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L’evoluzione di Dio: passato e futuro delle religioni

“L’evoluzione di Dio” è un saggio storico e antropologico ben documentato, che fornisce una visione obiettiva, razionale e moderna dei fenomeni religiosi e dei legami tra ebraismo, cristianesimo ed islamismo (www.newtoncompton.com, 2010).

L’autore è Robert Wright, un filosofo maturo dal volto da ragazzino, che affronta la religione da un punto di vista decisamente terreno. Pure io sono dell’opinione che “l’origine e lo sviluppo della religione possono essere spiegati facendo riferimento a cose concrete e osservabili: la natura umana, fattori politici ed economici, il cambiamento tecnologico e così via” (p. 8). Ad esempio nell’antichità i templi svolgevano a volte “diverse mansioni tipiche della moderna banca” (Bernard Lang, biblista), perciò molti conflitti religiosi erano veri e propri conflitti economici e politici.

Nell’opera si analizzano le relazioni tra il politeismo e il monoteismo, e lo “scontro” tra scienza e religione. Naturalmente “la scienza è cambiata incessantemente nel corso della storia, rivedendo se non abbandonando le vecchie teorie, e nessuno per questo motivo mette in dubbio la sua validità; al contrario, ci sembra che questo continuo adattamento la avvicini alla verità. Forse, lo stesso accade alla religione”. In realtà quasi tutte le religioni sono costrette a cambiare più o meno velocemente le loro dottrine, in base all’evoluzione sociale, ma troppi uomini religiosi assumono un atteggiamento eccessivamente ipocrita che tende a negare questi cambiamenti, per poter mantenere un profilo in linea con il loro ruolo tradizionale e istituzionale. Un nuovo approccio religioso dovrebbe accogliere le nuove sfide psicologiche del mondo moderno. Ad esempio dovrebbe insistere nel condannare il consumo e l’abuso di droga ed evitare le guerre inutili contro le nuove libertà sessuali conquistate grazie alle tecniche contraccettive.

Oltretutto bisogna anche considerare che tutte le dottrine religiose sono profondamente egoistiche, poiché “non possono sopravvivere se non esercitano un certo fascino sulla psicologia delle persone… L’interesse personale, però, può assumere varie forme e, inoltre, può affiancarsi o non affiancarsi a molti altri interessi: l’interesse della famiglia, l’interesse della società, l’interesse del mondo, l’interesse della verità morale e spirituale” (p. 29). Il paradiso in cambio della morte in battaglia è una delle varie forme di premiazione egoistica, e la cosa può succedere poiché nel passato non esistevano politici e in molti casi i capi militari erano anche i capi religiosi e condizionavano l’interpretazione e la trascrizione delle sacre scritture. E la mente umana è predisposta a credere che la giustizia prima o poi trionferà.

Pensiamo ad esempio a questo brano tratto dal Libro di Giosuè: “Giosuè batté tutto il paese: le montagne, il Negheb, il bassopiano, le pendici e tutti i loro re. Non lasciò alcun superstite e votò allo sterminio ogni essere che respira, come aveva comandato il Signore, dio di Israele” (p. 103). Le sacre scritture ricalcano le vicende umane e sono quindi molto ambigue e contraddittorie poiché non si possono più calare nel contesto in cui sono state scritte. Ad esempio già nel Levitico era stata segnalata la necessità di relazionarsi in modo positivo con gli stranieri: “Il forestiero… tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto” (19:34).

Infatti, le persone più istruite sanno, che gli scritti sopravvissuti e raccolti nell’attuale Bibbia sono molto imprecisi e disordinati: “alcuni biblisti dubitano perfino che Mosè sia esistito… quelle storie furono messe per iscritto secoli dopo il verificarsi degli eventi che descrivono, e furono riviste ancora più tardi, a volte da monoteisti che presumibilmente volevano dare prestigio e autorevolezza alla propria religione” (p. 105). I testi sono stati riscritti e corretti molte volte e spesso si approfittava dell’occasione per effettuare cancellazioni e omissioni.

Oltretutto “qualsiasi antropologo vi potrà confermare che la storia orale di una cultura, benché spesso basata su alcune verità fondamentali circa il passato, può scivolare verso alcuni pregiudizi senza che nessuno cerchi consapevolmente di indirizzarla in quella direzione” (p. 155). Purtroppo la conoscenza della psiche inconscia è nata solo recentemente, grazie agli studi di Freud e l’universo culturale religioso è ancora molto in ritardo nel rivedere le dottrine e le sacre scritture alla luce della scienza.

