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Persio Flacco

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Ultimi commenti

  • Di Persio Flacco (---.---.---.176) 5 settembre 2014 13:16

    Quello che lei scrive, caro di Shuler lo condivido in linea di principio ma lo ritengo irrealistico.
    Nessuna società rinuncia a formare "bravi cittadini" che garantiscano la sua continuità, la continuità dei suoi valori e, in sostanza, la continuità del potere che la governa.
    In tal senso pensare che la Scuola possa dedicarsi a formare "persone libere", che voglia fornire ai giovani gli strumenti che potrebbero mettere in discussione la società e i suoi equilibri lo giudico irrealistico.
    Per quanto mi riguarda mi contenterei che la Scuola fornisse una buona e solida formazione assieme alla inevitabile educazione ad essere bravi cittadini. Perché una buona formazione offre al giovane la possibilità, se lo vuole, di diventare una persona libera, e non solo rimanere un bravo cittadino.

    Riguardo al valore formativo della curiosità sono d’accordo, credo anzi che sia questo tema introduca ad una riflessione sul vero nodo centrale nella riforma della Scuola, non qualche soldo in più ai docenti, non la cura degli edifici scolastici e nemmeno la selezione qualitativa e meritocratica degli insegnanti.

    Tutti questi temi sono importanti, certo, ma non è da questo genere di riforme che deriva lo stimolo alla curiosità.

    Vivere in un edificio scolastico malmesso, con insegnanti sottopagati e con una preparazione approssimativa non inibisce necessariamente la voglia di conoscere.
    Eppure sembra che la Scuola italiana (degli altri Paesi non saprei dire) viva uno stato di profonda malinconia, di mancanza di stimoli e di prospettive. Sembra che abbia davanti a sé un orizzonte vuoto.

    Ad iniziare dai giovani, che sembra abbiano perso non solo la voglia di cambiare il Mondo: che dovrebbe essere il loro "mestiere", ma anche il vocabolario dove sono scritte le parole per cambiare il Mondo.

    A parte l’impegno per l’ecologia: un impegno senza speranza, chiuso com’è dall’incapacità di razionalizzare il rapporto dell’utopia di un Mondo che torna sui suoi passi per salvare il Pianeta con la realtà immanente di un Sistema pervasivo che pone le esigenze di crescita economica sopra ogni cosa.

    O l’impegno umanitario per il Terzo Mondo, anch’esso chiuso dalle ferree "esigenze di sviluppo".

    Pura sopravvivenza, non utopie.

    L’unica propsettiva che rimane è fare soldi, avere successo, diventare "popolari" sui social. Ma questo è esattamente il contrario di voler cambiare il Mondo.

    E senza l’energia rivoluzionaria dei giovani la Scuola dove dovrebbe trovare lo stimolo alla curiosità che la spinge avanti?

    E dove dovrebbero trovare i giovani le parole che descrivono l’utopia che cambia il Mondo se i loro padri le hanno perdute prima di loro, se hanno perso il coraggio di dire le parole che rompono il conformismo, che creano scandalo, che aprono prospettive nuove nelle quali credere?

    Di certo non è questa la riforma che Renzi ha in mente.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.176) 5 settembre 2014 10:50

    E’ preoccupante che un simile concentrato di potere finanziario abbia un ruolo nella decisione della BCE di acquistare ABS: cartolarizzazioni negoziabili dei crediti bancari verso imprese e privati.

    In tempi di crisi economica di cui ancora non si riesce a scorgere l’esito finale questo genere di strumenti finanziari inglobano un rischio di sistema difficilmente quantificabile. Soprattutto si prestano a operazioni finanziarie e a formazioni di bolle speculative che ricordano tanto la bolla dei famigerati subprime statunitensi: la causa scatenante della crisi finanziaria europea del 2007-2008 i cui effetti ancora ci affliggono.

