Suviana: dolore e rabbia, ma mai rassegnazione per le morti bianche
Ennesima strage sul lavoro, gente come noi che si alza tutte le mattine per andare a lavorare ma che poi non torna mai più a casa: tre morti, cinque feriti gravi e quattro dispersi.
E’ questo il tragico bilancio, ancora provvisorio, dell’esplosione avvenuta ieri nella centrale di Bargi nei pressi del lago di Suviana, nel bolognese. Ad esplodere e provocare l’incidente sarebbe stata una turbina durante la messa in opera di adeguamenti della centrale.
E poi le solite parole di circostanza da parte di chi invece dovrebbe mettere in sicurezza il lavoro e i lavoratori.
Il rischio di morire sul posto di lavoro oggi appare ovunque, anche nei contesti tecnologicamente più avanzati e sofisticati che nell’era moderna dei computer e dell’intelligenza artificiale immaginiamo protetti da sistemi di controllo supertecnologici atti ad evitare le tragiche conseguenze di un mal funzionamento di un macchinario o di un errore umano. Conseguenze tragiche che si traducono innanzitutto in termini di perdita di vite umane.
Istituzioni, politica, sindacato, impresa e responsabili dell’organizzazione del lavoro e della sicurezza non possono considerare inevitabili certi incidenti.
E noi cittadini, noi lavoratori non dobbiamo rassegnarci allo stillicidio delle morti sul lavoro, non dobbiamo dare per scontato che morire di lavoro sia una fatalità, una disgrazia che può capitare e che deve essere messa comunque in preventivo soprattutto per ‘certi lavori’.
Non possiamo e non dobbiamo accettare che un lavoratore che esce di casa per andare a lavorare possa solo sperare di tornarci vivo e sano.
Tutto questo ha logicamente un costo in termini di tempo e di risorse sia economiche che di capitale umano. Ma la vita, la salute e il benessere di chi lavora per portare a casa la pagnotta, non ha prezzo.
Un prezzo che purtroppo ancora oggi dopo l’ennesima strage è troppo alto: un prezzo che i lavoratori pagano con la loro vita!
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