi” con la questione. Poi, se anche esistessero gli arabi come unico gruppo omogeneo per storia, cultura e territorio e anche fossero “semiti” cosa vorrebbe dire? Anch'io sono caucasica e ci sono sicuramente delle ricorrenze che riguardano altri caucasici che non commemoro. Sono barbara per questo? O forse semplicemente anche la morte e le sue commemorazioni, col tempo, diventano simboli, cultura che appartengono ad un gruppo che se ne sente toccato, che appartiene a quel retaggio, che sceglie di farne oggetto di memoria? Cos'è questo? Razzismo positivo?

Poi Ferrari cita Abu Mazen e le sue tesi negazioniste, o meglio: l'idea che l'Olocausto sia stato ingigantito per farne uno strumento culturale di legittimazione per l'Occidente. Come se queste idee appartenessero solo agli “arabi” e questo chiudesse la questione: se un uomo politico “arabo” (palestinese) la pensa così, gli “arabi” sono indifferenti ai dolori dei perseguitati della Seconda Guerra Mondiale.

Se non sbaglio sono idee più o meno simili a quelle espresse da Norman Finkelstein, che tutto è tranne che “arabo”. Anzi, è figlio di sopravvissuti del Ghetto di Varsavia e il suo aver definito l'Olocausto degli ebrei “un'indispensabile arma ideologica” lo ha reso inviso a parecchie persone. Ora anche gli ebrei statunitensi sono antisemiti?

Meno male che, se non altro, verso la fine Ferrari riabiliti almeno un arabo, Khaled Abdul Wahab, tunisino che ha salvato degli ebrei dalla deportazione "perché ha dato ascolto alla sua coscienza". A lui è dedicato un albero nella Foresta dei Giusti di Milano.

Altrimenti questo pezzo sarebbe stato troppo generalista. Un'ultima cosa: non tutti coloro che criticano Israele sono antisemiti, così come se ci sono degli antisemiti fra gli anti-israeliani, non significa che la critica alle azioni “a volte discutibili” di Israele sia meno legittima. Altrimenti sembrerebbe di far parte di una tifoseria e si perderebbe la tensione all'obiettività che dovrebbe essere requisito indispensabile per fare del buon giornalismo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.82) 28 gennaio 2012 18:26

    La questione del negazionismo "arabo" (notare le virgolette) si risolve tutto nell’uso politico che se ne vuol fare per negare insieme alla Shoah la semplice considerazione che Israele è nata esclusivamente per l’afflusso di profughi ebrei europei prima e durante la guerra e di sopravvissuti e reduci dopo la guerra. L’analisi statistica dei flussi migratori lo dice chiaramente. Negando la persecuzione e lo sterminio nazista la creazione di Israele viene ridotta forzosamente alla colonizzazione sionista; cioè ad un’operazione del colonialismo e imperialismo europeo, come ripetono tanti antisionisti (ma guai a chiamarli antisemiti). Il progetto sionista era fallito già alla metà degli anni venti quando erano più numerosi gli ebrei che se ne andavano dalla Palestina di quelli che arrivavano. La salita al potere di Hitler ha fatto girare il flusso migratorio e con esso la ruota della storia. Tutto il resto, come equiparare lo sterminio degli ebrei a qualunque altro genocidio dimostra solo che non si è ancora capita l’unicità della Shoah, che non sta nell’identità delle vittime, ma nella logica e nel pensiero nazista.
    Peggio che mai stare a discutere se esiste un’etnia semitica o araba o ebraica. Che senso può avere ? Quelli finiti nelle camere a gas erano "ebrei" (che lo fossero per cultura, religione o "sangue" lo decidevano i nazisti, non loro, molti dei quali non si sentivano affatto ebrei !). E "antisemitismo" è un termine che ha un significato preciso: razzismo europeo contro gli ebrei. Oggi i leader iraniani sono banalmente dei negazionisti antisemiti. E la cosa è diffusa in tutto il mondo arabo e palestinese in particolare. Almeno Edward Said ebbe l’onestà di parlare dei palestinesi come "vittime delle vittime" non di "vittime del colonialismo".
    Fabio