    Mi sbaglierò, ma che la BCE abbia fatto entrare BlackRock in questa operazione fa pensare all’allevatore che assume la volpe come consulente esperta di polli.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.176) 5 settembre 2014 10:18

    Naturalmente condivido la sua condanna contro l’ISIS: criminali contro l’umanità nel pieno senso del termine.

    Tuttavia le faccio notare che questa immonda organizzazione di criminali non nasce dal nulla, non è diventata tale passando dalla Siria all’Iraq.

    Questa organizzazione di criminali imperversa in Siria da quasi tre anni, sicuramente facendo in quel Paese le stesse cose che ora fa in Iraq. 
    La differenza è che in Siria l’ISIS ha goduto della profondità strategica e di molti altri supporti forniti dall’occidente e dai suoi più stretti alleati perché combatteva contro quello che l’occidente stesso ha eletto come suo nemico: Bashar al-Assad.

    Esistono denunce di Amnesty International contro quelli che hanno di fatto allevato l’ISIS? Io non lo so, ma se sono state fatte non hanno avuto grande evidenza.

    Ora che l’ISIS va combattuto (a quanto pare con calma, senza troppa fretta. Anche un po’ svogliatamente) la denuncia di Amnesty acquista rilievo, perché evidentemente concorda con le nuove strategie occidentali contro quella organizzazione.

    Ora consideri questa eventualità: dopo tre anni di guerra e nonostanti gli sforzi profusi il regime siriano non è crollato.
    E’ questo è comprensibile: come dar torto ai siriani se preferiscono rimanere nelle mani di Assad piuttosto che finire in quelle dell’ISIS?
    Vista l’impossibilità di rovesciare Assad con i mezzi che ha avuto finora a disposizione l’ISIS va in Iraq a fare provviste di armi pesanti e di disertori dell’esercito irakeno. Di passaggio: armi fornite dall’occidente e militari addestrati dallo stesso occidente.

    Fatto provvista l’ISIS ripiegherà in Siria:
    - formalmente perché costretto dalle misurate bombardatine americane e dai peshmerga curdi, riforniti di vecchie armi da anni in deposito;
    - sostanzialmente perché ora dispone dei mezzi necessari per dare la spallata finale al regime siriano.

    E’ solo una ipotesi ma, a mio parere, è una ipotesi realistica. Peraltro la lentezza e la riluttanza dimostrata dall’occidente nell’avviare una vera campagna contro l’ISIS sembra dargli una certa credibilità.

    Se questo è vero il macello che l’ISIS sta facendo in Iraq sarebbe nulla rispetto a quello che avverrebbe in Siria. 

    In tal caso, se Amnesty e le altre organizzazioni umanitarie non avessero denunciato a tempo debito e con tutta la forza e la determinazione necessarie chi in occidente ha allevato il mostro ISIS per i suoi scopi diventerebbero oggettivamente suoi complici, e corresponsabile di ciò che l’ISIS farà in Siria.

    Come vede una organizzazione umanitaria non può limitarsi alla fase finale di un processo di violazione dei diritti umani, astenendosi dal denunciarne la genesi fin dalle origini, se non vuole diventarne una parte funzionale.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.176) 5 settembre 2014 09:17

    Caro 225 sottoscrivo il suo intervento.

    Io penso che si è necessariamente servi quando il proprio Paese è asservito, ma che pur essendo in questa condizione è possibile almeno salvare dalla servitù la propria coscienza, mantenendola libera.
    Servi lo si diventa pienamente solo quando non si aspira più a cambiare la propria condizione, quando si pone sotto servaggio anche il proprio spirito.

    Dunque la saluto e la riconosco come una libera coscienza. Scriva ancora.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.176) 2 settembre 2014 00:37

    Il New York Post del 29 agosto:
    - Obama admits ‘we don’t have a strategy’ on ISIS in Syria -
    http://nypost.com/2014/08/29/obama-...

