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Siria: verso lo scontro di civiltà (?)

Lo scontro fra Occidente e Oriente fa comodo a molti, a troppi, a Est come a Ovest; per motivi economici o per motivi strategici, per la supremazia anglosassone nel mondo o la per contesa supremazia all’interno dell'Islam. 

Tel Hai è un nome che ai più non dice proprio niente.

Ed è stato così perché riguarda altra gente, altre storie. Ma è invece un nome importante per le vicende mediorientali, che volenti o nolenti, ci riguardano tutti e, sembra, ci riguarderanno sempre di più.

Tel Hai è il nome di uno dei primissimi insediamenti di ebrei sionisti in Palestina. Fu costruito su terre comprate probabilmente da un latifondista arabo che viveva a Damasco o chissà dove. E, senza fare granché per provocarlo, si trovò al centro della Grande Storia.

Certo i primi sionisti erano consapevoli di svolgere un ruolo importante al centro della storia del popolo ebraico. Per quasi venti secoli l’idea di tornare nella Terra dei Padri era rimasta nella mente grazie ad un saluto molto comune: “L’anno prossimo a Gerusalemme”. Ma chiunque, per quasi venti secoli, ha pensato a Gerusalemme come ad un luogo dello spirito. Il luogo geografico, la città vera, era una méta reale solo per i più religiosi che sentendo arrivare l’ora della morte decidevano di andare a morire laggiù, nella città santa.

L’emigrazione ebraica in Palestina quindi c’è sempre stata, così come comunità ebraiche stanziali, di origini molto antiche, sono sempre esistite. Ed anche città a maggioranza ebraica come Safed o Tiberiade. Anche la stessa Gerusalemme, già alla metà dell’Ottocento, era una città a maggioranza ebraica.

Ma gli ebrei che emigravano dall’Europa orientale, per la miseria e per le persecuzioni sempre più numerose e sanguinose, avevano nella mente un’altra Terra Promessa che si chiamava America; esattamente come tanti altri europei, italiani in testa. Nonostante il programma politico sionista che si andava diffondendo, ma che convinceva pochi giovani, polacchi o russi, nazionalisti e di tendenze perlopiù fortemente “rosse” (ma non solo). In particolare dopo la fallita rivoluzione antizarista del 1905.

Tel Hai era questo: un piccolo insediamento rurale di ebrei russi nel nord della Galilea, vicinissimo all’attuale confine con il Libano, nei pressi delle alture del Golan, alle prese con una terra sconosciuta e difficile.

Nel maggio del 1916, a insaputa sia degli ebrei che degli arabi che stavano combattendo contro l’Impero Ottomano, inglesi e francesi siglarono il patto Sykes-Picot che stabiliva le aree di rispettiva “pertinenza” in cui le due potenze europee si sarebbero spartite le terre dell’ex impero turco.

Nel frattempo però gli inglesi avevano fatto allo Sceriffo dello Mecca, al-Husayn ibn Alī, la promessa di un regno sulle terre conquistate ai turchi, in cambio del suo aiuto nella guerra che gli arabi combatterono sotto la guida di Lawrence d’Arabia (Corrispondenza Husayn-McMahon, 1915-16, peraltro sufficientemente ambigua e imprecisa da dare àdito a molti battibecchi successivi, in particolare sul Sangiaccato ottomano di Gerusalemme); ma gli stessi inglesi avevano fatto anche ai sionisti la promessa di facilitare un insediamento ebraico in Palestina (Dichiarazione Balfour, 1917).

I francesi comunque, in virtù degli accordi presi, occuparono la Siria. La linea di demarcazione fra la zona d’influenza inglese e quella francese passava proprio vicino a Tel Hai, che si venne a trovare in terra “francese”.

La ribellione araba contro il tradimento delle potenze europee portò a uno scontro violento e sanguinoso con le truppe francesi occupanti che ebbero facilmente la meglio. Ma il piccolo insediamento ebraico fu, suo malgrado, coinvolto nel conflitto e si dette una forma di autodifesa armata per via di alcuni attacchi arabi.

In realtà non esisteva ancora una dichiarata ostilità fra arabi ed ebrei; al contrario già nel gennaio del ’19 era stato firmato un accordo tra l’Emiro Faysal, futuro re dell’Iraq, e il Presidente dell’Organizzazione sionistica Chaim Weizmann. Due mesi dopo l’Emiro arabo scrisse anche al leader sionista Felix Frankfurter:

"Gli arabi, specie i più colti, vedono con profonda simpatia il movimento sionista. Stiamo operando insieme per un Medio Oriente riformato e rinnovato. I nostri due movimenti si completano a vicenda. Quello ebraico è un movimento nazionale e non imperialista. Il nostro è un movimento nazionale e non imperialista. C’è posto per entrambi, ed anzi penso che nessuno dei due possa avere successo senza l’altro".