Inoltre il cervello umano è predisposto a dare attenzione alle notizie strane e sorprendenti che potrebbero indicare l’inevitabilità della correzione di alcuni pregiudizi, dato “che le cose prevedibili sono già state assorbite dalle aspettative che lo guidano per il mondo”. Le notizie sorprendenti consentono un accesso privilegiato al nostro cervello e la cosa conferisce alla menzogna un vantaggio rispetto alla verità (p. 434). Perciò risulta probabile che molti uomini religiosi abbiano ingigantito molte cose per attirare l’attenzione, proprio come fanno la tv e i giornali nel 2010.

Anche l’origine del Corano non è poi così chiara e definita (buona parte dovrebbe risalire a circa vent’anni dopo la morte del profeta analfabeta). Inoltre, secondo una diffusa tradizione orale, Maometto aveva un cugino acquisito cristiano molto saggio e ci sono “motivi per ritenere che il dio arabo Allah sia sempre stato il Dio giudaico-cristiano, importato dalla Siria… La parola che i cristiani siriani usavano per Dio è, a seconda del contesto, allaha o allah” (p. 322). Del resto è molto probabile che l’adattamento dei versetti del Corano alle mutevoli circostanze nel corso dei primi anni sia dovuto anche all’azione più o meno inconsapevole di chi ha trascritto le parole dettate da Maometto.

Da allora fino ad oggi sono subentrati ben altri fattori legati al potere politico e al potere maschile di trascrivere e interpretare le scritture. Per fortuna oggigiorno in molti paesi, è consentito l’interpetazione del Corano anche alle donne (ad esempio in Marocco). Inoltre, il Corano è un testo molto ambivalente anche nei confronti della punizione: “Da una parte, è vendicativo… Tuttavia, la maggior parte dei brani punitivi non “incoraggiano” la punizione: quasi sempre è Dio, non un qualsiasi musulmano, che deve punire i miscredenti… E durante gli anni della Mecca – corrispondenti a buona parte del Corano – i musulmani vengono incoraggiati a resistere all’impulso della vendetta”. E c’è addirittura un brano dove Dio dice a Maometto che è solo un ammonitore e che non ha nessuna autorità sui fedeli (p. 331).

Infatti non bisogna dimenticare che la religione può anche diventare “uno strumento di controllo sociale, utilizzato dai potenti per incrementare il proprio potere, uno strumento che inebetisce le persone di fronte al loro sfruttamento”. L’Italia è l’esempio più lampante di questo fenomeno: la stragrande maggioranza dei politici nostrani andrebbe condannata verbalmente a gran voce e invece gli italiani si accontentano di una rassegnata scrollata di spalle. Naturalmente questo punto di vista è solo la faccia diversa della stessa medaglia: la religione è utile alla società “perché offre sicurezza e speranza di fronte al dolore e all’incertezza, e perché sconfigge il nostro naturale egoismo grazie alla coesione della comunità”.

Per quanto riguarda il successo del cristianesimo si può adottare un punto di vista storico: fino ad allora “gli dèi erano stati esseri in onore dei quali si compivano sacrifici. A un certo punto, arrivò un dio che, non solo non chiedeva sacrifici rituali agli uomini, ma era pronto lui stesso a fare sacrifici – in realtà, il sacrificio supremo – per gli uomini. Tutti i peccati dell’umanità potevano essere cancellati”. La resurrezione di Gesù illustrava la possibilità della vita eterna per tutti (di ogni etnia e classe sociale).

Comunque, la definizione più cinica di religione è questa: “La sua unica funzione è di permettere all’uomo di accedere ai poteri cha paiono controllare il suo destino, e il suo unico scopo è di indurre tali poteri a essere ben disposti verso di lui” (H.L. Mencken). Invece la definizione più moderna è quella dello psicologo William James: “la religione consiste nella convinzione che esista un ordine invisibile, e che il nostro bene supremo stia nell’adattarci armoniosamente a esso”.

Perciò le forze che hanno plasmato le diverse religioni nascono dal bisogno degli esseri umani di capire le forze che governano il mondo e l’acume di Wright ha sottolineato il passaggio evolutivo dall’idea di Mencken a quella di James. Così un sentimento religioso moderno e maturo deve accoppiarsi alla sapienza interculturale: i popoli possiedono conoscenze, talenti, risorse e costumi diversi, e hanno quindi una complementarietà e delle specializzazioni da sfruttare. Dio “non ha fatto nessuna di queste cose completa in sé e indipendente dalle altre” (Filone, p. 227).