  • Di Eleonora Lorenzo (---.---.---.156) 28 gennaio 2012 18:51
    Eleonora

    E’ molto interessante quello che dici nella prima parte del tuo commento. In effetti la questione del significato politico della Shoah è un argomento che mi interessa molto e che, secondo me, è diventato un discorso parallelo rispetto alla reale entità dell’esperienza umana dello sterminio nazista. Inoltre. il problema che a me premeva sottolineare era proprio il dare maggiore importanza alle persecuzioni in quanto avvenute contro una particolare etnia più che come progetto sistematico di distruzione e annientamento, che non è cominciato con la questione ebraica, così come non è cominciato l’antisemitismo europeo con lo sterminio nazista. Il significato in sé di quella strage non riguarda solo ed esclusivamente un popolo anche nella sua sistematicità, questo mi preme ricordare: i campi di concentramento e sterminio, l’uso massiccio di gas letali per sopprimere un gran numero di persone alla volta, lo svilimento delle vittime non ha riguardato solo quell’avvenimento, che è diventato importante per la sua ferocia e la sua estensione, ma non è stato unico. Per questo mi permetto di dissentire su " come equiparare lo sterminio degli ebrei a qualunque altro genocidio dimostra solo che non si è ancora capita l’unicità della Shoah, che non sta nell’identità delle vittime, ma nella logica e nel pensiero nazista", proprio perché persecuzioni simili nella logica e nella pratica sono avvenute anche contemporaneamente, successivamente o precedentemente e contro etnie e gruppi diversi da parte di altre entità politiche razziste e nazionaliste.

    Inoltre, a me premeva sottolineare la pochezza di metodo del servizio di Ferrari: fondamentalmente il tutto, nel giorno della memoria, si riduce a questo, ricordare un unico avvenimento che sì, riassume in sé altri avvenimenti simili anche se minori per dimensioni e importanza storica, ma a causa di ciò spesso misconosciuti perché messi in ombra. Inoltre, il voler riunire in un’unica categoria di "arabi" posizioni che hanno a che fare con il negazionismo (e che non appartengono al solo mondo arabo, così come nello stesso mondo arabo questa non è l’unica posizione esistente), le questioni politiche anti-israeliane, l’antisemitismo che di sicuro non manca e così via è sintomo, a mio avviso, di un appiattimento delle realtà esterne a quella europea che da troppo tempo ha preso piede. 
    Quanto sia utile un discorso sul metodo di questo tipo...be’, probabilmente poco, in fin dei conti, ma è un’idea che mi frulla in testa già da molto tempo, pensavo fosse bene esprimerla. 
  • Di (---.---.---.107) 29 gennaio 2012 14:52

    Dici:

    "E’ molto interessante quello che dici nella prima parte del tuo commento. In effetti la questione del significato politico della Shoah è un argomento che mi interessa molto e che, secondo me, è diventato un discorso parallelo rispetto alla reale entità dell’esperienza umana dello sterminio nazista"

    Il “significato” politico della Shoah è una cosa; “l’uso” politico è un’altra cosa. Io ho usato il termine “uso” e intendevo dire che si usa ciò che è successo ad esempio per giustificare certe azioni israeliane come quella verso il Libano nel 1982 (ne ha parlato Tom Segev a Firenze nei giorni scorsi per distinguere l’uso – appunto – che alcuni politici hanno fatto della shoah dal senso di angoscia panica che coglie la società israeliana di fronte ad avvenimenti che realisticamente richiamano quell’esperienza, come ad esempio la guerra dei Sei Giorni o, aggiungo io, le attuali minacce iraniane). Ma c’è un ampio uso della shoah (negandola, per poter giustificare come legittima la propria ostilità al “colonialismo europeo”) da parte araba e iraniana. I Protocolli dei Savi di Sion è un testo (che come saprai era in origine un falso scritto dalla polizia zarista) molto diffuso in tutti i paesi arabi e in Iran. E non è un testo antiisraeliano o antisionista, ma proprio antiebraico. Siamo all’antisemitismo puro.

  • Di (---.---.---.107) 29 gennaio 2012 14:55

    Poi aggiungi: "

    Inoltre il problema che a me premeva sottolineare era proprio il dare maggiore importanza alle persecuzioni in quanto avvenute contro una particolare etnia più che come progetto sistematico di distruzione e annientamento, che non è cominciato con la questione ebraica..." eccetera.

    Quello che richiami è un problema storico enorme. La sistematicità e l’ampiezza dello sterminio ebraico sono un elemento importante, ma non caratterizzano lo sterminio degli ebrei. Pare che i belgi in Congo abbiano sterminato un numero addirittura superiore di indigeni durante la colonizzazione. Quello che caratterizza lo sterminio ebraico è la sua assoluta inutilità, come ha ricordato Yehoshua qualche giorno fa (cfr. Repubblica) “siamo morti per niente”.