Ma Faysal avrebbe dovuto essere il nuovo Re della Grande Siria (un territorio storicamente chiamato Bilād al-Shām che comprendeva praticamente tutto il Vicino Oriente) e lo sgambetto dell’occupazione francese, oltre a causare un conflitto con i nuovi occupanti, rese inapplicabile, come previsto dall’accordo stesso, anche la cooperazione con i sionisti.

La notte del primo marzo 1920 un gruppo di arabi della milizia dell'Emiro, accompagnati da beduini seminomadi di un villaggio vicino, entrarono nella colonia ebraica alla ricerca, forse, di soldati francesi. Partì un colpo e la battaglia fra i difensori ebrei e la milizia araba durò a lungo. Ci furono sei morti fra i difensori e cinque fra gli attaccanti; Tel Hai fu ritenuta indifendibile ed evacuata la sera stessa; poi il villaggio fu bruciato dagli assalitori.

Qualche mese dopo ci furono violenti scontri fra gruppi etnici ormai contrapposti anche a Gerusalemme.

Il conflitto a fuoco di Tel Hai sembra essere stato il primo, vero scontro mortale fra arabi ed ebrei in Palestina e molti lo ritengono il preludio a tutto quanto è drammaticamente seguito nei novantatré anni successivi.

Oggi i francesi dicono di “conoscere bene la Siria” e c’è chi dichiara apertamente che davanti ad un attacco occidentale al paese governato da Bashar Assad le ritorsioni sarebbero pesanti e colpirebbero anche Israele

La Storia non si ripete mai (se non come farsa, disse qualcuno) e nessuno è così ingenuo da non sapere che la mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese è una concausa importante dello scontro tra Occidente e Islam.

Né possiamo dimenticare che Israele ha bombardato qualcosa di non chiaro, ma che evidentemente riteneva molto pericoloso per la sua sicurezza, pochi mesi fa proprio in territorio siriano; colpendo forse armi in transito, ma senza dare al dittatore siriano l'idea di essere lui stesso sotto attacco.

Un chiaro segnale della fortissima incertezza della dirigenza israeliana (ed anche dell'opinione pubblica) che non sa se sia meglio appoggiare un nemico certo, longa manus del Cremlino negli anni della guerra fredda e degli ayatollah in tempi più recenti, potenzialmente pericoloso soprattutto tramite l'alleato Hezbollah, ma conosciuto e tutto sommato stabile; oppure se non sia meglio favorire un'opposizione frastagliata e sconosciuta, un po' democratica, un po' laica, ma anche un po' troppo segnata da forti venature fondamentaliste ormai maggioritarie.

Nel dubbio la soluzione migliore, per lo stato ebraico, è che lealisti e ribelli si scannino a vicenda il più a lungo e il più sanguinosamente possibile, coinvolgendo il maggior numero di formazioni contrapposte, dai turchi ai curdi, da Hezbollah ad al-Qaeda, dai combattenti sciiti a quelli sunniti, dagli iraniani ai sauditi. E che se la vedano fra di loro. Magari, arrivati allo stremo delle forze, poi si siederanno ad un tavolo per trovare un accordo.

Ma c’è anche una lettura speculare alla tradizionale interpretazione che vede il conflitto israelo-palestinese come causa ed è quella che lo vede come conseguenza dello scontro tra Occidente e Islam.

Esattamente come ciò che, novantatré anni fa, avvenne sulla collina di Tel Hai, quando i primi caduti ebrei furono le vittime, non i promotori, dello scontro fra nazionalisti arabi e colonialisti europei; ma con, ovviamente, mille sfumature di torti e di ragioni in più di allora.

E non c'è davvero niente che possa impedire un accordo di pace concordato, con un punto di incontro a metà strada fra le esigenze delle parti, come hanno dimostrato ampiamente le trattative informali di Ginevra.

Se non fosse che lo scontro fra Occidente e Oriente fa comodo a molti, a troppi, a Est come a Ovest; per motivi economici o per motivi strategici, per la supremazia anglosassone nel mondo o la per contesa supremazia all’interno dell'Islam e, a catena, per il potere nella macroarea che va dal Mediterraneo all'India o in ciascun singolo stato. Fa comodo nelle lotte fra sette religiose e lobbies del potere laico, ad entità statali o tribali o familiari. Per affermare la dittatura delle banche o quella dei libri sacri, quella del petrolio o quella di ogni singola sfumatura interpretativa delle Sure; per reclamare i diritti individuali o quelli nazionali, il rispetto delle norme di legge o l’obbedienza al dettato divino.

