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Commento di Persio Flacco

su Ma dove vai se la riforma non la fai?


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Persio Flacco 26 maggio 2015 01:23

Qualche giorno fa sono andato a parlare con l’insegnante di matematica e fisica di mia figlia, che è al quinto anno del liceo artistico. In fisica ha un buon voto, in matematica invece ha bel quattro tondo. Scopo della mia visita era cercare di ottenere per lei un’altra possibilità di alzare la sua media per accedere all’esame evitando di ripetere l’anno. Obiettivo fortunatamente raggiunto: a lei ad altri ragazzi della classe il professore ha concesso un’ultima verifica, che per mia figlia ha fruttato un bel sette. Peccato che in base ad algoritmi che ignoro la media calcolata è passata da quattro a cinque. Mi sono chiesto: ma se in base ad una verifica ad ampio spettro e grazie ad uno studio matto e disperatissimo risulta che la preparazione di mia figlia oggi merita un sette perché deve andare in commissione con cinque? Quello che conta non è la preparazione attuale? Non lo capisco, ma tant’è: posso dichiararmi comunque soddisfatto.
Prima di affrontare il professore ho chiesto maggiori dettagli su di lui a mia figlia. -E’ matto- mi ha detto. - Come matto? Che significa? - - Si, è matto: non ascolta. Se gli dici di non aver capito qualcosa ripete esattamente quello che aveva spiegato. E poi si capisce poco o nulla di quello che spiega.- Mia figlia è seria, ma a volte esagera nei giudizi, per cui dubbiosamente rispondo: -Ma non sarai poco attenta alla lezione?- -Papà, metà della classe ha problemi in matematica. Sono tutti deficienti? -

Fatte le doverose verifiche interpellando altri genitori e rappresentanti di classe risulta che si, è vero: metà dei suoi alunni ha gravi insufficienza in matematica. In realtà non si può addebitare a lui tutta la responsabilità per questa debacle: è subentrato a metà anno al precedente titolare della cattedra. Non ho ben capito che fine abbia fatto il predecessore: trasferito probabilmente, ma molti dicono, compresa mia figlia, che la sua uscita di scena è stato un bene. Dal che deduco che l’attuale docente rappresenta un salto di qualità per la classe...

- Va bene, vado a sentire che problemi hai in matematica. Spero ti dia la possibilità di alzare il voto. E in fisica come va? So che hai un buon voto.-

-Si, in fisica va meglio. Solo che ora mi trovo un po’ in difficoltà ad imparare queste nuove cose.- E mi mostra un foglio A3 contenete una tabella con vari riquadri: campo elettrico, campo magnetico, campo gravitazionale, legge di Gauss... e relative equazioni.
Dico: - Ma che c’entra questo con il liceo artistico? Questa è materia da scientifico o da istituto tecnico. -
- Il prof dice che fa parte del programma e che dobbiamo imparare a memoria le formule. Però è difficile.-
E lo credo che è difficile: se un ragazzo sceglie il liceo artistico probabilmente è perché le sue attitudini sono diverse da quello che sceglie lo scientifico o il tecnico. E poi mi chiedo che senso abbia far imparare a memoria una serie di formule astruse a chi poi non le userà più dal giorno dopo l’esame.

Con queste premesse, e con un certo spirito bellicoso, vado ad incontrare il professore. Lo trovo in un’aula vuota: ha un buco di un’ora ma, dice, ha poco tempo perché deve correggere dei compiti. E mi mostra un voluminoso pacco di fogli.
L’aspetto della persona che ho davanti smonta improvvisamente gran parte dell’animosità con la quale sono arrivato. E’ un uomo bassino, di mezza età, vestito di grigio, con negli occhi qualcosa di fisso, di febbrile e di disperato allo stesso tempo.
La prima cosa che ho pensato osservandolo è che si trattava di una persona parecchio stressata, al limite del crollo psicofisico.
Mi spiega che ha dovuto riprendere in mano una classe abbandonata a se stessa; che i ragazzi hanno in matematica lacune spaventose che si portano dietro dalla media, e forse anche da prima; che i programmi ministeriali per certe materie sono gli stessi per tutti i licei e che, dunque, deve fargli imparare a memoria cose che non ha il tempo di spiegare estesamente.
E’ vero: tende a ripetere più volte gli stessi identici concetti. E’ come se stesse su un binario: può solo fare retromarcia e ripercorrere lo stesso tratto più volte. E apparentemente non ascolta. Piuttosto è come se ascoltasse in differita: non recepisce subito, la risposta arriva in un secondo momento. Ad un certo punto mi chiedo che razza di tritacarne sia diventata la scuola per ridurre le persone in questo modo: i docenti portati all’orlo del collasso e gli studenti consegnati al loro futuro con una preparazione che li condanna alla mediocrità e allo straniamento.

Il colloquio che doveva durare dieci minuti è durato quasi un’ora: non voleva più lasciarmi andare. Voleva spiegarsi, probabilmente voleva condividere quella che a me è apparsa come una sorta di disperata solitudine.
Ci siamo lasciati con una stretta di mano, che per me significava: -ti capisco- e per lui: -farò uno sforzo in più per i ragazzi.- E ancora, mentre andavo via, continuava a dirmi qualcosa.

Tra quelli coi quali mi sono confrontato non è il solo insegnante della classe di mia figlia a mostrare preoccupanti segnali di cedimento. La maggior parte di loro però trova delle soluzioni per difendersi: la docente di Storia semplicemente non insegna, per protesta, visto che a suo avviso dovrebbe insegnare Storia e Italiano. L’insegnante di filosofia consegna agli alunni da studiare filosofi a pacchi di tre. L’insegnante di plastiche si presenta ad orari imprevedibili e ama parlare della sua attività professionale, del suo studio e di sua figlia, più che fare lezione. L’insegnante di pittoriche insegna la creatività ai suoi studenti lasciandoli liberi di inventarsi un modo per passare le ore di lezione. La docente di inglese prepara i suoi alunni alla richiesta di cittadinanza britannica, visto che impegna il suo e il loro tempo a studiare storia, letteratura, cultura inglese piuttosto che a sostenere una conversazione scritta o parlata.

L’unica docente che si salva è quella di italiano, che non a caso è la più amata dai ragazzi. La devo ringraziare di cuore perché, pur essendo come gli altri inamovibile e insindacabile, dunque libera di insegnare o non insegnare, ha scelto di sua spontanea volontà di offrire una buona preparazione ai ragazzi.

Ora io comprendo la situazione in cui i docenti devono svolgere il loro difficile lavoro a causa di una organizzazione demenziale che ha smarrito il senso del suo stesso scopo fondativo, che è la preparazione dei giovani alla vita.

Mi chiedo però se i docenti comprendano i genitori, che si chiedono che sarà dei loro figli una volta che siano gettati in questo mondo complicato e competitivo senza gli strumenti adeguati per restare almeno a galla.

Per parte mia ormai i giochi sono fatti. Ma mi rimane il rimorso, avendo avuto la possibilità di farlo, di non aver mandato i miei figli in scuole private.

La riforma di Renzi non mi piace, ma una riforma della scuola pubblica a mio parere è assolutamente necessaria.


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