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Persio Flacco

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Ultimi commenti

  • Di Persio Flacco (---.---.---.226) 14 febbraio 2019 12:10

    Che non sia un reddito di cittadinanza: reddito minimo da corrispondere ad ogni cittadino privo di altri redditi, ormai dovrebbe essere evidente, eppure si continua ad insistere su questa discrepanza come se fosse importante. Lo si chiami come si vuole, si tratta di un sostegno economico, logistico, formatico a chi:

    è in povertà assoluta (reddito minimo);

    è senza lavoro perché lo ha perso (sussidio di disoccupazione);

    un lavoro non lo ha mai avuto (giovani che non lavorano e non studiano e sono a carico della famiglia);

    ha bisogno di un supporto per la ricerca di un lavoro (agenzia di collocamento);

    necessita di incrementare il livello della sua formazione per aumentare le occasione di occupazione (agenzia di formazione).

    La critica più pertinente che si possa fare al provvedimento semmai è: perché non è stato fatto prima, come si sarebbe dovuto fare in un Paese civile, invece che lasciare nell’indigenza più totale milioni di persone.

    Certo, il provvedimento è migliorabile. A mio parere andrebbero messe a disposizione foresterie comunali a basso costo per i lavoratori costretti ad accettare lavori distanti da casa, e abbonamenti gratuiti per il viaggio. Ma sicuramente il "reddito di cittadinanza" è meglio del nulla attuale.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.226) 10 febbraio 2019 19:38

    Quando si parla di contrasti tra Italia e Francia bisogna avere ben chiaro che si sta parlando di contrasti tra governi, o tra leadership politiche, non tra popoli. Questo risulta evidente anche solo tenendo presente che il movimento dei Gilet Gialli è sorto spontaneamente a causa del conflitto tra le linee guida del governo francese definite dal presidente Macron e una parte della popolazione francese. Di certo non a causa dell’appoggio del M5S al movimento stesso. Ed è del tutto normale che in vista delle elezioni europee di aprile le forze politiche che si prefiggono di cambiare radicalmente la struttura dell’Unione Europea cerchino di raccordarsi tra loro e organizzare un fronte comune.

    Sappiamo che Macron è stato eletto all’Eliseo grazie ad una ben studiata serie di azioni politiche (e non solo) che hanno messo fuori gioco alcuni pericolosi concorrenti; che, semisconosciuto, ha ricevuto un notevole credito dai mass media; che non si è realizzata l’unità a sinistra che avrebbe potuto esprimere un candidato alternativo; che ha votato per lui meno della metà degli elettori, molti dei quali posti di fronte all’aut aut o Macron o Le Pen. Se Emmanuel Macron è presidente della Francia non lo è di certo per la convinzione e per l’amore dei francesi. In tutto questo l’Italia e il governo gialloverde non c’entrano nulla, se non per il fatto che da quando governano (giugno 2018) hanno assunto una visione più spiccatamente orientata all’interesse nazionale e meno allineata alla posizione internazionale dei precedenti governi. Ed è del tutto normale che così sia, che Lega e M5S vedano l’ex banchiere dei Rothschild come il portatore di interessi forti e particolari loro avversari, così come lo vede una parte non irrilevante della popolazione francese.

    Così è normale che di fronte alle iniziali posizioni aperturiste di Macron nei confronti dell’immigrazione dall’Africa, poi prudentemente corrette per ragioni interne, Lega e M5S tirino fuori la questione del Franco CFA come nuova forma di colonialismo che impoverendo i paesi africani contribuiscono al fenomeno della fuga di quelle popolazioni verso l’Europa.

    Così come viene rimarcata la mancanza di reciprocità nei rapporti economici tra Francia e Italia, con la prima libera di fare shopping di aziende italiane anche strategiche per l’interesse nazionale (vedi telecomunicazioni, banche, assicurazioni, mass media, marchi del made in Italy) e dall’altra parte gli ostacoli governativi all’acquisizione di aziende francesi (vedi cantieri STX ed altre).