L’Ovest - che ha praticato il colonialismo e l'imperialismo ovunque nel mondo, che ha causato due guerre mondiali nell’arco di mezzo secolo e, all'apice, si dice, della sua evoluzione culturale, ha perseguìto lo sterminio premeditato di un intero popolo - guarda con stupore e sdegno la sanguinosa caparbietà con cui i popoli arabi si scannano a vicenda non avendo né la capacità né la volontà di cercare una convivenza possibile.

E vuole pacificarli distruggendo le armi di uno dei due contendenti. Quello che, al momento, ritiene il più ostico e ostile a se stesso e ai suoi piani, per quanto confusi essi possano essere; rischiando di scatenare qualcosa di molto peggio di una guerra civile "circoscritta".

Ma chi si oppone, onestamente, all'impossibile pacificazione forzata, memore di altre operazioni drammaticamente simili, non ha da proporre altro che parole scontate oltre l'impotenza di stare a guardare una strage che ha raggiunto la terribile soglia delle 100mila vittime, combattenti e civili, uomini, donne e bambini. Che poi siano morte per armi convenzionali o per armi chimiche non è così chiaro quanto possa essere significativa la differenza.

Senza che nessuno, nemmeno per sbaglio, si sia degnato di proporre una manifestazione, un’opposizione, un boicottaggio. Un minimo gesto pubblico di rifiuto, di quelli che non si lesinano mai quando nel mirino c'è Israele.

Ma le dimensioni della strage non dicono, di per sé, che si tratta di una vasta, imponente, rivolta di popolo contro un dittatore spietato? Perché dunque la sinistra, che per questi motivi dimostra solitamente - e pubblicamente - la sua contrarietà, non si è mossa?

Forse perché sente di essere "forzata" a prendere parte per l'uno o per l'altro e non ha, o non ha più, gli strumenti culturali - quelli dell'umanesimo - per interpretare il mondo. Quindi o sta con l'Occidente - le cui manovre, sempre più ipocrite che sincere, rifiuta (non a torto) - o con l'Oriente, di cui fortemente diffida per la sua protervia contro i diritti umani. O rimane inerte, come in effetti sta.

Schiava di una lettura che impone o di partecipare entusiasticamente alle meraviglie del "primo mondo" civilizzato o, altrettanto entusiasticamente, di sventolare la bandiera di un "terzomondismo" in salsa paleomarxista, che ha però ormai chiaramente preso, da anni, una deriva ultrareligiosa e fascistoide.

Come al solito finirà che al primo balenare di missili scenderà in piazza contro l'imperialismo per l'aggressione angloamericana e, appena qualche razzo di risposta cadrà su Israele e lo stato ebraico reagirà, anche contro la scontata "aggressività" sionista, indicando come sempre nel conflitto israelo-palestinese la causa, non la conseguenza, dello "scontro di civiltà".

Poi, finalmente tranquillizzata nella sua coscienza terzomondista, tornerà a dormire il sonno del giusto, mentre l'Islam ricomincerà a ribollire pericolosamente, dilaniato da esigenze laceranti di evoluzione democratica e da retrogradi, ma intoccabili, dettami religiosi.

Drammatico, più che altro per chi sta sotto le bombe (ma culturalmente anche per noi).

A meno che il Ministro degli Esteri Emma Bonino non riesca a convincere il mondo che l'esilio di un dittatore (la stessa proposta che il vecchio Pannella fece a proposito di Saddam Hussein) è una soluzione da privilegiare al posto dei missili. Un esilio che cambierebbe le carte in tavola, senza imporre un vero e proprio cambio di regime e senza dare ai fondamentalisti più inaffidabili la chance di una vittoria sul campo.

Israele ci potrebbe forse mettere la firma subito, e probabilmente anche Abu Mazen, ma chi lo dice a Obama, a Cameron, a Putin o agli ayatollah di Teheran o anche allo stesso Bashar Assad ?