    Se si può parlare di un qualche “utile” (mi scuso per il termine, ma è necessario per farmi capire) - ad esempio appropriarsi di un territorio, delle risorse naturali, di ricchezze, di acqua, di qualsiasi cosa o per l’importanza strategica di quel posto o appropriarsi di mano d’opera per lavoro coatto o per procreare futuri schiavi, quindi anche donne eccetera eccetera – se si può parlare di un utile, dicevo, si possono trovare nella storia molti drammaticissimi avvenimenti, enormi spargimenti di sangue, persecuzioni e razzismo, ma non c’è niente che possa somigliare alla shoah. Che fu inutile e addirittura molto costosa perché impegnò decine di migliaia di uomini, interi convogli ferroviari, risorse economiche ecc., per trasportare persone (magari vecchi o malati) da un capo all’altro dell’europa... solo per ucciderli appena arrivati. Il tutto mentre il conflitto già volgeva al peggio e i costi relativi a questa operazione pesavano molto. A prima vista non sono “gli ebrei” l’originalità della shoah, ma l’assoluta, incongrua inutilità dell’azione messa in atto dai nazisti. Se si paragona questo sterminio ai molti altri accaduti non si fa un favore alle “altre vittime” dando loro la visibilità che meritano, semplicemente si perde la possibilità di capire l’unicità di questo “fatto”. Cioè si fa un pessimo lavoro da un punto di vista storico.


  • Di (---.---.---.156) 29 gennaio 2012 15:05

    L’uso di un concetto ne trasforma il significato, più un’idea è diffusa come vera più diventerà vera.

    Non so se siamo all’antisemitismo puro: come hai ben sottolieato, se consideriamo l’antisemitismo come quel sentimento non recente tipico dell’europa di quei decenni (e dei precedenti), dovremmo pensare che oltre al rancore generato da un’accusa di occupazione illecita si accompagni l’idea di una inferiorità o comunque assoluta alterità degli ebrei in quanto etnia e nella stessa palestina questo sentimento di odio viscerale per un poppol in quanto tale non è del tutto condivisa.
    Uhm, be’, nonostante le apparenze, nessuno sterminio è considerato inutile da chi lo compie: se col tempo ha rafforzato la sua natura di purificazione della razza, inizialmente gli ebrei come elementi interni ma estranei erano già stati considerati cause di pestilenze, crisi economiche..i nazisti non hanno fatto che applicare contro di loro le tecniche di annientamento "industriale" già applicato ai tedeschi non ddegni di essere mantenuti.
    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 29 gennaio 2012 15:44
      Fabio Della Pergola

      un’idea è vera se lo è, non se è molto o poco diffusa, scusa se ti posso sembrare pignolo su questo. Che tutto sia "interpretazione" e che i fatti non contino lasciamolo dire a Vattimo e ai fautori del pensiero debole che finalmente qualcuno ha messo in discussione !

      Che nel mondo arabo in genere esista un rancore per la nascita di israele e per le numerose sconfitte subìte è assolutamente comprensibile; che esista un razzismo antiebraico, cioè di assoluta alterità degli ebrei - "figli di scimmie e maiali" come dicono - credo che sia indiscutibile anche se non è né diffuso né sbandierato come nell’europa ottocentesca. Infatti dici "non del tutto condivisa", non è che la escludi proprio.

      Sull’ultima frase ho dei dubbi: inventarsi delle motivazioni (come la causa di pestilenze eccetera) fa parte di un delirio, non credo che si possa considerare "utile" nel senso dello sfruttamento economico di cose o persone. In questo senso usavo questo termine. Anche se loro pensavano effettivamente di seguire una logica "utile" a preservare la razza ariana dalle contaminazioni. Insomma vorrei provare a distinguere una violenza finalizzata ad "avere" qualcosa da una violenza finalizzata a realizzare una assoluta paranoia.
      Mi sembra che facciano capo a due diverse patologie...

    • Di Eleonora Lorenzo (---.---.---.156) 29 gennaio 2012 15:53
      Eleonora

      No, sarebbe folle escluderlo del tutto, anche solo seguendo la logica.

