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Ma dove vai se la riforma non la fai?

Capiscono di scuola quelli che la riformano? Sanno che una delle principali cause del suo scadimento è proprio il modello aziendalista che tanto li riscalda?

Una bella pensata “di sinistra” che da sedici anni scarica dentro il sistema una massa di “attività” extra che sono spesso purissimo fumo, pagato con un pauroso sperpero di tempo. Sanno che nella scuola italiana si saltano lezioni per incontrare piloti di rally, romanzieri, bancari, carabinieri, ginecologi, l'AVIS, e, se del caso, una “suora che balla”? Risulta loro? Sanno che gli studenti delle quinte (i maturandi) tra marzo e aprile vengono “orientati”?

Cioè più volte portati in giro tra stand fieristici, cittadelle universitarie, panchine, vialetti, depliants e quattro chiacchiere con patetici imbonitori. Sanno del tourbillon di “olimpiadi”, “concorsi”, “giornate”, e dei fondamentali “scambi turistico-culturali”? Sanno che terminare corposissimi programmi e verificarne onestamente l'assimilazione è, in questo perenne manicomio, cosa che oramai rasenta l'eroico? Che l'imposizione per pura demagogia degli insulsi registri elettronici ha praticamente raddoppiato il lavoro burocratico, dato che tutti tengono nota su carta di quel che fanno? Che tra adolescenti col cervello frullato dall'elettronica tascabile, genitori impegnati a far loro da sindacalisti, dirigenti sempre più inclini ad ascoltare gli uni e gli altri, la classe docente vive un'indegna condizione di intimidazione? Sanno che significa, oggi, parlare per quattro ore a giovani di questo tipo?

Prodotto dell'imbalordimento di massa seguito a vent'anni di reality show e altra varia spazzatura televisiva cui la TV di stato non è affatto estranea. Riescono ad immaginare quale probabile criterio userebbe per valutare i professori la costituenda commissione con dentro genitori e studenti? Azzardiamo? Socievolezza, manica larga, molti “extra” e inchini al dirigente.

Un'ultima domanda: lo sanno, il caro leader, la ridente ministra, gli impagabili sottosegretari, e tutto questo codazzo di gente arrembante che fa acutamente rimpiangere Moro e Fanfani, che gli insegnanti in maggioranza votavano PD?

 

Commenti all'articolo

  • Di Persio Flacco (---.---.---.55) 26 maggio 2015 01:23

    Qualche giorno fa sono andato a parlare con l’insegnante di matematica e fisica di mia figlia, che è al quinto anno del liceo artistico. In fisica ha un buon voto, in matematica invece ha bel quattro tondo. Scopo della mia visita era cercare di ottenere per lei un’altra possibilità di alzare la sua media per accedere all’esame evitando di ripetere l’anno. Obiettivo fortunatamente raggiunto: a lei ad altri ragazzi della classe il professore ha concesso un’ultima verifica, che per mia figlia ha fruttato un bel sette. Peccato che in base ad algoritmi che ignoro la media calcolata è passata da quattro a cinque. Mi sono chiesto: ma se in base ad una verifica ad ampio spettro e grazie ad uno studio matto e disperatissimo risulta che la preparazione di mia figlia oggi merita un sette perché deve andare in commissione con cinque? Quello che conta non è la preparazione attuale? Non lo capisco, ma tant’è: posso dichiararmi comunque soddisfatto.
    Prima di affrontare il professore ho chiesto maggiori dettagli su di lui a mia figlia. -E’ matto- mi ha detto. - Come matto? Che significa? - - Si, è matto: non ascolta. Se gli dici di non aver capito qualcosa ripete esattamente quello che aveva spiegato. E poi si capisce poco o nulla di quello che spiega.- Mia figlia è seria, ma a volte esagera nei giudizi, per cui dubbiosamente rispondo: -Ma non sarai poco attenta alla lezione?- -Papà, metà della classe ha problemi in matematica. Sono tutti deficienti? -

    Fatte le doverose verifiche interpellando altri genitori e rappresentanti di classe risulta che si, è vero: metà dei suoi alunni ha gravi insufficienza in matematica. In realtà non si può addebitare a lui tutta la responsabilità per questa debacle: è subentrato a metà anno al precedente titolare della cattedra. Non ho ben capito che fine abbia fatto il predecessore: trasferito probabilmente, ma molti dicono, compresa mia figlia, che la sua uscita di scena è stato un bene. Dal che deduco che l’attuale docente rappresenta un salto di qualità per la classe...

