Venezia – Teatro La Fenice, Mefistofele di Arrigo Boito
Dopo cinquantacinque anni torna nel Teatro del Selva l’opera che contribuì a rinnovare il melodramma italiano
Nato con l’intenzione di rinnovare l’opera italiana ispirandosi ai nuovi ideali estetici e alle tematiche di cultura germanica, il Mefistofele di Arrigo Boito vide la sua prima rappresentazione alla Scala di Milano il 5 marzo 1868. Boito riuscì così bene nell’intento di provocare una rottura col melodramma di stampo verdiano dell’epoca che l’opera suscitò scandalo e fu un insuccesso. Quella prima partitura non esiste più, ne rimane solo il libretto a stampa, ma l’intellettuale scapigliato autore del libretto e della musica vi rimise mano e, nel 1875 nella wagneriana Bologna, l’opera incontrò l’atteso successo.
La versione cui abbiamo assistito al Teatro La Fenice è quella che venne data il 13 maggio 1876 al Teatro Rossini di Venezia. Rispetto alla versione milanese era stata ridotta dalla durata delle cinque ore, ma venne arricchita per l’occasione della difficile fuga della ridda infernale e dell’aria di Margherita «spunta l’aurora pallida», e questa terza versione è rimasta la più quotata.
Boito trasse il libretto dall’opera di Goethe, Faust, cambiandone il titolo e mettendo in primo piano, grande novità, il personaggio del diavolo.
Moshe Leiser e Patrice Caurier, registi di questa produzione, raccontano una storia i cui contenuti universali consentono di narrarla in chiave attuale. Tratteggiano così Mefistofele come un emarginato, un reietto che non crede più in niente e Faust un inappuntabile intellettuale insoddisfatto, come un uomo preda dell’ansia conoscitiva che desidera provare la vita vera.
Mefistofele è un personaggio che nel prologo è collocato in un palcoscenico vuoto, abbandonato, si ingozza di cibo spazzatura e fuma guardando una TV il cui telecomando rotto gli consente ironicamente di seguire solo un canale, CATTOtv, che trasmette processioni e vicende sul Papa.
Tutto il resto della narrazione è l’esito delle allucinazioni provocate dall’iniezione di eroina che Faust accetta di farsi fare da Mefistofele a suggello del patto diabolico. Tutto è degrado, decadimento, perdita dei valori e ideali comuni a favore del consumo compulsivo dei nuovi idoli dei giorni nostri: droga, sesso sfrenato, gioco del calcio violento, alcohol, uso e consumo di qualsiasi genere, preferibilmente quello umano.
Nell’epilogo, deboluccio dal punto di vista teatrale, Faust lascia questa vita suonando il violoncello, quasi a trovare solo nella musica il sollievo cercato.
La messa in scena creata dai due registi, ma Leiser firma anche le scene, è ironica anche se arriva al pubblico in tutta la sua forza di degradazione morale.
I costumi di Agostino Cavalca sono coerenti con la visione registica e le luci di Christophe Forey estremamente curate e suggestive. Hanno efficacemente contribuito agli effetti desiderati i video di Etienne Guiol e le diversificate coreografie di Beate Vollack.
Sul piano vocale bravi i protagonisti. Alex Esposito, nel ruolo del titolo non perde mai il contatto col suo personaggio e il pubblico e anche la voce non smaglia una sfumatura, ma è anche troppo diabolicamente caricato, mentre Piero Pretti risulta più equilibrato nel suo personaggio di Faust. La sua voce, obbligata in una parte impegnativa rimane sempre potente, morbida nelle espansioni liriche e dotata del giusto squillo.
Maria Agresta è stata una Margherita plausibile, hanno completato felicemente il cast vocale Maria Teresa Leva nel ruolo di Elena, Kamelia Kader, Marta / Pantalis ed Enrico Casari, Wagner/ Nereo.
Orchestra e coro sono assolutamente protagonisti in quest’opera. Il Coro del Teatro, guidato da Alfonso Caiani ha offerto un’ottima prova sia dal punto di vista registico che musicale e altrettanto i Piccoli Cantori Veneziani istruiti da Diana D’Alessio.
Sul podio Nicola Luisotti, attento alla partitura in tutte le sue sfumature, ha saputo coinvolgere e tenere salda l’Orchestra del Teatro La Fenice che ha risposto dando prova di ottima forma.
Lunghi applausi ed entusiastico successo.
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