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Persio Flacco

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Ultimi commenti

  • Di Persio Flacco (---.---.---.183) 19 dicembre 2014 22:00

    Sono daccordo con 115 (19 dicembre 13:38) e con 182 (19 dicembre 18:47): la libertà dal vincolo di mandato (e a maggior ragione dal vincolo di partito) è condizione essenziale affinché il Parlamento svolga la sua funzione di rappresentanza libero da condizionamenti. Lo scopo del costituente era di rendere il parlamentare libero da qualunque condizionamento, schiavo solo della sua coscienza. Anche a prezzo di consentirgli di tradire i propri elettori, di farsi eleggere sulla base di un programma politico e poi, una volta eletto, di disattenderlo o di contraddirlo.

    Purtroppo la cosiddetta "costituzione materiale" si è separata dalla Costituzione formale per almeno due aspetti sostanziali: il potere dei partiti nella selezione dei candidati e l’usurpazione del potere legislativo da parte del Governo. Questo ha fatto rientrare dalla finestra il vincolo sul parlamentare che il costituente aveva fatto uscire dalla porta.

    Inutile dire che le leggi elettorali che si sono succedute nel corso del tempo hanno teso con sempre maggiore decisione a mettere nelle mani dei partiti, cioé delle loro segreterie, il potere di vincolare i parlamentari al loro volere. Capolavoro in tal senso è stato il cosiddetto Porcellum: la legge elettorale porcata che con liste bloccate e vari artifici mira a vincolare i parlamentari al capo del partito al quale debbono candidatura ed elezione.

    L’altro elemento che di fatto limita fortemente la libertà costituzionalmente garantita al parlamentare è l’uso improprio della decretazione, che espropria il Parlamento della sua funzione legislativa e richiede ai parlamentari la fedeltà al Governo per garantirgli una maggioranza, senza la quale i suoi decreti non passerebbero.
    A rendere convincente il richiamo all’ordine è principalmente l’uso, anch’esso improprio, della questione di fiducia, con la quale il Governo ricatta il Parlamento.
    In parole semplici il Governo pone un aut aut al parlamentare: o ti sottoponi alla disciplina del partito e mi garantisci una maggioranza che approvi i miei decreti oppure mi dimetto; le Camere vengono sciolte; tu perdi la tua poltrona; e quando si andrà a nuove elezioni, e dovranno selezionare i candidati da presentare, il partito si ricorderà del tuo "tradimento" e ti escluderà dalle liste.
    In realtà non sta scritto da nessuna parte che il venir meno della maggioranza parlamentare che ha accordato la fiducia al Governo comporti automaticamente le dimissioni di quest’ultimo. Il Parlamento può sfiduciare il Governo, è vero, ma con determinate modalità e su specifica iniziativa di un congruo numero di parlamentari.
    La Costituzione specifica che un voto contrario ad un decreto governativo (che deve essere motivato da gravità e urgenza) non comporta affatto la decadenza del governo. E’ contrario alla Costituzione che il Governo si dimetta per il rigetto del Parlamento ad un suo decreto.
    E’ invece "conforme" alla "costituzione materiale" che il governo si dimetta se non può più esercitare la funzione legislativa della quale ha espropriato il Parlamento.

    Questo stato di cose anomalo: contrario allo spirito e alla lettera del dettato costituzionale, è talmente diventato senso comune che assai pochi ormai si scandalizzano se un capo partito addita al pubblico ludibrio come traditore o disfattista il parlamentare che, esercitando le sue prerogative, si sottrae ai suoi diktat. E questo rende fattibile il verificarsi proprio di quelle situazioni che i padri costituenti si sono sforzati di escludere: l’accentramento del potere nelle mani di pochi o di uno solo.

    Oggi due capi partito possono stipulare tra loro un patto segreto e darvi attuazione disponendo provvedimenti legislativi e anche modifiche alla Costituzione. Un abominio che legittima la definizione di "partitocrazia", opposto a "democrazia", da molti affibbiata all’ordinamento materiale vigente in Italia.