 

Foto: Wikimedia

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Francesco Finucci (---.---.---.175) 29 agosto 2013 13:53
    Francesco Finucci

    Splendido articolo, tra i più chiari e completi letti al riguardo. Tenderei solo a diffidare della teoria della Clash of civilization proposta da Huntington (e sbeffeggiata da Sen e Beck). Ancora oggi Girard pateticamente dice da Oxford che Islam e Democrazia sono incompatibili, e dunque destinati al conflitto. Questo è estremamente scorretto e superficiale, e ne paghiamo le conseguenze con brutalità medievali. E’ l’idea colonizzatrice del convinci o bombarda fino a constringere il civilizzato della bontà delle tue idee democratiche. Una roba da Avatar ma anche da Kosovo, dove Milosevic è stato bombardato fino a distruggere la Serbia. E’ il principio dell’internazionalismo democratico vs. vie nazionali alla democrazia, così come accadeva per lo scontro tra internazionalismo socialista e vie nazionali al socialismo. Ad essere indipendenti si paga un caro prezzo, e tendenzialmente a farlo con un minimo successo sono i più sanguinari (vedasi Tito, Ceausescu, Hoxha, ma anche Assad, Hussein e Khomeini). La violenza vince

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 29 agosto 2013 17:23
      Fabio Della Pergola

      Grazie per il complimento.
      L’uso della locuzione "scontro di civiltà" non è esattamente nel senso di Huntington che peraltro penso sia stato ampiamente frainteso. In ogni caso credo che l’Islam e la democrazia come la intendiamo noi siano incompatibili allo stato attuale delle cose, cioè delle attuali elaborazioni teoriche occidentali e anche di quelle dell’islam contemporaneo. Ma non c’è in questa incompatibilità alcuna necessità di confliggere, a meno che non lo si voglia naturalmente; il che succede quando al termine ’incompatibilità’ si aggiunge il concetto di ’necessaria supremazia’. Cioè l’idea colonizzatrice del "convinci o bombarda" che esiste ampiamente in occidente - e la conosciamo bene - e un bel po’ anche in oriente. L’impossibilità per l’Islam di convivere con la Jahiliyya non è un concetto perduto nella lotta dei tempi, basta leggere Sayyid Qutb, cioè l’ideologia della Fratellanza Musulmana.

      Ciò non toglie che l’Islam non possa trovare una sua strada verso una forma innovativa di democrazia, pur non avendo avuto il nostro umanesimo, il nostro illuminismo eccetera. Forma innovativa che sarebbe un toccasana anche per l’occidente, secondo me. Abbiamo un gran bisogno di liberarci dalle teorie antiumaniste, di tutti i colori esse siano. E magari anche di fondare una nuova antropologia.
      Saluti.

    • Di Francesco Finucci (---.---.---.7) 30 agosto 2013 12:36
      Francesco Finucci

      Purtroppo la situazione è molto spinosa, perché inevitabile la concezione islamica sia del rapporto tra vita privata e vita religiosa, sia riguardo l’aggiornamento del diritto islamico è difficilmente conciliabile con fattori di ammodernamento. L’Islam può però attingere credo da tante fonti nascoste che noi non conosciamo bene per alcuni motivi, loro per altri. Già l’opera fatta dalla filosofia araba medievale per riprendere i nostri classici della filosofia greca dovrebbe dare un’idea di quanto - anche se in maniera diversa - quell’umanesimo di cui parli forse esiste, e potrebbe essere un giacimento estremamente ricco, più di quelli petroliferi di sicuro. Ci sarebbe parecchio da capire, se si cominciasse ad ascoltare

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 30 agosto 2013 12:51
      Fabio Della Pergola

      Indubbiamente vero, è indispensabile ascoltare (e studiare) molto. In particolare il tema della controversia tra filosofi e mistici del XI secolo che è fondamentale per capire gli sviluppi medievali dell’Islam e anche, in buona parte dell’Islam moderno che, quando ha voluto sviluppare una propria laicità, non ha saputo/potuto far altro che rivolgersi a categorie occidentali.
      Ne ho accennato per sommi capi qui http://www.agoravox.it/Quanto-ci-co... ma sono comunque consapevole di essere ancora molto, molto ignorante.

      Resta il fatto che, come hai detto, la questione è molto spinosa, anche perché le spine vengono continuamente appuntite anziché smussate.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.178) 29 agosto 2013 20:39

    Lei scrive: "Ma chi si oppone, onestamente, all’impossibile pacificazione forzata, memore di altre operazioni drammaticamente simili, non ha da proporre altro che parole scontate oltre l’impotenza di stare a guardare una strage che ha raggiunto la terribile soglia delle 100mila vittime, combattenti e civili, uomini, donne e bambini."
    Tra il 2011 e il 2012 il regime di Bashar al-Assad ha avviato il processo di revisione costituzionale che ha portato all’ attuale ordinamento: multipartitismo, tutela delle minoranze, carica presidenziale elettiva. Dopo la promulgazione con referendum della nuova costituzione sono state indette le elezioni politiche per il rinnovo del parlamento che si sono svolte nonostante il conflitto.
    Ricorda cosa risposero quelli che ora si mostrano orripilati per le conseguenze di un conflitto che sembra irrisolvibile? Risposero: "Le elezioni sono una farsa". E si affrettarono a riconoscere come "legittimo rappresentante del popolo siriano" la Coalizione Nazionale Siriana: un gruppo di ribelli selezionato dal gruppo di "volenterosi" nel quale figurano democratici del calibro dei Saud.
    Nulla di sorprendente: si tratta degli stessi che formano il gruppo di Stati "Amici della Siria" e che ieri formavano il gruppo "Amici della Libia".