      Non mi sono spiegata: intendevo dire che il fine di individuare negli ebrei un capro espiatorio petfetto aveva una sua utilità pratica al fine del mantenimento dell’ordine pubblico e dell’indirizzare contro una categoria la frustrazione di una nazione n evidente crisi. Ma hai ragione a parlare di paranoie: paranoie dall’alto e dal basso, evidentissime, ma a dimostrazione di un fondo di utilità pratica (percepita) ricordiamo che internati e soppressi furono tutti gli "antisociali", cioè coloro che venivano considerati non meritevoli di essere assistiti a spese dei contribuenti tedeschi. Una storia vecchia come il mondo.
    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 29 gennaio 2012 16:12
      Fabio Della Pergola

      Vero. Tutti gli antisociali. La faccenda si spiega con il concetto di “degenerazione” cioè di essere che è uscito dal genere umano. Degenerati prima di tutto i malati di mente e gli handicappati in quanto “inutili” per la società. Degenerati erano gli omosessuali in quanto non procreativi (la sessualità nazista consisteva nel trattare le donne come galline: tante “uova” hai tanti figli devi fare); degenerati erano i rom in quanto non produttivi e non stanziali. Ma gli ebrei ? In cosa degeneravano ? Erano - almeno in Germania - integrati, molti addirittura assimilati e convertiti, intelligenti esponenti della media o alta borghesia intellettuale, produttivi, colti eccetera. Quindi, perché ?

    • Di Eleonora Lorenzo (---.---.---.156) 29 gennaio 2012 16:19
      Eleonora

      Vedila da una prospettiva più ampia: gli ebrei sono sempre stati visti in Europa come una fetta di società con un piede dentro e un piede fuori, in parte a causa del pregiudizio anti-giudaico (quindi puramente religioso), ancora vivissimo fino agli anni Sessanta, in parte a causa del loro amministrarsi da sè (e come biasimarli, i ghetti erano lì a ricordar loro che erano parte e non parte della società) con i loro consigli e le loro ricorrenze. Il sospetto antiebraico ha radici troppo profonde. Persino qui in Italia non ci abbiamo ancora fatto i conti appieno. Se i mezzi sono scarsi e ognuno pensa a sé si nega il diritto a chi è fuori e a chi non è pienamente dentro, accusato di prendere tutto e non dare nulla in cambio.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 29 gennaio 2012 17:02
      Fabio Della Pergola

      Quello di cui parli è il pregiudizio antiebraico popolare (che esiste ancora !) le cui radici sono nell’antigiudaismo cristiano, come dici tu. In questa ottica sarebbe stato "comprensibile" derubarli di tutto per i più vari motivi perlatro già ampiamente diffusi nella mentalità comune. Ma perché mettere in piedi tutta la complessa, articolata e costosa organizzazione dello sterminio, con migliaia di soldati distratti dal fronte pur di portare a termine l’operazione ebrei ? Questo fa la differenza. La questione ebraica già aveva fatto un salto dall’antigiudaismo religioso alla "purezza del sangue" nella Spagna del XV e XVI secolo, ma qui si fa un salto ulteriore: si accetta di subire dei danni, economici o militari, pur di raggiungere l’obiettivo che sembra assolutamente primario. C’è quasi una religiosità perversa in questo. Nessuno mai aveva raggiunto questi livelli (sempre a proposito di unicità...)

    • Di Eleonora Lorenzo (---.---.---.156) 29 gennaio 2012 17:12
      Eleonora

      Un danno economico? non all’inizio. i campi di sterminio ricevevano una parte dei prigionieri, ma gli altri erano destinati ai lavori forzati. Manodopera a costo bassissimo in campi in molti casi gestiti da altri prigionieri con privilegi. Le guardie si preoccupavano di evitare le fughe, e solo una parte dei soldati veniva destinata ai campi. La maggior parte delle morti si deve alle condizioni di lavoro disumane per adulti e ragazzi e alle conseguenze di esperimenti medici (non sevizie a scopo razziale, ma uso indiscriminato di cavie umane, cosa fatta anche dal Giappone durante l’occupazione della Cina), molte vittime non erano ebrei, anche se di sicuro non erano tedeschi..

      É vero però che lo sterminio nazista aveva qualcosa di meccanico, efficiente, figlio della sua epoca. Infine, l’antigiudaismo non era meramente popolare, ma era condiviso in ambiente intellettuale, ecclesiastico, militare e comunque il movimento nazista nasceva come movimento popolare e tale è rimasto per molti aspetti, credo io.
    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 29 gennaio 2012 19:27
      Fabio Della Pergola

      Quello che rende chiara la mentalità è che si preferiva cercare, rastrellare, accentrare e trasportare milioni di persone di tutti i tipi, di tutte le età, in qualsiasi stato fisico da tutta Europa, impegnando personale ferroviario, tecnico, organizzativo, amministrativo, di polizia, militare eccetera eccetera per portare dei bambini o dei vecchi attraverso migliaia di chilometri per infilarli subito in camere a gas che erano state progettate da personale addetto, costruite da personale addetto, sorvegliate da personale addetto, alimentate da gas che doveva essere comprato da aziende specifiche eccetera, eccetera, eccetera.
      Se l’intento era avere mano d’opera a costo zero bastava prelevare uomini e donne giovani ebrei o non ebrei e prigionieri di guerra e farli lavorare.
      Il tuo commento non spiega l’assurdità di tutta l’operazione.

