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Quando Sindacato fa rima con Potere

Nel nostro Paese, la linea che separa il mondo della rappresentanza sindacale da quello del potere politico è sempre più labile e sottile. Talmente sottile da diventare, in molti casi, una passerella. Una passerella dorata che conduce dai luoghi di una presunta lotta sindacale ai palazzi del potere, dai comizi in piazza agli incarichi governativi assai ben retribuiti. È una dinamica ormai arcinota, ciclica, quasi sistemica.

L’ultimo esempio è quello di questi giorni: Luigi Sbarra, classe 1960, calabrese, fino a febbraio segretario generale della CISL, oggi è stato nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al Sud.

Una nomina ufficializzata con il suggello del Quirinale e con l’etichetta, apparentemente neutra, di “indipendente”. Ma l’indipendenza vera, quella culturale e politica, non può esistere laddove le porte girevoli tra sindacato e governo si fanno corridoi di carriera. Non si tratta solo del caso Sbarra: la storia repubblicana è costellata di ex leader sindacali divenuti ministri, parlamentari, presidenti di enti pubblici e società partecipate. Dall’ideologia operaia al potere esecutivo, il salto è breve e, troppo spesso, remunerativo.

Il problema non è che un sindacalista possa entrare in politica.

È legittimo e in certi casi auspicabile. Il problema è la sensazione, sempre più diffusa, che il sindacato non sia più lo strumento di difesa dei lavoratori, ma un trampolino per accedere ai salotti buoni della Repubblica.

E quando l’orizzonte diventa quello del tornaconto personale o della scalata istituzionale, la missione originaria – rappresentare e tutelare gli interessi dei lavoratori – si svuota di senso. Il rischio concreto è che i sindacati diventino complici del potere, più che suoi controllori. Che dialoghino col governo non per strappare diritti, ma per garantirsi... un posto a tavola.

La nomina di Sbarra, pur rivendicata come tecnica e “indipendente”, è politicamente significativa: si manda un messaggio chiaro. Il sindacato, almeno una sua parte, è pronto a mettersi al servizio del potere, non più in opposizione dialettica, ma in continuità funzionale. Così, la rappresentanza sindacale perde credibilità agli occhi di chi ogni giorno affronta precarietà, salari bassi, insicurezza.

Perché se chi ti ha rappresentato fino a ieri oggi siede al fianco di chi decide i tagli e le riforme, allora viene da chiedersi: da che parte stava davvero?

In un’epoca in cui la fiducia nei corpi intermedi è ai minimi storici, episodi come questo non fanno che alimentare la disillusione e la disaffezione per la politica, per il sindacato, per il sistema Italia.

Eppure il sindacato avrebbe ancora un ruolo cruciale da giocare: difendere chi non ha voce, negoziare senza piegarsi, ricostruire un tessuto di solidarietà sociale. Riportare i salari su livelli dignitosi e l'età pensionabile a 65 anni!

Invece i lavoratori italiani sono quelli che hanno gli stipendi più bassi in tutta Europa e che per contro vanno in pensione molti anni dopo i loro colleghi europei, con assegni insufficienti a garantire una vecchiaia serena.

Perché quando il sindacato fa rima con potere, perde tutto il suo significato e delegittima il motivo per cui è nato: stare dalla parte dei lavoratori!

Foto Wikimedia

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