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Commento di Persio Flacco

su Ma dove vai se la riforma non la fai?


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Persio Flacco 1 giugno 2015 21:05

Scrive Zapata: "ecco un esempio da manuale di pensiero erratico-bipolare-qualunquistico-retorico: prima la farsa della comprensione e della vicinanza "raziocinante", poi l’invettiva sboccata e l’insulto generale alla categoria:"

Al netto dello sproloquio da psicolinguista da salotto, la sostanza di quello che scrivi significa che non distingui tra individuo e categoria. Io si: distinguo tra singolo docente e categoria dei docenti. Specie quando la categoria prende la forma di una organizzazione che porta avanti sue proprie scelte.

"caro Persio Dispersio, ti farei venire in miniera per 30 gg buoni e contati (l’aula): ti passerebbe la voglia di pontificare su cose che ignori"

Hai mai provato a scendere in una vera miniera, visto che ti paragoni ad un minatore? Ma lasciamo perdere. Che il lavoro dell’insegnante sia impegnativo lo so, ma so anche che alcuni insegnanti lo considerano duro ma anche gratificante (me lo hanno detto loro), altri invece, come te a quanto pare, lo considerano duro e basta. 
Devo suggerirti io che in questa diversità di valutazione sta ciò che principalmente distingue il buono dal cattivo insegnante?

Infatti, chi trae dal suo lavoro unicamente una soddisfazione monetaria non sarà portato a rapportare qualità e quantità della sua opera alla misura del compenso che riceve? E giudicando insufficiente il suo compenso non renderà una opera parimenti insufficiente? 

E’ quello che fanno i cattivi insegnanti. I quali, invece di fornire una buona opera e rivendicare un compenso adeguato, ne forniscono una cattiva e si lamentano di quanto ricevono. E con questo fanno scontare ai giovani la loro insoddisfazione ipotecandone il futuro e il futuro del Paese.

Questi insegnanti farebbero bene a cambiare mestiere, perché per la scuola e per i giovani sono nocivi. E la scuola dovrebbe essere dotata degli strumenti adeguati per liberarsene nel modo più rapido ed efficiente possibile. Non tutti sono adatti a lavorare in "miniera", e il fine della scuola non è di fornire un reddito, sia pure minimo, a "tengofamiglia" con laurea che non hanno trovato di meglio che insegnare. Lo scopo della scuola è molto più importante di questo.

"gli INSEGNANTI da valutare? Certo! Ma da altri insegnanti. Non dai genitori e dagli studenti. Tanto varrebbe far valutare i magistrati dagli imputati e dai loro parenti..."

Questa è davvero gustosa: equipari gli insegnanti ai magistrati, come se anch’essi rappresentassero un potere indipendente dello Stato. Di più: poni gli insegnanti un gradino sopra i magistrati, dal momento che questi possono essere ricusati dalle parti nei casi previsti dalla legge mentre per gli insegnanti non è prevista ricusazione per nessun motivo. Non ti pare di esserti montato un po’ la testa?

E poi, per quale motivo i docenti dovrebbero godere di una tale assoluta indipendenza? Se l’indipendenza della magistratura ha senso in relazione all’equilibrio e al reciproco controllo tra poteri dello Stato, che funzione avrebbe l’indipendenza dei docenti in una istituzione come la scuola, che ha lo scopo primario di produrre competenze e formazione per i cittadini?

Per quale motivo l’opera dei docenti non dovrebbe essere giudicabile da chi ne fruisce, come avviene per qualunque altro mestiere? Se un medico, per impreparazione o disattenzione, sbaglia la cura e causa un danno alla salute del suo paziente, questi non può chiamarlo a risponderne o, quantomeno, non può cambiare medico? Se un commercialista, per incapacità o per incuria, causa un danno economico al suo cliente, questi non può rivalersi su di lui o, quantomeno, non può cambiare commercialista?

In base a quale sacro principio gli insegnanti, unici tra tutti, non dovrebbero rispondere della loro opera a quelli ai quali la rendono o a quelli che li hanno designati? Se la preparazione degli allievi che gli sono affidati è di cattiva qualità, per quale motivo questo non dovrebbe essere considerato misura oggettiva della cattiva qualità dell’insegnamento prestato dal docente? In tal caso, perché il docente non dovrebbe essere chiamato a risponderne? E non sono già oggi gli stessi docenti che, valutando la preparazione degli alunni, valutano allo stesso tempo, e secondo criteri obiettivi, la qualità del loro stesso insegnamento? Oppure, non sono i colleghi di quel docente che in sede di esame, valutando la preparazione dello studente, valutano al tempo stesso chi lo ha preparato?

Per quale astruso motivo vengono considerati ininfluenti ai fini della valutazione del docente i risultati da questi ottenuti col suo lavoro, perfino se rilevati da sé medesimo o dai suoi colleghi, se non per la difesa corporativa di anacronistici e dannosi privilegi acquisiti?

Qui non c’entra la libertà di insegnamento: principio che di norma viene agitato pretestuosamente e impropriamente per difendere un privilegio corporativo. Il docente scelga liberamente come insegnare, ma insegni: cioé ottenga i risultati per i quali è pagato.

Quanto ai genitori e al ruolo che dovrebbero avere nella scuola, caro Zapata: finto rivoluzionario e autentico conservatore, se un elementare principio di equità vuole che chi più investe in un’impresa più deve essere rilevante nell’impresa stessa, allora i genitori dovrebbero essere il socio di maggioranza nella scuola, dal momento che sono loro a fornire il capitale di maggior valore. Di maggior valore sia per loro stessi: i loro figli, sia per la scuola: la ragione della sua stessa esistenza. 
Al secondo posto viene lo Stato, che nella scuola non solo investe risorse economiche, compreso lo stipendio degli inseganti, ma anche il futuro delle giovani generazioni.

I docenti, mi spiace per il tuo smisurato ego corporativo, vengono solo dopo.


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