    - Va bene, vado a sentire che problemi hai in matematica. Spero ti dia la possibilità di alzare il voto. E in fisica come va? So che hai un buon voto.-

    -Si, in fisica va meglio. Solo che ora mi trovo un po’ in difficoltà ad imparare queste nuove cose.- E mi mostra un foglio A3 contenete una tabella con vari riquadri: campo elettrico, campo magnetico, campo gravitazionale, legge di Gauss... e relative equazioni.
    Dico: - Ma che c’entra questo con il liceo artistico? Questa è materia da scientifico o da istituto tecnico. -
    - Il prof dice che fa parte del programma e che dobbiamo imparare a memoria le formule. Però è difficile.-
    E lo credo che è difficile: se un ragazzo sceglie il liceo artistico probabilmente è perché le sue attitudini sono diverse da quello che sceglie lo scientifico o il tecnico. E poi mi chiedo che senso abbia far imparare a memoria una serie di formule astruse a chi poi non le userà più dal giorno dopo l’esame.

    Con queste premesse, e con un certo spirito bellicoso, vado ad incontrare il professore. Lo trovo in un’aula vuota: ha un buco di un’ora ma, dice, ha poco tempo perché deve correggere dei compiti. E mi mostra un voluminoso pacco di fogli.
    L’aspetto della persona che ho davanti smonta improvvisamente gran parte dell’animosità con la quale sono arrivato. E’ un uomo bassino, di mezza età, vestito di grigio, con negli occhi qualcosa di fisso, di febbrile e di disperato allo stesso tempo.
    La prima cosa che ho pensato osservandolo è che si trattava di una persona parecchio stressata, al limite del crollo psicofisico.
    Mi spiega che ha dovuto riprendere in mano una classe abbandonata a se stessa; che i ragazzi hanno in matematica lacune spaventose che si portano dietro dalla media, e forse anche da prima; che i programmi ministeriali per certe materie sono gli stessi per tutti i licei e che, dunque, deve fargli imparare a memoria cose che non ha il tempo di spiegare estesamente.
    E’ vero: tende a ripetere più volte gli stessi identici concetti. E’ come se stesse su un binario: può solo fare retromarcia e ripercorrere lo stesso tratto più volte. E apparentemente non ascolta. Piuttosto è come se ascoltasse in differita: non recepisce subito, la risposta arriva in un secondo momento. Ad un certo punto mi chiedo che razza di tritacarne sia diventata la scuola per ridurre le persone in questo modo: i docenti portati all’orlo del collasso e gli studenti consegnati al loro futuro con una preparazione che li condanna alla mediocrità e allo straniamento.

    Il colloquio che doveva durare dieci minuti è durato quasi un’ora: non voleva più lasciarmi andare. Voleva spiegarsi, probabilmente voleva condividere quella che a me è apparsa come una sorta di disperata solitudine.
    Ci siamo lasciati con una stretta di mano, che per me significava: -ti capisco- e per lui: -farò uno sforzo in più per i ragazzi.- E ancora, mentre andavo via, continuava a dirmi qualcosa.

    Tra quelli coi quali mi sono confrontato non è il solo insegnante della classe di mia figlia a mostrare preoccupanti segnali di cedimento. La maggior parte di loro però trova delle soluzioni per difendersi: la docente di Storia semplicemente non insegna, per protesta, visto che a suo avviso dovrebbe insegnare Storia e Italiano. L’insegnante di filosofia consegna agli alunni da studiare filosofi a pacchi di tre. L’insegnante di plastiche si presenta ad orari imprevedibili e ama parlare della sua attività professionale, del suo studio e di sua figlia, più che fare lezione. L’insegnante di pittoriche insegna la creatività ai suoi studenti lasciandoli liberi di inventarsi un modo per passare le ore di lezione. La docente di inglese prepara i suoi alunni alla richiesta di cittadinanza britannica, visto che impegna il suo e il loro tempo a studiare storia, letteratura, cultura inglese piuttosto che a sostenere una conversazione scritta o parlata.

    L’unica docente che si salva è quella di italiano, che non a caso è la più amata dai ragazzi. La devo ringraziare di cuore perché, pur essendo come gli altri inamovibile e insindacabile, dunque libera di insegnare o non insegnare, ha scelto di sua spontanea volontà di offrire una buona preparazione ai ragazzi.

