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Commento di Persio Flacco

su Ma dove vai se la riforma non la fai?


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Persio Flacco 27 maggio 2015 08:11

Ho voluto raccontare un caso concreto, anche se questo ha comportato rubare molto spazio ad Agorà: cosa di cui mi scuso, perché sulla riforma della scuola e, più in generale, sui suoi problemi, nelle discussioni si tende molto a trasformare il dibattito in un confronto sui massimi sistemi. Il che vuol dire mandare in vacca ogni possibilità di convergere su soluzioni condivise.

Invece le condizioni attuali della scuola riguardano innanzitutto casi concreti: il futuro dei giovani, e dunque del Paese, l’abitabilità dei locali, che consentano di svolgere dignitosamente e in sicurezza il proprio lavoro a studenti e docenti; la possibilità di consumare un pasto caldo, invece che campare a panini e pizzette o pranzare a casa alle quattro, vincolando l’orario delle lezioni al termine massimo consentito dalla fisiologia dei ragazzi; pulirsi il culo con la carta igienica e lavarsi le mani col sapone dentro bagni puliti; avere un posto dove fare i compiti, o studiare, o recuperare qualche impreparazione.
Ma soprattutto pretendere che chi è pagato per fornire ai ragazzi quanto occorre loro per uscire dalla scuola ben preparati risponda della qualità del suo lavoro.

E’ occupandosi in primo luogo di queste cose che la scuola riuscirebbe a trasmettere a chi ci lavora un messaggio che ora manca: il vostro lavoro è importante, contiamo su di voi, ci state a cuore: metteteci tutto il vostro impegno.

Questo i professori lo sanno bene, ma ipocritamente, per solidarietà di corporazione, preferiscono parlare di "libertà di insegnamento", estendendola fino alla libertà di non insegnamento. Magari soffrono, perché qualche collega infingardo o incapace prima di loro gli ha consegnato alunni impreparati, con lacune nella preparazione o nel metodo di studio alle quali poi tocca a loro tamponare, ma preferiscono sobbarcarsi oneri impropri al dover supportare il principio che libertà di insegnamento e qualità dell’insegnamento non sono affatto in contraddizione tra loro. Sono anzi entrambi requisiti necessari.

Preferiscono che siano formate generazioni di impreparati; preferiscono perfino incoraggiare un sistema scolastico classista, nel quale gli abbienti trovano preferibile pagare la scuola privata ai loro figli pur di evitargli le brutture e le tare della scuola pubblica. Infatti: chi manderebbe i figli a studiare nelle scuole private se la scuola pubblica offrisse ciò che quella offre?

Ma è talmente forte l’istinto corporativo dei docenti, anche di quelli bravi, che farebbero qualsiasi cosa pur di non "tradire" la solidarietà di tipo mafioso che li lega ai colleghi.

A noi cittadini tocca pagargli lo stipendio e zitti, che sennò siamo antidemocratici che mettono a repentaglio la democrazia. Ma vadano a moriammazzati.


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