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Granfondo Roma, le biciclette e una gara tutta da vivere

Non sono mai stato un grande ciclista, lo confesso. Anche perché sono un romano, sto a Roma e tutti i ciclisti a Roma sanno che la Caput Mundi non è un paradiso per ciclisti. Quelli veri, quelli appassionati davvero come me, gente da corsa. Quelli che hanno la bici Campagnolo o Pinarello in garage e fremono ad ogni colpo rifilato dal pavé del centro storico al telaio.

Sarà stato per questo che, anni fa, mi capitava di guardare con malcelata invidia quelli che - a torto - consideravo i miei parenti poveri, i cicloturisti. Parenti poveri, d'accordo, ma le loro bici non temevano e non temono i sampietrini aguzzi, le buche e quello che rende la vita di noi bikers un piccolo inferno, a volte.

Già, il cicloturismo. Anche loro, pensavo, fanno migliaia di chilometri ogni anno, ma vivono la bici in maniera diversa: per loro è un'alternativa reale all'auto, all'aereo, al massimo usano il treno per trasferirsi in maniera più facile da una città all'altra. Insomma, la bicicletta può essere tante cose, persino tante persone diverse che amano lo stesso sport ma ciascuno dalla propria angolazione.

E non la cambierebbero, io non farò mai del cicloturismo, pensavo, per me la bici è solo quella da corsa, resterò per sempre nel novero dei ciclisti a Roma che sono costretti a fare decine di chilometri prima di immergersi in una strada praticabile, dove non ci siano troppe macchine e l'aria sia decente. Pensavo. Fino a quando, l'anno scorso, non ho letto qualcosa sulla GranFondo Roma. Piccola premessa: non sono mai stato un grande ciclista ma ho sempre letto volentieri articoli, libri, pagine web sulla storia del ciclismo. 

Immonde vicende di doping a parte, la ritengo un patrimonio dell'umanità, perché c'è dentro tutto, il progresso, il mondo che cambia, uomini che sono andati a cercare il limite, non il loro limite, spesso superandolo. Quando lessi della GranFondo Roma capii che quella era una corsa diversa. Importante, ma anch'io avrei potuto prendervi parte, previa un po' di dieta e un po' di allenamento. 

Così è stato, così sarà anche quest'anno. Non c'era solo Roma da sfidare, ma l'intero mondo del ciclismo. Ciclisti a Roma vs. cicloturisti, ma anche ciclisti lombardi contro ciclisti andalusi, ciclisti svedesi contro ciclisti siciliani. Era la corsa che sognavo, anche perché sarei andato tranquillo a correre fuori città, a cimentarmi su delle salite impegnative ma non impossibili; avrei avuto da scegliere la corsa da fare, avrei visto Roma e i dintorni di Roma dalla posizione più privilegiata del mondo: la sella di una bicicletta.

Questa era, un tempo, una cosa riservata a pochi: averla resa possibile a tutti è di per sé una cosa bellissima. Quest'anno io e i miei amici ciclisti a Roma abbiamo fatto le cose perbene in vista del 13 ottobre. Senza strafare, perché il nostro - voglio ribadirlo - è uno spirito da sportivi veri. Abbiamo fatto anche pace con il cicloturismo: la bici può persino svelare bellissimi angoli di mondo che altrimenti resterebbero nascosti. 

Il sito dell'evento

Foto: Fabiana/Flickr
 

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