    Ora io comprendo la situazione in cui i docenti devono svolgere il loro difficile lavoro a causa di una organizzazione demenziale che ha smarrito il senso del suo stesso scopo fondativo, che è la preparazione dei giovani alla vita.

    Mi chiedo però se i docenti comprendano i genitori, che si chiedono che sarà dei loro figli una volta che siano gettati in questo mondo complicato e competitivo senza gli strumenti adeguati per restare almeno a galla.

    Per parte mia ormai i giochi sono fatti. Ma mi rimane il rimorso, avendo avuto la possibilità di farlo, di non aver mandato i miei figli in scuole private.

    La riforma di Renzi non mi piace, ma una riforma della scuola pubblica a mio parere è assolutamente necessaria.

    • Di Dr Gottardo (---.---.---.198) 26 maggio 2015 09:25
      Dr Gottardo

      Mi piace questo commento. Aggiungerei solo che credo che la cosa più importante sarebbe avere buoni insegnanti, non necessariamente ultra preparati però contenti d’insegnare. Perché non credo che chi sceglie di fare l’insegnante lo faccia sempre per contentezza di farlo. Questo è un altro problema portato della disoccupazione: se ognuno potesse scegliere il lavoro che più l’aggrada avremmo un mondo migliore.

      Mi ricordo bene nelle scuole medie: l’80% degli insegnanti era fuori luogo, nevrotico, spassionato e incapace di appassionare. L’80% degli alunni andava malissimo in matematica, perché la matematica non va imparata, va capita (è una grossa differenza). Poi, in terza, ci fu assegnata una docente veramente in gamba, veramente umana, veramente capace di spiegare la matematica; riusciva a tenere a bada la classe senza sfuriate, e come d’incanto tutti raggiunsero la sufficienza, contenti e orgogliosi. Grazie professoressa! Se tutti gl’insegnanti che ho incontrato fossero stati come lei! Grazie ancora.

    • Di Persio Flacco (---.---.---.55) 27 maggio 2015 08:11

      Ho voluto raccontare un caso concreto, anche se questo ha comportato rubare molto spazio ad Agorà: cosa di cui mi scuso, perché sulla riforma della scuola e, più in generale, sui suoi problemi, nelle discussioni si tende molto a trasformare il dibattito in un confronto sui massimi sistemi. Il che vuol dire mandare in vacca ogni possibilità di convergere su soluzioni condivise.

      Invece le condizioni attuali della scuola riguardano innanzitutto casi concreti: il futuro dei giovani, e dunque del Paese, l’abitabilità dei locali, che consentano di svolgere dignitosamente e in sicurezza il proprio lavoro a studenti e docenti; la possibilità di consumare un pasto caldo, invece che campare a panini e pizzette o pranzare a casa alle quattro, vincolando l’orario delle lezioni al termine massimo consentito dalla fisiologia dei ragazzi; pulirsi il culo con la carta igienica e lavarsi le mani col sapone dentro bagni puliti; avere un posto dove fare i compiti, o studiare, o recuperare qualche impreparazione.
      Ma soprattutto pretendere che chi è pagato per fornire ai ragazzi quanto occorre loro per uscire dalla scuola ben preparati risponda della qualità del suo lavoro.

      E’ occupandosi in primo luogo di queste cose che la scuola riuscirebbe a trasmettere a chi ci lavora un messaggio che ora manca: il vostro lavoro è importante, contiamo su di voi, ci state a cuore: metteteci tutto il vostro impegno.

      Questo i professori lo sanno bene, ma ipocritamente, per solidarietà di corporazione, preferiscono parlare di "libertà di insegnamento", estendendola fino alla libertà di non insegnamento. Magari soffrono, perché qualche collega infingardo o incapace prima di loro gli ha consegnato alunni impreparati, con lacune nella preparazione o nel metodo di studio alle quali poi tocca a loro tamponare, ma preferiscono sobbarcarsi oneri impropri al dover supportare il principio che libertà di insegnamento e qualità dell’insegnamento non sono affatto in contraddizione tra loro. Sono anzi entrambi requisiti necessari.

      Preferiscono che siano formate generazioni di impreparati; preferiscono perfino incoraggiare un sistema scolastico classista, nel quale gli abbienti trovano preferibile pagare la scuola privata ai loro figli pur di evitargli le brutture e le tare della scuola pubblica. Infatti: chi manderebbe i figli a studiare nelle scuole private se la scuola pubblica offrisse ciò che quella offre?