    E’ quindi evidente che l’agente patologico che rende deformi le istituzioni di questo Paese non sono i "voltagabbana" in Parlamento: per quanto possano essere moralmente censurabili i motivi che spingono un parlamentare a cambiare schieramento non è questo che lede la Costituzione. A stravolgere la Costituzione e a rendere la democrazia in questo Paese una caricatura, è il sistema all’interno del quale l’esercizio della libertà dal vincolo di mandato è definito come tradimento.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.183) 16 dicembre 2014 19:13

    @Fabio Della Pergola - 15 dicembre 10:25

    - Persio Flacco è noto per essere un "troll in giacca e cravatta" come fu definito altrove. -

    Non so quale "altrove" frequenta lei ma tenga presente che in genere i troll non perdono tempo ad argomentare coerentemente le loro tesi e che, sempre, hanno uno scopo occulto che non attiene al luogo che frequentano.

    Il fatto è che lei non tollera di essere contraddetto.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.183) 16 dicembre 2014 19:04

    @103 - 15 dicembre 10:03

    - @Persio Flacco, io non so se le sue risposte sono dettate da ignoranza del problema o cattiva fede. -

    Dunque mi lascia la scelta se definirmi ignorante o in malafede. Beh, riconosco che l’ignoranza non mi difetta; di malafede invece ne ho sempre avuta assai poca. Semplicemente trovo la malafede spiacevole, dunque la evito; l’ignoranza invece la subisco come un limite inevitabile.
    Lei invece, temo, non legge con attenzione.

    - Le faccio presente che lei ha definito, in modo scorretto, la scuola come un luogo pubblico mentre non lo è ed è per questo che ha ricevuto quel mio commento.
    La scuola è una un edificio delle istituzioni aperto al pubblico in modo regolamento, non è l’equivalente di una strada. -

    La scuola è un luogo pubblico regolamentato (come ogni altro luogo pubblico peraltro), ma tale regolamentazione, che limita e disciplina l’accesso dei cittadini sotto vari aspetti, non discrimina la confessione religiosa dei medesimi.
    Ciò significa che riguardo alla laicità dello stato e al rapporto di quest’ultimo rispetto alla manifestazione di identità confessionale del cittadino, al netto delle limitazioni dovute alla funzionalità del luogo, la scuola equivale a qualsiasi altro ambito pubblico.

    - Detto questo, dovrebbe ben sapere che nessuno ha il diritto, contrariamente a quanto afferma, di inserire simboli religiosi in edifici della pubblica amministrazione. Nè utenti, né chi ci lavora.
    C’è stata una sentenza della cassazione a riguardo, che parla di laicità per addizione (esporre di tutto come suggerisce lei) e laicità per sottrazione (non esporre niente). La conclusione della cassazione è che il crocifisso può essere esposto per il famoso regolamento del 26, che impone anche l’affissione della foto del re.
    PER ESPORRE SIMBOLI DI ALTRE RELIGIONI SERVE UN ANALOGO INTERVENTO DEL LEGISLATORE, che deve scegliere cosa sia lecito oppure no. -

    Le sfugge il fatto che questa non è una disquisizione giuridica: non si limita all’ambito giurisprudenziale, altrimenti non potremmo che prendere atto delle sentenze. Invece possiamo concordare che non è affatto giusto (leggi: contraddittorio rispetto ai principi costituzionali) che tra antiche norme mai revocate e disposizioni legislative mai emanate, in certi uffici pubblici sia imposto il crocifisso e vietato qualsiasi altro simbolo religioso.

    - Questo significa che al contrario di ciò che dice nessuno ha il diritto di esporre simboli religiosi a propria scelta in un pubblico ufficio, non ha potuto farlo neanche un giudice, neanche affiancando la menorah al crocifisso. Gli è stato vietato. -

    E questo non è giusto.
    Al giudice era stata offerta la possibilità di svolgere le udienze in una stanza priva di crocifissi. Giustamente ha rifiutato, dal momento che la sua battaglia aveva un senso più generale.