    E’ evidente che il governo Conte ha introdotto una discontinuità nei rapporti Italia Francia, dal momento che diversamente dai governi precedenti si è prefissato l’obiettivo di tutelare al meglio l’interesse nazionale. Del resto l’amicizia può nascere solo dal reciproco rispetto, altrimenti la si può chiamare anche in questo modo, ma è un’altra cosa.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.226) 8 febbraio 2019 23:39

    Dopo 30 anni di legge marziale sostenuta dalla magistratura allineata a Mubarak, a sua volta sostenuto fortemente dagli USA assieme all’apparato militare che da sempre in Egitto è la spina dorsale dello Stato e dell’economia e riceve contributi dal dipartimento di stato americano per garantire gli interessi di USA e Israele nella regione;

    dopo il brevissimo interludio di democrazia (il primo nella lunghissima storia dell’Egitto) con l’elezione di Morsi, grazie al disimpegno del primo Obama, quello del famoso discorso all’università del Cairo: "Sono qui per cercare un nuovo inizio fra gli Stati Uniti ed i musulmani nel mondo, basato sul mutuo interesse e sul mutuo rispetto.", non ancora fagocitato dai neocon-sionisti, che durante la presidenza Bush Jr. hanno infiltrato i loro uomini in tutta l’amministrazione americana; dopo la restaurazione del potere dei militari pilotato dal deep state di Washington e da MI6, Mossad, CIA, l’arresto e la condanna a morte di Morsi, grazie ai tradimenti e ai voltafaccia della opposizione al vecchio regime e alla vecchia magistratura asservita, dopo la feroce repressione del dissenso e, infine, il ripristino del vecchio ordine militare cliente degli USA, l’Egitto è tornato ad essere, con al-Sisi, ciò che era prima: uno spietato regime militare e il teatro di feroci scontri sotterranei tra regime e forze di opposizione. E’ in questo contesto che la tutor di Giulio Regeni, la professoressa Maha Mahfouz Abdel Rahman, dell’università di Cambridge, invia al Cairo il giovane ricercatore italiano a svolgere una "ricerca" nel ventre del Cairo sul sindacato degli ambulanti: organizzazione storicamente avversaria del regime. Giulio è stato mandato al macello in un contesto in cui da una parte gli oppositori del regime lo vedevano come emissario dell’MI6, sostenitore della restaurazione del regime militare, e dall’altra parte, dal regime, come elemento di aggancio dello stesso servizio al sottobosco dell’opposizione.

    E’ da qui che dovrebbe partire la ricerca della verità sulla morte di Giulio che, forse ingenuamente, contava su una rete di protezione dei servizi inglesi che invece è venuta a mancare. Da qui, e dall’analisi dei rapporti tra Italia ed Egitto nel momento in cui l’ENI scopre Noor: il più grande giacimento di gas naturale del Mediterraneo, ed è nella posizione più favorevole per aggiudicarsene i diritti di sfruttamento, in vantaggio sulle compagnie statunitensi, inglesi e francesi.

    In questo contesto il regime di al-Sisi non avrebbe avuto alcun interesse a commissionare l’omicidio di Giulio: gli sarebbe bastato espellerlo. Al contrario erano evidenti gli interessi delle altre compagnie petrolifere e dei relativi Stati a guastare i rapporti tra Italia ed Egitto in modo che l’ENI perdesse la sua posizione di vantaggio.

    E’ probabile che le circostanze della morte di Giulio non saranno mai chiarite, anche perché ad essere interpellato è solo il regime egiziano mentre di certo sono altri i soggetti coinvolti nella trama che ne ha fatto un martire da spendere per questioni in cui sono coinvolti enormi interessi economici e geopolitici.

    Dunque smettiamola di farci strumentalizzare nella ricerca di giustizia per Giulio facendoci guidare da una verità parziale, perché in questo modo si uccide Giulio una seconda volta.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.226) 7 febbraio 2019 21:26

    Il regolare ripetersi dei "naufragi" nel corso degli anni dovrebbe almeno alimentare qualche dubbio sul fatto che si tratta di una strategia che fa perno sull’obbligo di salvataggio in mare. Un obbligo nato dagli usi della marineria che precedono qualsiasi normazione stabilita dai trattati internazionali: per un marinaio salvare il naufrago è un antico obbligo morale prima che legale. Purché il naufrago non affondi volontariamente la propria imbarcazione; purché non sappia preventivamente che l’imbarcazione per la sua inadeguatezza farà naufragio; purché il naufragio non diventi un "metodo" per innescare una serie di atti il cui scopo finale è l’essere condotti la dove si voleva andare fin dalla partenza.