    • Di Eleonora Lorenzo (---.---.---.156) 29 gennaio 2012 19:37
      Eleonora

      Era per dire che se perdita economica c’è stata, non è stata così ingente e per loro infruttuosa. Gli internati costruivano munizioni, i loro beni erano distribuiti ai tedeschi e finanziavano le azioni di guerra, gli inabili venivano uccisi perchè improduttivi.

      Non pretendo certo di spiegare in una sola soluzione la questione: devi metterci tutti questi elementi per capire le congiunzioni di eventi, ideologie, fanatismi che hanno reso questo il nostro periodo più buio. Compreso il cieco odio razziale, non razionale, (fossero stati tutti più razionali non discuteremmo di questo, ora). La Shoah non è emersa all’improvviso: è la conseguenza esasperata di una serie di circostanze storiche e anche non solo naziste (i pogrom non li hanno inventati loro). 
  • Di (---.---.---.156) 29 gennaio 2012 15:07

    Chiedo scusa per gli errori e la brevità ma sono con un tablet e non ho con me il pc!

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 29 gennaio 2012 15:25
    Fabio Della Pergola

    Non dico nulla su Ferrari perché non l’ho letto, ma aggiungerei che se nel mondo islamico non si fanno i conti con la realtà storica della shoah, rimarrà un "vuoto" creato volutamente da alcuni e diffuso nella mentalità popolare, che impedirà sempre l’elaborazione del lutto subìto con la Naqba (fra l’altro le massime autorità palestinesi dell’epoca collaborarono attivamente con il regime nazista, anche questo è noto). E se non si elabora un lutto non si arriva mai alla separazione da un passato; il che rende impossibile progettare un futuro.
    Credo che questo sia il problema, non quello che riconoscendo l’Olocausto si diventa "democratici", sennò non lo si diventa...
    Se ti possono interessare le mie riflessioni, ho scritto due articoli su questo: http://www.agoravox.it/Shoah-rottur... e qui http://www.agoravox.it/Giorno-della...

    Aggiungerei solo che il problema delle "altre" vittime viene spesso rimproverato agli ebrei (più o meno sottilmente accusati di essersi accaparrati l’esclusiva della memoria). In uno dei miei articoli ho risposto un po’ seccamente ad un commentatore su questo.
    Il rimprovero casomai va rivolto allo Stato o a chi non ha mosso un dito per ricordare gli altri drammi e le altre vittime. Il Giorno della Memoria è, così dice la Legge che l’ha istituito - per come la capisco io -, dedicato specificamente alle vittime ebraiche.

  • Di Eleonora Lorenzo (---.---.---.156) 29 gennaio 2012 15:32
    Eleonora

    Grazie per i link, ci vado subito!

    Sì, ma assolutamente la colpa non è mai delle vittime, l’uso e il significato sono politici, hanno percorso una strada quasi parallela all’esperienza umana. Questo è fuori discussione.
    Più che altro, a costo di sembrare cinica, le conseguenze delle stesse persecuzioni più o meno su larga scala perpetrate all’interno dello stesso mondo arabo sarebbero da riconoscerre e metabolizzare e ciò va detto anche per l’Italia e altre realtà più vicine.
    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 29 gennaio 2012 15:56
      Fabio Della Pergola

      Su questo sono assolutamente d’accordo. Le conseguenze sul mondo arabo sono state devastanti; resta il fatto che dopo la guerra molti paesi sono stati travagliati da spostamenti di centinaia di migliaia di persone (un milione di tedeschi dai paesi slavi, trecentomila italiani da Istria e Dalmazia, eccetera). Tutti hanno affrontato l’emergenza accogliendo i profughi e integrandoli più o meno rapidamente all’interno delle proprie società.
      Questo non è avvenuto nei paesi arabi dove i palestinesi sono stati rinchiusi nei campi profughi (quando non sono stati ammazzati come in Giordania o in Libano) e in buona parte ancora ci sono.
      Anche sette-ottocentomila ebrei sono stati espulsi dai paesi arabi dopo la guerra del ’47-’48 e sono emigrati perlopiù in Israele, ma lì sono stati integrati.
      Riconoscere e metabolizzare la questione palestinese è molto più complesso di quanto si voglia fare di solito, credo.

    • Di Eleonora Lorenzo (---.---.---.156) 29 gennaio 2012 16:11
      Eleonora

      E ci sono troppe questioni in sospeso di altra natura in mezzo.

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