      Ma è talmente forte l’istinto corporativo dei docenti, anche di quelli bravi, che farebbero qualsiasi cosa pur di non "tradire" la solidarietà di tipo mafioso che li lega ai colleghi.

      A noi cittadini tocca pagargli lo stipendio e zitti, che sennò siamo antidemocratici che mettono a repentaglio la democrazia. Ma vadano a moriammazzati.

    • Di zapataD’annata (---.---.---.50) 30 maggio 2015 13:06

      ecco un esempio da manuale di pensiero erratico-bipolare-qualunquistico-retorico: prima la farsa della comprensione e della vicinanza "raziocinante", poi l’invettiva sboccata e l’insulto generale alla categoria: caro Persio Dispersio, ti farei venire in miniera per 30 gg buoni e contati (l’aula): ti passerebbe la voglia di pontificare su cose che ignori; gli INSEGNANTI da valutare? Certo! Ma da altri insegnanti. Non dai genitori e dagli studenti. Tanto varrebbe far valutare i magistrati dagli imputati e dai loro parenti...

    • Di Persio Flacco (---.---.---.242) 1 giugno 2015 21:05

      Scrive Zapata: "ecco un esempio da manuale di pensiero erratico-bipolare-qualunquistico-retorico: prima la farsa della comprensione e della vicinanza "raziocinante", poi l’invettiva sboccata e l’insulto generale alla categoria:"

      Al netto dello sproloquio da psicolinguista da salotto, la sostanza di quello che scrivi significa che non distingui tra individuo e categoria. Io si: distinguo tra singolo docente e categoria dei docenti. Specie quando la categoria prende la forma di una organizzazione che porta avanti sue proprie scelte.

      "caro Persio Dispersio, ti farei venire in miniera per 30 gg buoni e contati (l’aula): ti passerebbe la voglia di pontificare su cose che ignori"

      Hai mai provato a scendere in una vera miniera, visto che ti paragoni ad un minatore? Ma lasciamo perdere. Che il lavoro dell’insegnante sia impegnativo lo so, ma so anche che alcuni insegnanti lo considerano duro ma anche gratificante (me lo hanno detto loro), altri invece, come te a quanto pare, lo considerano duro e basta. 
      Devo suggerirti io che in questa diversità di valutazione sta ciò che principalmente distingue il buono dal cattivo insegnante?

      Infatti, chi trae dal suo lavoro unicamente una soddisfazione monetaria non sarà portato a rapportare qualità e quantità della sua opera alla misura del compenso che riceve? E giudicando insufficiente il suo compenso non renderà una opera parimenti insufficiente? 

      E’ quello che fanno i cattivi insegnanti. I quali, invece di fornire una buona opera e rivendicare un compenso adeguato, ne forniscono una cattiva e si lamentano di quanto ricevono. E con questo fanno scontare ai giovani la loro insoddisfazione ipotecandone il futuro e il futuro del Paese.

      Questi insegnanti farebbero bene a cambiare mestiere, perché per la scuola e per i giovani sono nocivi. E la scuola dovrebbe essere dotata degli strumenti adeguati per liberarsene nel modo più rapido ed efficiente possibile. Non tutti sono adatti a lavorare in "miniera", e il fine della scuola non è di fornire un reddito, sia pure minimo, a "tengofamiglia" con laurea che non hanno trovato di meglio che insegnare. Lo scopo della scuola è molto più importante di questo.

      "gli INSEGNANTI da valutare? Certo! Ma da altri insegnanti. Non dai genitori e dagli studenti. Tanto varrebbe far valutare i magistrati dagli imputati e dai loro parenti..."

      Questa è davvero gustosa: equipari gli insegnanti ai magistrati, come se anch’essi rappresentassero un potere indipendente dello Stato. Di più: poni gli insegnanti un gradino sopra i magistrati, dal momento che questi possono essere ricusati dalle parti nei casi previsti dalla legge mentre per gli insegnanti non è prevista ricusazione per nessun motivo. Non ti pare di esserti montato un po’ la testa?

      E poi, per quale motivo i docenti dovrebbero godere di una tale assoluta indipendenza? Se l’indipendenza della magistratura ha senso in relazione all’equilibrio e al reciproco controllo tra poteri dello Stato, che funzione avrebbe l’indipendenza dei docenti in una istituzione come la scuola, che ha lo scopo primario di produrre competenze e formazione per i cittadini?