In sintesi si può affermare che l’evoluzione sociale e tecnologica “comporta che un numero sempre crescente di persone si leghi in un rapporto a somma non zero [cioè dove guadagnano tutti i partecipanti] con un numero sempre crescente di altre persone a distanze sempre maggiori, spesso al di là dei confini etnici, nazionali o religiosi. Questo non garantisce il progresso morale, ma fa sì che le circostanze prendano quella piega e, nel lungo termine, le circostanze favorevoli tendono a prevalere” (p. 207). Dunque “Dio è stato così saggio da predisporre un mondo in cui il perseguimento razionale dell’interesse personale conduce gli uomini alla sapienza” (p. 222). E forse in un paio di generazioni giungeremo alla formalizzazione di una “Religione universale della natura umana” (Dante).

Dopotutto “Nel dialogo con Dio, l’interlocutore non è il singolo, ma la specie umana nel suo complesso” (Gordon Kaufman) e una profonda analisi dei fenomeni religiosi può essere molto utile nel prendere in esame i punti di forza e di debolezza delle varie istituzioni, poiché “quasi tutte le grandi istituzioni sociali sono nate dalla religione” (Emile Durkheim). E siccome le scritture religiose sono gestite da esseri umani, anche qui vale il principio che “Nemmeno il più saggio può rispondere a tutte le domande del più stupido” (Charles Caleb Colton). E se Einstein affermò che “Sottile è il Signore, ma non malizioso” (Bollati Boringhieri, 1986), la lettura di questo libro ci spinge a pensare che gli uomini religiosi abbiano spesso adottato un comportamento poco sottile e molto malizioso.

D’altra parte siamo tutti esseri umani e non è possibile essere qualcosa di peggio (Mark Twain).

Robert Wright ha insegnato filosofia a Princeton e religione all’Università della Pennsylvania. È membro della New America Foundation (www.newamerica.net), collabora con la rivista “The New Republic” (www.tnr.com) e gestisce il seguitissimo sito di video-dibattiti www.bloggingheads.tv. “L’evoluzione di Dio” (www.evolutionofgod.net) è stato per diverse settimane nella classifica del “New York Times” ed è uno dei saggi finalisti dell’edizione 2010 del Premio Pulitzer.

Note – L’antico ebraico, la lingua in cui sono stati scritti molti testi della Bibbia, non prevedeva una parola per “religione”. L’ebraico arcaico non usava la convenzione lettera maiuscola/lettera minuscola per distinguere le cose. Ogni volta che ci si trova di fronte al dio ebraico El, non è chiaro se si sta parlando di Dio o di un dio di nome El. L’espressione El Shaddai si riferisce alle montagne, ma è stata tradotta scorrettamente come “Dio onnipotente”, benché il giusto significato rimanga oscuro. La stessa parola “Isra-el” dimostra il legame tra la religione israelitica e il dio El (p. 107). Le altre denominazioni bibliche di dio sono: elohim e Iahvè. Mentre Elaha significa Dio nella lingua aramaica parlata nella Palestina di Gesù (che è un lingua semitica come l’ebraico e l’arabo).

Nella Bibbia sono presenti alcuni scritti di Platone. La Bibbia rappresenta quindi una raccolta di testi religiosi e di testi storici e filosofici relativi alle vicende terrene di una particolare popolazione umana. E, a quanto pare, “non c’è nulla di più incerto della datazione dei testi biblici” (p. 140).

Il Vangelo di Matteo si riferisce alla profezia di Isaia secondo cui “la vergine concepirà e partorirà un figlio”. In realtà, la parola ebraica del Libro di Isaia tradotta con “vergine”, nella Bibbia dei Settanta significa “giovane donna” (p. 280). E forse potrebbe significare una giovane ragazza che giunge vergine al matrimonio, cosa da sottolineare dati i tempi e la diffusione della prostituzione più o meno occasionale ai fini della sopravvivenza nelle classi più povere e nelle famiglie più numerose.

Nelle prime versioni scritte del Corano, come nei primi testi sacri ebraici, “mancavano le vocali: le parole agevolavano la recitazione ma non erano definitive” (p. 351). E fino all’XI secolo, il testo scritto non prevedeva spazi tra le parole (Kevin Kelly, Focus, agosto 2010). Nel corso dei secoli gli uomini religiosi più potenti o più burocrati hanno scelto le vocali con cui riempire i vuoti e hanno interpretato i brani ambigui e oscuri, e così facendo ebbero un buon margine di libertà semantica da utilizzare a loro uso e consumo per fare proseliti, attraverso la stimolazione delle emozioni umane più primordiali e negative. Purtroppo la mamma degli stupidi è sempre incinta, e generazioni e generazioni di cretini hanno creato gli attuali fondamentalismi religiosi.

Le libertà di interpretare e di cambiare sono doni di Dio.
 
P. S. - A modo mio, sono cretino pure io.

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