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Guerra, paura... debito. La terza via del controllo sociale

La verità è il debito. Sarà fatto tutto a tempo debito. “Rimetti a noi i nostri debiti”. C'è un debito da pagare, una transazione da rispettare, i creditori, le banche, e poi ci siamo noi. C'è la vita. D'un tratto ti abituano che i debiti vanno fatti per vivere bene. Per dare da mangiare, per creare lavoro, per far circolare la moneta. Ad un lasso di tempo successivo, invece, le carte in tavola cambiano.

La verità, che nel mondo capitalistico è sempre una costruzione di chi detiene il potere e non è mai unica e incontrovertibile, da qualche mese si esprime, attraverso il sapiente filtro dei media, sul fatto che il debito va pagato. E che il male si annida in chi fa debiti e che va estirpato in maniera scientifica, come un corpo maligno dalla radice di un albero, che, altrimenti, non potrà generare buoni frutti.

La saga del biopotere al tempo dell'Eurozona e della BCE si esprime attraverso la gestione dei debiti degli Stati-nazione, aderenti alla UE. I governi nazionali, privati di potere, si assoggettano ai dettami neoliberisti di un organismo, una governance, a tratti invisibile. Ne sentiamo i nomi. Ci sembrano lontani, distanti. Mostri invisibili eppur spaventosi. Spuntano dai laghi, tra le nebbie. Sono falchi e colombe, sempre in giacca e cravatta. Si riuniscono in un gruppo di venti e decidono, chiusi in una stanza, il da farsi, senza dare fastidio a quest'entità intangibile. La chiamano Europa. Ma sembra più uno strumento di mera gestione delle popolazioni. “Dovete fare le riforme”. Altre parole. Chiacchiericcio buono per i titoli dei TG. Ma cosa significa in realtà? E perché, magari nei bar di periferia, si annida tra i discorsi la verità raccontata dal potere? “Si è vero, dobbiamo fare le riforme. Andiamo in pensione troppo presto. Il posto fisso non esiste più. É giusto liberalizzare le società pubbliche e il mercato del lavoro”. Ma chi lo dice? Quando e perchè?

Molti forse non si rendono conto, non percepiscono, che al giorno d'oggi, la crisi di legittimità delle Istituzioni, presuppone un'accettazione acritica dello stato di cose. “Noi vi diciamo come stanno le cose. E vi diamo le soluzioni. Sta a voi decidere. Scegliete tra l'ordine dell'euro e il caos”.

E così via con le “riforme strutturali”. Altre parole pronunciate a caso. Che però significano che tuo padre non può andare in pensione prima di 67 anni, o che, se è stato licenziato, non troverà mai più lavoro e non percepirà quella pensione. Significano l'esproprio di beni pubblici. Come l'acqua. Significano la precarietà del lavoro e della vita. L'uomo-merce. Nel '700 l'ascesa della borghesia, come scrive Foucault, ebbe da correlato la nascita della disciplina e, ad esempio, la repressione e la reclusione dei folli, furono una delle sue conseguenze. Il folle veniva recluso non tanto perchè alla borghesia importasse qualcosa del folle, ma perchè non poteva far parte dei processi produttivi, di accumulazione del capitale.

Oggi assistiamo a un salto di livello. Alla disciplina coercitiva si è sostituita l'autodisciplina. Il curare il proprio aspetto, l'essere sempre in forma ed efficienti. L'essere estroversi, sorridenti, capaci e funzionali. Avere tanti amici su Facebook e soprattutto non pensare. Giudicare, certo. Da dietro a un pc. Certo. Ma pensare no. Quello mai. Altrimenti come si fa ad accettare acriticametne la produzione di verità imposta dalle classi egemoni e dalle governance?

Un tempo la gestione del potere e, dunque, delle popolazioni, avveniva attraverso le guerre. Conflitti religiosi o in nome di rivendicazioni identitarie, legate, in realtà, alla sottrazione di terra altrui. E così il “popolo” partecipava in massa, col corpo e con lo spirito, alle guerre della Nazione. Si sentiva coinvolto, ne era felice. L'apice delle strategie belliche avvenne col Nazifascismo. I morti lasciati sul campo e la terribile scoperta dell'Olocausto, però, fecero cambiare strada. E così mentre la storia faceva il suo corso e l'individuo si scopriva artefice del proprio destino, rivendicando, di volta in volta, sempre più diritti, il potere attuò la tattica della paura. La classe egemone non doveva avere paura. Attentati, bombe, tumulti e sommosse. L'inevitabile dose di progresso e di elargizione doveva arrestarsi all'alba degli anni '80.

Poi venne il 1989 e la globalizzazione che, in realtà è stata la vittoria di un mondo a discapito di un altro. E via con l'abbuffata capitalistica degli anni '90. Privatizzazioni e innesto di una stagione che sarebbe stata quella della precarietà assoluta nel mondo del lavoro, ma soprattuttto del capitalismo finanziario. “Cosa costruisci a fare nuove fabbriche in Occidente? Lì i soldi li accumuli con la finanza derivata. Le industrie valle a fare nel Terzo Mondo. Non ci sono i sindacati e puoi trovare ancora degli schiavi. Pensa un pò”.

Delocalizzazioni e altafinanza. Le banche in auge fino al 2007. Poi la “crisi”. “Il debito”. “Il declino”. La paura doveva essere sotituita da un altro ordine del discorso. “Abbiamo fatto troppi debiti”. Ma chi? Non certo un dipendente statale da 1200 euro al mese. Non certo un precario da 700. Non certo una maestra o un artigiano. “Lo stato si è indebitato troppo. Abbiamo bisogno delle riforme strutturali per andare avanti”.

E così, mentre la vita scorre tra un lavoro a progetto e un altro, lo Stato vara le sue riforme strutturali, per andare avanti. Perchè “il debito” è solo un altro degli strumenti a sua disposizione per gestirci/Vi. E non è mai stato un problema finchè alle governance andava bene così. Diventa un problema, guarda un po', quando in Grecia eleggono un governo che, nelle intenzioni, sembra proporre un modello alternativo a quello dominante. E così il debito che, fino a poco tempo fa, se ne stava buono ed era ai margini dei discorsi, soppiantato dai fenomeni migratori, viene fatto “esplodere” come una bomba deflagrata sulle spalle del popolo greco. Una forma di ricatto. “Non ci piace il presidente che avete eletto. O pagate ora i nostri debiti o vi blocchiamo i conti correnti”. That's it.

Se non si riesce a comprendere come, di secolo in secolo, le classi dominanti, producano verità e discorsi assolutamente arbitrari, pur di infondere legittimità rispetto ai loro interessi particolari, coloro che classe egemone non sono, e non lo diventeranno mai, avranno sempre la sensazione di essere sottomessi. Sensazione, che, probabilmente, è anche una verità. Perchè concedersi come corpi/menti oggetto di discorsi provenienti da chi detiene il potere? Perchè non provare a sviluppare pratiche alternative, soprattutto di vita e di vitalità, ai processi produttivi?

La produzione, come il consumo di merce (di cui non si ha bisogno) non è mica una religione. Esiste un mondo fuori da questa spirale. Basta vederlo.

 

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