    Ricorda come vennero accolte le proposte di chi, come Chavez e altri, proponevano una soluzione politica del conflitto in Libia, che favorisse la transizione ordinata del potere ed evitare la distruzione completa dello Stato? I ribelli da salotto nominati dai volenterosi risposero con un diniego e gli esportatori di democrazia con i bombardamenti "umanitari". Ma di cosa stiamo parlando?

    Scrive poi: "Perché dunque la sinistra, che per questi motivi dimostra solitamente - e pubblicamente - la sua contrarietà, non si è mossa?"

    Forse perché muoversi nella direzione da lei indicata l’avrebbe fatta sentire complice del regime change mascherato da intervento umanitario? Forse perché si sarebbe dovuta schierare con Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti ecc?
    Si è chiesto perché i comunisti siriani sono schierati con Assad?
    Legga cosa dichiara un deputato comunista siriano:

    "Nessun passo indietro da parte del presidente eletto Bashar Al Assad: la via maestra per uscire dal massacro siriano passa in primo luogo per uno stop agli aiuti all’opposizione armata ’’da parte di Paesi reazionari e imperialisti’’. E’ la linea del Partito comunista siriano del segretario e deputato Ammar Bagdache, oggi a Roma per un incontro pubblico organizzato fra gli altri dalla Rete No War. Una volta che gli aiuti esterni saranno fermati, ha detto Bagdache, ’’si potranno fermare tutte le operazioni militari’’ anche da parte del governo siriano, ’’e far ripartire un processo democratico con elezioni parlamentari e riforme politiche, che certo in questa fase di lotta armata non si possono fare’’. Ma ’’noi continuamo a sostenere Assad - ha aggiunto - che rappresenta l’unica garanzia di fronte alle cospirazioni imperialiste contro la sovranità della Siria’’ da parte degli Usa e di altre potenze straniere. ’’Assad non deve fare passi indietro’’ per favorire una soluzione della crisi, ha risposto l’esponente comunista, perchè ’’l’esperienza ci insegna che, che se ne fa uno, poi se ne devono fare altri’’, e il futuro del presidente si deciderà nelle elezioni presidenziali del 2014."

    I comunisti siriani sono compagni che sbagliano? Non sanno di cosa parlano mentre noi, "di sinistra" ma col culo al caldo, lo sappiamo? Di nuovo: ma di cosa stiamo parlando?

    Lei dice che sotto una soluzione che preveda l’esilio di Assad "Israele ci potrebbe forse mettere la firma subito". Beh, non è questo che chiede Israele (il suo regime sionista), risulta invece che tra raid su installazioni militari (ovviamente si tratta di armi destinate a Hezbollah) e fornitura di addestramento e dispositivi vari ai ribelli siriani, sembra interessato ad altro.

    Non è nemmeno l’obiettivo della Lobby sionista in USA, che invece ha premuto fortemente affinché Obama accettasse di stabilire una "linea rossa" (mi ricorda qualcosa a proposito di Iran...) superata avrebbe dovuto impegnarsi a condurre un attacco militare contro il regime.

    Un recente sondaggio dice che l’86% degli israeliani è contrario al coinvolgimento di Israele nel conflitto in Siria. Ma alla lobby questo non interessa, a quanto pare. Ha una sua agenda nella quale ha scritto bello grosso "Delenda Teheran", ma prima "Delenda Damasco" sennò non si può fare.
    Si dovrebbe evitare di trattare con leggerezza situazioni in cui decine di migliaia di persone sono messe a rischio della vita.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 30 agosto 2013 00:02
      Fabio Della Pergola

      Flacco si dia una calmata. Ci sono centomila morti nelle strade siriane. E non li hanno ammazzati né il "regime sionista" (ma perché non la smette di usare questa terminologia da fricchettone della fantapolitica ?) né gli americani. Quanto ai compagni comunisti è quasi un assioma che prendano cantonate, specialmente quando si rendono complici di un regime massacratore di padre in figlio: "far ripartire un processo democratico con elezioni parlamentari e riforme politiche’’ sarebbe una cosa che gli Assad avrebbero dovuto fare da almeno un paio di generazioni fa.

      Ho visto che lei ha iniziato a scrivere i suoi articoli, continui pure su quella strada.