    A mio parere la dichiarazione di Obama avrebbe dovuto essere: "Gli USA non hanno una strategia per l’ISIS in Iraq". Infatti, fino a quando l’ISIS, assieme a varie altre organizzazioni, è rimasto in Siria a combattere contro il regime di Assad, la strategia statunitense è stata ben definita: chiunque combatta contro il nemico Assad è benvenuto, anche l’ISIS, o come si faceva chiamare prima.

    Da notare che è improbabile che questa organizzazione abbia subito una mutazione genetica passando in Iraq. E’ invece del tutto lecito pensare che in Siria le sue finalità e i suoi comportamenti siano del tutto identici a quelli divenuti pubblici a seguito del suo dilagare in Iraq, e che oggi fanno rivoltare lo stomaco all’opinione pubblica mondiale.

    Non risultano particolari prese di posizione degli USA e dei loro alleati contro l’ISIS fin quando si è limitato a combattere in Siria, nonostante gli appelli che le opposizioni più moderate hanno rivolto loro a mano a mano che l’ISIS diventava più forte sul terreno e le estrometteva.

    Nemmeno risulta che i due alleati degli USA che hanno offerto agli insorti siriani la necessaria profondità strategica, senza la quale la ribellione contro Assad sarebbe durata nemmeno un mese: Turchia e Giordania, abbiano posto dei filtri sul loro territorio per evitare che rifornimenti e combattenti confluissero all’ISIS.

    Si può affermare quindi, con sufficiente sicurezza, che gli USA avevano una strategia per l’ISIS fin quando è rimasto in Siria; a quanto pare l’hanno persa solo quando l’ISIS è dilagato in Iraq.

    Ma prendiamo in parola Obama e ipotizziamo che gli strateghi dell’ISIS lo abbiano sorpreso decidendo di loro sponte di riversarsi in Iraq. Può succedere che certe organizzazioni integraliste prendano la mano a chi crede di poterle tenere al guinzaglio per usarle contro i suoi nemici. E’ già successo in passato: può essere accaduto di nuovo. 

    Bene, ma come si spiega l’estrema lentezza degli strateghi militari statunitensi nell’elaborare una strategia differente? Sono ancora in ferie? Hanno altro da fare? Non è credibile.
    Non dico che debbano elaborare una strategia a lungo termine ma quantomeno una strategia di contenimento rapida a breve termine. Finora si sono limitati a qualche svogliata bombardatina, a dare un po’ di armi ai curdi, a inviare rifornimenti agli assediati. Giusto per rispondere allo sdegno dell’opinione pubblica.

    E allora, se non è per l’assenza di una strategia, perché questa lentezza di reazione?

    La risposta a questa domanda, a mio parere, la si ottiene rispondendo ad un’altra domanda: perché l’ISIS dopo tre anni di combattimento in Siria, approdati ad un sostanziale stallo a causa della resistenza del regime, decide improvvisamente di invadere l’Iraq?

    La risposta a questa domanda può essere sintetizzata così: è andato a fare provviste di uomini e mezzi. L’ipotesi è che avendo constatato l’impossibilità di abbattere Assad con la dotazione di armamenti e di combattenti che aveva a disposizione in Siria, l’ISIS abbia deciso di approvigionarsi di armi pesanti e di combattenti addestrati in Iraq per poi tornare a dare la spallata finale ad Assad.
    Per inciso: l’addestramento e le armi dei disertori dell’esercito irakeno che sono andati ad ingrossare le forze dell’ISIS sono stati forniti dagli americani.

    Se questa ipotesi è vera, se il motivo per cui l’ISIS è dilagato in Iraq è questo, allora si spiega l’attendismo americano: stanno dando all’ISIS il tempo di tornare in forze in Siria e abbattere il regime.

    In tal caso dovremmo assistere nei prossimi mesi al "successo" della reazione curda e irakena e al ripiegamento dell’ISIS in Siria.

    Per il resto si vedrà.

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