    - Dal momento che nessun regolamento o legge parla di presepi, ma solo di crocifissi, immagino che la presenza della menorah e del presepe siano allo stesso modo non legittimate da alcun riferimento normativo. Non si capisce per quale motivo però il presepe sia permesso, o meglio si capisce: è una sorta di imposizione sdoganata dall’uso capione. -

    Il tema di questa discussione, partita dall’articolo di Serra, non è l’imposizione del crocifisso nei luoghi pubblici bensì il divieto di un preside di fare il presepe nella sua scuola.
    Se è laico lo stato non può né imporre un particolare simbolo religioso né può vietare al cittadino la manifestazione della propria identità religiosa nei luoghi pubblici, salvo che il divieto non sia motivato da ragioni non discriminanti.
    Non mi pare complicato da capire.

    Proibire il presepe a scuola è stato un errore da talebano laicista. Tanto più se fare il presepe è una consuetudine di quella scuola; se la cosa non avrebbe turbato la didattica; se non vi fosse stato impedimento ai credenti di altre confessioni di fare qualcosa di analogo; se fare il presepe (o altro) sarebbe servito come esercitazione pratica.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.183) 14 dicembre 2014 19:31

    Di 103 - 14 dicembre 16:29
    "@Persio Flacco, guarda che le scuole non sono luoghi pubblici, ma luoghi istituzionali APERTI al pubblico in modo regolamentato. Prova ad entrare in una scuola alle 21 e vedi se non ti ritrovi in un commissariato a spiegare perché hai cercato di forzare uffici della PA chiusi. Idem per gli uffici del comune o qualsiasi altro luogo che rappresenti lo stato e il cui accesso sia regolamentato."

    Guarda che non ho mai rivendicato il diritto di intrufolarmi in qualche scuola per metterci su un presepe. Dove hai letto una tale frescaccia? Ho invece detto che quelli che nella scuola di cui si parla hanno titolo di starci per lavorare, imparare, seguire i figli, hanno anche diritto di farci il presepe o un albero di natale, se lo desiderano.
    Oppure di mettere su un altra raffigurazione di loro gradimento.
    Ho detto anche, e pensavo piuttosto chiaramente, che a mio parere la funzione del preside è quella di garantire a tutti quelli che hanno titolo di stare in quella scuola di poterla agire ognuno manifestando apertamente la propria specificità religiosa o di altro genere. Compatibilmente con le esigenze funzionali dell’istituto e il rispetto delle norme, è ovvio.

    Quanto alla distinzione tra luogo istituzionale e luogo pubblico si tratta di una questione di lana caprina. Il punto è il rapporto tra stato e cittadino in merito alla pubblica manifestazione di specificità religiose e/o culturali da parte di questi ultimi. Anche l’accesso dei cittadini alla pubblica via è posto sotto l’autorità regolatrice dello stato. La differenza col cosiddetto luogo istituzionale è nella maggiore limitazione all’accesso dovuta alla specifica funzionalità del luogo.

    "Tra parentesi la costituzione dice che i pubblici uffici devono essere gestiti in modo da garantire funzionalità e IMPARZIALITA’."

    E io che ho detto? Quello che tu e mr. fdp non volete capire è che il dovere di imparzialità di uno stato laico e liberale consiste nel garantire l’accesso ai luoghi pubblici, compresi i cosiddetti "luoghi istituzionali", a ogni cittadino così come è: con tutta la sua singolarità personale o di gruppo.
    Soprattutto non deve vietare la manifestazione di specificità del cittadino con la motivazione che questa non è gradita ad altri cittadini con gusti, orientamenti, confessioni, diverse da quelle.