      Per quale motivo l’opera dei docenti non dovrebbe essere giudicabile da chi ne fruisce, come avviene per qualunque altro mestiere? Se un medico, per impreparazione o disattenzione, sbaglia la cura e causa un danno alla salute del suo paziente, questi non può chiamarlo a risponderne o, quantomeno, non può cambiare medico? Se un commercialista, per incapacità o per incuria, causa un danno economico al suo cliente, questi non può rivalersi su di lui o, quantomeno, non può cambiare commercialista?

      In base a quale sacro principio gli insegnanti, unici tra tutti, non dovrebbero rispondere della loro opera a quelli ai quali la rendono o a quelli che li hanno designati? Se la preparazione degli allievi che gli sono affidati è di cattiva qualità, per quale motivo questo non dovrebbe essere considerato misura oggettiva della cattiva qualità dell’insegnamento prestato dal docente? In tal caso, perché il docente non dovrebbe essere chiamato a risponderne? E non sono già oggi gli stessi docenti che, valutando la preparazione degli alunni, valutano allo stesso tempo, e secondo criteri obiettivi, la qualità del loro stesso insegnamento? Oppure, non sono i colleghi di quel docente che in sede di esame, valutando la preparazione dello studente, valutano al tempo stesso chi lo ha preparato?

      Per quale astruso motivo vengono considerati ininfluenti ai fini della valutazione del docente i risultati da questi ottenuti col suo lavoro, perfino se rilevati da sé medesimo o dai suoi colleghi, se non per la difesa corporativa di anacronistici e dannosi privilegi acquisiti?

      Qui non c’entra la libertà di insegnamento: principio che di norma viene agitato pretestuosamente e impropriamente per difendere un privilegio corporativo. Il docente scelga liberamente come insegnare, ma insegni: cioé ottenga i risultati per i quali è pagato.

      Quanto ai genitori e al ruolo che dovrebbero avere nella scuola, caro Zapata: finto rivoluzionario e autentico conservatore, se un elementare principio di equità vuole che chi più investe in un’impresa più deve essere rilevante nell’impresa stessa, allora i genitori dovrebbero essere il socio di maggioranza nella scuola, dal momento che sono loro a fornire il capitale di maggior valore. Di maggior valore sia per loro stessi: i loro figli, sia per la scuola: la ragione della sua stessa esistenza. 
      Al secondo posto viene lo Stato, che nella scuola non solo investe risorse economiche, compreso lo stipendio degli inseganti, ma anche il futuro delle giovani generazioni.

      I docenti, mi spiace per il tuo smisurato ego corporativo, vengono solo dopo.

    • Di zapataD’annata (---.---.---.50) 3 giugno 2015 15:27

      Soggetto pericolosamente dedito al fumo e al trucco retorico, direi; è un po’ ignorante in materia (del resto, si può mica sapere tutto). La riforma prevede 200 milioni di euro da destinarsi ad un 10% di meritevoli di incremento di stipendio; in ogni scuola. I decisori dell’assegnazione del bonus? Preside, 2 genitori, uno studente e 2 docenti, eletti, questi, non -attenzione!- dal collegio dei docenti, ma dal consiglio di Istituto (dove sono presenti anche studenti, genitori, preside e personale amm.vo). DOMANDA all’onesto lettore e passeggero: chi giudica della carriera di un magistrato? forse chi aspetta le sue sentenze? i suoi fratelli? i sodali? DOMANDA: chi giudica gli eventuali avanzamenti di carriera di un medico? i pazienti? i parenti dei pazienti? Il Persio fa confusione apposta ( o forse no, in lui sofismi e paralogismi roteano e si mescolano beatamente). Qui non si parla del demerito chiaro e conclamato di qualcuno nel fare qualcosa (il medico che sbaglia la cura, il magistrato, la sentenza), ma del merito ordinario di chi assolve meglio di altri i propri compiti. Quanto alla possibilità dello studente di ottenere giustizia contro un docente (per colpa/dolo/demerito), forse il nostro retore dimentica che esiste la giustizia amministrativa, i ricorsi al ministero, le denunce penali...le inchieste e i richiami del Dirigente, gli ispettori..... Ma lui getta fumo apposta, intorbida le cose, imbroglia le carte; e altro non fa. Adieu.

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