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"Marocchini? No grazie." L’Atm assume solo italiani

Vietato lavorare. Per gli immigrati che soggiornano in Italia, la prossima frontiera delle proibizioni potrebbe essere questa.

Mohamed è un giovane diplomato, con un curriculum di tutto rispetto. Vuole entrare nell’ATM, l’azienda di trasporti milanese. Chiede di poter lavorare come elettricista. Ma ha un unico grande difetto: la nazionalità. Mohamed è marocchino. Più di una provenienza, un marchio. L’ATM, infatti, non intende valutare candidature di lavoratori stranieri. L’azienda milanese si è appellata ad un Regio Decreto del 1931 (di epoca fascista), per giustificare la sua scelta. Tale legge, evidentemente, impediva agli stranieri di essere assunti presso un’impresa italiana. Il provvedimento non è mai stato abrogato.


Mohamed, da par suo, si è appellato ad un giudice chiedendo di far considerare tale norma discriminatoria ed iniqua per l’attuale società. I dirigenti di ATM si difendono con osservazioni del tipo: "Il servizio di trasporto pubblico comporta delicati aspetti legati alla sicurezza dei cittadini. Abbiamo ripreso una norma del 1931 anche per salvaguardare la cittadinanza da eventuali attentati. E’ proprio di questi giorni la notizia che cinque maghrebini avrebbero organizzato un attentato nella metropolitana milanese". L’azienda non ne vuole sapere di strumentalizzazioni di carattere politico e fa sapere: "Il legame personale del cittadino allo Stato può dare maggiori garanzie in relazione alla sicurezza e incolumità pubblica. Forse per questo motivo il Legislatore italiano non ha provveduto ad abolire tale norma. Ad ogni modo siamo pronti a una revisione costruttiva del Regio Decreto in modo da aprire il mercato del lavoro anche agli extracomunitari. Atm ribadisce il pieno e totale rispetto delle norme vigenti."

La vicenda di Mohamed fa il paio con le tante storie di extracomunitari costretti a convivere con lo "stigma" della nazionalità che portano. A Napoli, ad esempio, una ragazza non è stata ammessa all’esame di maturità perchè sprovvista del permesso di soggiorno, pur essendo bravissima e, probabilmente, più meritevole del diploma rispetto ai suoi compagni di classe. Nel mondo post-moderno, dominato dalle immagini e dai marchi, a tutti i livelli, la clandestinità diventa uno status, una barriera che separa i buoni dai cattivi, indipendetemente dalla reale onestà delle persone. E così il permesso di soggiorno diventa l’abito di marca degli extracomunitari, una chiave per essere accettati nella società. C’è un interrogativo profondo, però, a cui nessuno ha mai saputo dare risposta con sincerità. Affermava lo studioso Yann Moulier Boutang "è singolare come nell’epoca della globalizzazione, alla libera circolazione delle merci non corrisponda un’altrettanto libera circolazione delle vite umane". Chissà, forse sono i primi sintomi di una subcultura che considera le cose, le merci, ma, soprattutto, il denaro che esse portano, più importanti e preziosi delle persone.

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