    • Di Persio Flacco (---.---.---.160) 30 agosto 2013 16:02

      Non ho alcuna intenzione di darmi una calmata: ne ho abbastanza di massacratori umanitari e democratici che dicono di agire in mio nome. E ne ho abbastanza di lobby che coltivano un filo diretto col potere dirigendolo verso i loro fini particolaristici umiliando in tal modo la democrazia.

      USA, UK, Francia non avrebbero alcun vantaggio dalla dissoluzione della Siria, come non ne hanno avuti dalla distruzione della Libia: ne avrebbero solo svantaggi, costi, rischi e guerre ulteriori. Né tantomeno ne avrebbe vantaggi la popolazione della Siria, che sarebbe condannata a vivere il suo futuro nel caos sanguinoso determinato dalla lotta tra fazioni.

      Se i governanti di quei Paesi agiscono contro gli interessi e il parere dei loro popoli, usando il travisamento della verità per tentare di ingannarlo, può esserci un solo motivo: agiscono o volontariamente o forzatamente nell’interesse di qualche lobby. Di una lobby in particolare.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 30 agosto 2013 16:42
      Fabio Della Pergola

      "si dia una calmata" era rivolto - ovviamente - alla dimensione dei suoi commenti, non ai suoi contenuti che peraltro sembrano le veline di La Voce della Russia.

      Poi, ai suoi contenuti ho già risposto contestando il banale fatto che i 100mila morti siriani non dipendono dalle attività occidentali, ma in modo ampiamente, anche se non esclusivamente, interno al mondo islamico. Né è stato Israele ad ammazzarli con armi chimiche o armi non chimiche. Cosa che anche i sassi sanno.

      Lei ne ha "abbastanza di massacratori umanitari e democratici che dicono di agire in mio nome", ma in questo caso i massacratori non agiscono affatto in suo nome, agiscono a nome proprio o di chissà chi. Non capisco come questo possa rincuorarla, ma spero che lo faccia.

      Nel frattempo il parlamento inglese ha stoppato le velleità interventiste del premier Cameron e il presidente Obama appare molto titubante. Solo il governo del socialista Hollande pare sul punto di dare il via alle operazioni.

      Nel frattempo "la popolazione della Siria, che sarebbe condannata a vivere il suo futuro nel caos sanguinoso determinato dalla lotta tra fazioni" continua a vivere esattamente in quel caos, forse lei non se n’è accorto, determinato dalla attività criminale di una dittatura sanguinaria. Tale padre tale figlio, si direbbe. O ha dimenticato quello che fece Assad padre ai suoi tempi ? (compreso scatenare tre guerre contro Israele).

      E se quel regime agisce contro gli interessi e il volere di una parte importante del suo popolo - dimostrata dalle dimensioni spropositate degli eccidi che vanno ben al di là di una ribellione fomentata da forze esterne, ma ha indiscutibilmente le forme di una guerra civile aperta e diffusa su tutto il suo territorio - è immorale, ignobile, incomprensibile, inaccettabile che si continui ad ammiccare insinuando interessi di "quella" lobby che, nella fattispecie, ha forse più interessi a tenere in piedi Bashar al-Assad che non i suoi attuali avversari dalla coloritura parecchio fondamentalista (e ben poco filosionista).

    • Di Persio Flacco (---.---.---.128) 30 agosto 2013 19:59

      Grazie per le risposte.
      Le nostre rispettive posizioni sono inconciliabili, dunque preferisco chiudere qui questo confronto.
      Tuttavia mi lasci concludere con un’affermazione che nelle intenzioni vuole essere di stimolo ad approfondire l’argomento ma che a lei apparirà senz’altro espressione di arroganza intellettuale: temo che lei non abbia ben compreso cosa è il sionismo oggi.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 30 agosto 2013 20:07
      Fabio Della Pergola

      La ringrazio per la sua preoccupazione. Credo di sapere piuttosto bene cos’è il sionismo e cosa è stato. Temo che lei invece non abbia ben compreso cosa sia e cosa sia stato il regime degli Assad; nemmeno dopo 100mila morti. E questo è davvero stupefacente.

    • Di Persio Flacco (---.---.---.109) 31 agosto 2013 14:55

      Vedo che rilancia, facendomi passare da amico dei massacratori, e se rilancia significa che vuol continuare la partita. Bene.

      Bashar al-Assad è un massacratore solo nel Truman Show nel quale Potere e Lobby tentano di far restare l’opinione pubblica.
      Fuori dal Truman Show, nella realtà, Assad non è un personaggio monodimensionale: il massacratore appunto, ha molte altre dimensioni. 
      La prima da aggiungere che mi viene in mente è: torturatore per conto della CIA. 