    Se questa motivazione fosse ritenuta valida, ad esempio, per coerenza sarebbe legittimo vietare il gay pride, dal momento che un certo numero di cittadini potrebbe essere disturbato dall’ostentazione nei luoghi pubblici di orientamenti sessuali diversi dai loro. Tanto per citare una particolarità diversa da quella religiosa.

    Per fortuna non è così che funziona: gli intolleranti si mettano il cuore in pace.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.183) 14 dicembre 2014 11:55

    Fabio Della Pergola  14 dicembre 02:03

    "Ci mancherebbe anche che qualcuno protestasse per una processione (ma se fosse una processione islamica scommettiamo che qualcuno protesterebbe ?). Una processione si tiene in posto aperto e nessuno la può impedire se non violando i diritti delle persone che vogliono manifestare la propria fede. Così come nessuno nega il diritto di fare un presepe in piazza, sul sagrato di una chiesa, in una sacrestia, in un circolo, in case provate, nei giardini o ovunque...ma gli ambienti istituzionali sono altra cosa."

    Tutti gli spazi pubblici (e in qualche misura perfino gli spazi privati) sono posti sotto il controllo dell’autorità dello stato, che ne regola l’accesso, che concede, nega, condiziona, il loro uso da parte dei privati cittadini, associati o meno che siano.
    La scuola non fa eccezione: è uno spazio pubblico, solo che è limitato ai cittadini che hanno titolo ad accedervi.
    Ne vale obiettare che la scuola è uno spazio pubblico destinato alla didattica, perché è didattica anche coinvolgere i bambini in una attività pratica come quella di costruire il presepe.

    Ma anche se non vi fosse attinenza con la finalità istituzionale del luogo, anche se si trattasse ad esempio di un albero di natale messo nell’androne di una facoltà universitaria dai bidelli o dall’iniziativa di qualche docente o da un gruppo di studenti: come per altri luoghi pubblici, chi rappresenta lo stato può legittimamente negare questo genere di manifestazioni di particolarismo confessionale purché sia per motivi diversi da quello dell’offesa all’altrui (o alla propria, del rappresentante) sensibilità religiosa.

    Potrebbe negarla per cento altri motivi: agibilità, sicurezza, igiene, ordine pubblico, ecc. ma non con questa motivazione. Non avrebbe diritto di farlo perché la laicità dello stato consiste nel garantire a tutti i cittadini, di qualunque confessione, colore, ideologia, orientamento sessuale, genere, ecc. l’accesso ai luoghi pubblici.
    Lo ripeto: la laicità dello stato si sostanzia nella imparziale INCLUSIONE di ogni diversità, non nella loro imparziale ESCLUSIONE.

    Per questo stesso motivo chi rappresenta lo stato non può imporre, in nessun luogo posto sotto la sua autorità, un particolare segno religioso. Lo stato laico non può essere parziale, non può avere una sua propria connotazione particolare.

    "togliete dai piedi quei crocefissi dagli spazi pubblici e smettetela di infastidire la mia diversità!"

    I crocifissi nei luoghi istituzionali non possono essere imposti dall’autorità dello stato, sono daccordo. Se a volerli fosse una maggioranza di cittadini allora lo stato dovrebbe garantire lo stesso diritto ad esporre accanto a quello il proprio simbolo religioso a tutte le altre confessioni.
    Ma se la sola vista di un crocifisso la infastidisce allora lei ha un problema di intolleranza verso i cristiani.
    Se è così farebbe meglio a manifestare apertamente la sua idiosincrasia: ne ha tutto il diritto, invece che strumentalizzare concetti delicati come la laicità dello stato.
    E’ un concetto delicato perché riguarda la convivenza civile, la reciproca tolleranza, la sostenibilità della convivenza tra identità culturali e religiose diverse in società complesse e percorse da tensioni potenzialmente esplosive.

    Infatti, come avrà notato, il suo articolo è riuscito a dare voce a posizioni oltranziste, a suscitare scontri verbali di tipo etnico religioso ideologico, e non mi pare onesto che pur di dare addosso ai cristiani lei fomenti un clima di intolleranza.

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