    In tal caso il ricatto morale e la strumentalizzazione delle leggi del mare diventano mezzi evidenti per rendere impossibile fermare chi vuole approdare sulle coste di Europa a prescindere dalla volontà di chi accoglie e dal diritto dei "salvati" a mettere piede sul suolo di uno Stato sovrano.

    Tutto questo è di una chiarezza evidente, tanto che chi non lo vede è perché non vuole vederlo, perché ideologicamente ritiene che la sovranità debba soccombere ai "diritti umani" dei naufraghi, anche se volontari e in numero di milioni.

    Secondo questa ideologia "umanitaria" chi è stato salvato dal mare matura "diritti" individuali che prevalgono su ogni altro diritto collettivo, come il diritto del governo di uno Stato sovrano di regolare l’attraversamento delle frontiere da parte dello straniero, prima ancora di averne accertata l’identità, la provenienza, gli scopi.

    Questo rende ridicola e posticcia l’accusa di sequestro rivolta da alcuni magistrati al ministro dell’interno che, nell’esercizio delle sue funzioni, ha il dovere di proteggere i confini e di accertare il diritto dello straniero di mettere piede sul suolo nazionale. Tanto più nel momento in cui è in atto una forte vertenza con gli altri Paesi dell’Unione Europea circa la ripartizione degli immigrati.

    Questo genere di magistrati disonora la funzione giurisdizionale piegandola alla loro peculiare visione ideologica.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.23) 13 gennaio 2019 21:43

    Riguardo al codice di navigazione e, in generale, alle norme codificate nei trattati, non entro nel merito. Voglio invece sviluppare un breve ragionamento sugli usi del mare, su quell’insieme di comportamenti che la gente del mare segue a prescindere da leggi e codici e che ha una storia antica quanto la navigazione. Una di queste antiche norme obbliga il navigante a salvare il naufrago. Non c’è molto da dire su questo, tanto è immediatamente comprensibile a tutti e condivisibile da chiunque il dovere di salvare chi ha fatto, o sta per fare, naufragio.

    Questo obbligo però vale quando il naufragio è un evento fortuito, non voluto, non cercato. Ma se a fare o a rischiare il naufragio è chi si è avventurato in mare su un battello sapendo che questo non sarebbe stato in grado di evitare l’affondamento, come sarebbero accolti a bordo dai salvatori i naufraghi? Non bene immagino, perché in mare ogni cosa comporta rischi e fatica, e salvare chi si è consapevolmente messo a repentaglio non può essere ben visto dai marinai.

    E quando questi naufragi, effettivi o rischiati, dovuti a imbarcazioni inadeguate si ripetono nel tempo non una ma mille volte, e i naufraghi non sono decine ma centinaia di migliaia?

    E quando altri dopo di loro, in una serie di cui non si vede la fine, continuano ad avventurarsi per mare su imbarcazioni che non potrebbero portarli dove sono diretti e quindi si dirigono verso l’inevitabile naufragio, valgono ancora gli usi del mare oppure gli usi del mare vengono strumentalizzati da chi consapevolmente si espone al naufragio per essere salvato?

    E’ evidente che nel giudicare un fenomeno che coinvolge centinaia di migliaia di persone e che si estende nel tempo è improprio usare un codice di comportamento pensato per eventi fortuiti e sporadici. Il naufrago va salvato sempre e comunque, su questo personalmente non ho alcun dubbio, ma è evidente che limitarsi a questo imperativo morale, oltre che giuridico, implicherebbe l’accettazione passiva di un fenomeno di vasta portata che comporta notevoli conseguenze a livello nazionale e geopolitico. Eppure si continua a sentire l’appello: "Dobbiamo salvarli", che alla luce di quanto detto sopra appare del tutto riduttivo e strumentale.

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