      Se le ricorda le Extraordinary Rendition, vero? Ricorda cosa dichiarò l’ex funzionario dell’Agenzia Bob Baer? "If you want a serious interrogation, you send a prisoner to Jordan. If you want them to be tortured, you send them to Syria. If you want someone to disappear—never to see them again—you send them to Egypt.".
      Abbiamo aggiunto un’altra dimensione al personaggio: sicuramente non positiva ma certamente al tempo ritenuta utile da quelli che ora lo rappresentano in modo, diciamo, "semplificato".

      Forse il padre di Bashar: Hafez, si presta meglio ad essere descritto in modo semplice come massacratore, visto che nell’82 represse nel sangue un tentativo insurrezionale con centro ad Hama.
      Tuttavia, considerato che la sollevazione fu preceduta da una serie di attentati dinamitardi ad opera della Fratellanza Musulmana e che l’ultimo ha mancato di un soffio dal fargli la pelle, ecco che anche la figura di Hafez inizia ad acquistare qualche altro lato. Ma c’è dell’altro: a quanto pare la violenta reazione di marca sunnita originava dallo scandalo suscitato dalla proposta di Hafez di emendare la costituzione togliendo l’obbligo per il presidente di essere di fede musulmana.
      All’epoca gli insorti non disponevano di consulenti occidentali per le pubbliche relazioni, dunque non pensarono di definire come lotta per la democrazia e la libertà quella che era una trucida insurrezione di marca confessionale contro gli infedeli, e questo diluisce ulteriormente la figura di massacratore cucita addosso al padre dell’attuale presidente. Come vede solo nel Truman Show si trovano personaggi monodimensionali.

      Ma torniamo al massacratore attuale, alle prese con una insurrezione che è iniziata, come l’altra, sotto le insegne del sunnismo integralista... mi correggo: sotto le insegne della libertà e della democrazia, almeno nel Truman Show, e che, nel corso tel tempo, si è arricchita di tutte le sfumature disponibili nell’ambito dell’estremismo islamico mondiale.

      Vediamo di capire meglio. L’insurrezione stabilisce un prima e un dopo: prima Bashar al-Assad non era un massacratore (al più lo si sarebbe potuto definire un torturatore a contratto per la CIA: ma torturava i cattivi, no?) e la Siria, a detta dei più affidabili commentatori, era un paese tranquillo nel quale alle minoranze religiose veniva garantita la libertà di culto, con un buon tenore di vita e di welfare per i cittadini. Nei suoi 13 anni di "regno" Bashar non ha mostrato particolari tendenze al massacro, al contrario: si è dimostrato piuttosto tollerante e ragionevole, almeno per gli standard dell’area. Certo, non lo era per noi alfieri della democrazia e della libertà, che quando vogliamo giudicare un regime che ci sta antipatico usiamo, che so: la Francia, come pietra di paragone, ottenendo la rappresentazione semplificata che ci è più utile per rintuzzare gli argomenti dei perfidi relativisti.

      Bene, dunque Bashar non è sempre stato un massacratore che uccide il suo stesso popolo (secondo un meme che va per la maggiore sui nostri mass media) è stato anche un buon capo di Stato, seppure con un ruolo autoritario, e questo aggiunge una ulteriore dimensione alla sua figura. Mi spiace dover continuare a strappare le quinte del suo Truman Show, non la prenda per scortesia, ma la dentro mi ci ritrovo un po’ sacrificato.

      E passiamo al dopo insurrezione, a quando Bashar si è trasformato in massacratore. Premettiamo innanzitutto che la Siria, come altri paesi del M.O., ha confini tracciati col righello dagli inglesi in base alle loro particolari considerazioni geopolitiche, e che è uscita dalla dominazione coloniale: prima ottomana e poi occidentale, solo nel ’46. Un paese quindi al cui interno sono rimaste forti divisioni religiose ed etniche, ciascuna con molte connessioni ad interessi e riferimenti esterni, e con una coscienza nazionale che si potrebbe definire un po’ fiacca, comprensibilmente aggiungo io.

      Qualcuno dice che allo scoppio dell’insurrezione abbiano concorso forze esterne, che agenti dell’intelligence turca, francese, inglese, statunitense e pure israeliana, abbiano organizzato i primi nuclei di manifestanti perseguendo una strategia di destabilizzazione del Paese. Nulla di più facile in un paese con profonde tensioni latenti come la Siria nel quale per accendere la miccia della guerra civile bastano davvero pochi mezzi.

      Sicuramente vi sono stati episodi iniziali che hanno visto l’uso eccessivo e improprio delle armi da parte delle forze di sicurezza siriane che hanno aiutato il corso degli eventi a dirigersi nella direzione che hanno poi imboccato, anche se certe azioni vanno giudicate nel loro contesto

      Ebbene questa ipotesi diventa più che credibile osservando la straordinaria somiglianza con l’altra insurrezione: quella libica. Gli schemi sono talmente simili, compreso il tentativo iniziale di far proclamare dal Consiglio di Sicurezza ONU una no fly zone, perfino i nomi delle organizzazioni di sostegno ai ribelli si somigliano, tanto da far pensare ad un vero e proprio "format", come quelli televisivi, posto in essere dai soliti USA, UK, Francia, con l’ausilio delle petromonarchie mediorientali.

      Ma ciò che fa diventare certezza i sospetti è l’atteggiamento tenuto dal fronte occidentale nei confronti delle forze in campo in Siria.
      Ragioniamo: lo scopo dichiarato del fronte occidentale (dubito sia anche quello dei suoi alleati mediorientali, ma tant’è) è innanzitutto la salvaguardia della popolazione civile in Siria.

      Se questo fosse lo scopo il mezzo migliore per perseguirlo sarebbe di interporsi tra i contendenti, di usare imparzialmente il proprio peso e la propria influenza per dissuadere entrambi dal continuare uno scontro nel mezzo del quale la popolazione civile si trova stritolata, uccisa, impoverita, costretta alla fuga. Questo è almeno quello che ci si aspetterebbe da chi segua i principi del diritto internazionale e sia animato dal solo interesse umanitario.

      Invece, e questo è un fatto, il fronte occidentale si è immediatamente schierato a favore di una delle parti in conflitto, fornendo copertura politica, mezzi, armi, logistica.
      Turchia (paese NATO) e Giordania (alleato USA) hanno reso permeabili le loro frontiere alle forze ribelli offrendo protezione, strutture per l’addestramento, linee di rifornimento di armi, passaggio per combattenti provenienti da mezzo mondo, basi per i comandi militari. Arabia Saudita, Qatar, Emirati, Kuwait, da parte loro hanno provveduto alle risorse finanziarie e al reperimento di armamenti adeguati.
      Questo dimostra al di là di ogni dubbio la falsità dello scopo dichiarato dal fronte occidentale.

      Per tentare di tappare questa enorme falla di credibilità ai ribelli sono state attribuite motivazioni condivisibili: combattono contro un dittatore sanguinario (qui aiuta il personaggio monodimensionale che impersona Assad nel Truman Show) per la democrazia e la libertà, per questo siamo dalla loro parte, dicono.

      A chi conosce un poco quelli che animano la rivolta una tale definizione suona ridicola, ma si conta sul fatto che pochi ne abbiano conoscenza, e tra quei pochi quelli che osano obiettare è facile zittirli accusandoli di essere amici del massacratore.

      Purtroppo per i sedicenti Amici della Siria, avendo fallito nell’ottenere dall’ONU il permesso di liquidare subito il regime con bombardamenti umanitari, è diventata sempre più diffusa nell’opinione pubblica la coscienza che i cosiddetti ribelli tutto sono fuorché democratici e libertari, e i veri scopi dell’impresa: del tutto diversi da quelli dichiarati, sono venuti alla luce.

      Da qui la disperazione per il fallimento e l’estremo maldestro tentativo di usare il presunto superamento della "linea rossa" sull’impiego di armi chimiche per sconvolgere l’opinione pubblica e indurla ad appoggiare il bombardamento, senza troppo successo. L’opinione pubblica non crede più alle fregnacce che lobby e Potere cercano di spacciarle: il Truman Show è rotto.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 31 agosto 2013 15:14
      Fabio Della Pergola

      Non avevo intenzione di rilanciare, le ricordavo solo che ci sono 100mila morti, cosa che nel suo ardore internazionalista sembrava essersi dimenticato; così come sembra dimenticare che in tutte le relazioni sul caso siriano il fronte dei ribelli è ormai ampiamente descritto come qaedista, ben più che come "democratico" (il che spiega anche le titubanze di molti ad agire, isareliani compresi). Ma a lei tutto torna, basta dire la parola magica: "quella lobby". Come se a fare politica estera, patente e latente, fosse solo qualcuno e non tutti.

      Per il resto se vuole che mi impegni a leggere i suoi infiniti commenti bisogna che prima mi mandi un bonifico. Altrimenti, come le ho già suggerito una volta, si limiti a scrivere i suoi articoli e la leggerò là, se e quando ne avrò voglia. Le saccenti sbrodolate sui Truman Show può darsi che attizzino qualcuno, ma a me lasciano sempre un retrogusto un po’ stucchevole.
      Definitivi saluti e amici come prima.

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