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Marcel Duchamp e la seduzione della copia

Si è chiusa con un confortante successo di pubblico e di critica alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia la mostra dedicata al geniale artista francese.

Ha destato un profondo interesse nel visitatore appassionato come nel critico d’arte o nell’artista la mostra, da poco conclusa, Marcel Duchamp e la seduzione della copia, allestita nel consueto, intimo ambiente delle esposizioni non permanenti, curatela di Paul B. Franklin.

Attraverso il confortevole percorso si rimane coinvolti e affascinati dalla visione di circa 67 opere datate dal 1911 al 1968, l’anno della sua scomparsa (quello di nascita, a Blainville-Crevon, un villaggio normanno, è il 1878).

Ma se nei primi dipinti e disegni – come si legge nel catalogo – Duchamp assimila rapidamente le influenze dell’Impressionismo, del Post-Imressionismo, del Simbolismo, del Fauvismo e del Cubismo, senza sviluppare uno stile identificabile, una data fondamentale è il 1914, in cui Duchamp comincia a dedicarsi al Ready made.

Si tratta di oggetti industriali scelti dall’artista, isolati dai rispettivi contesti funzionali, spesso riposizionati in modo da accentuarne la differenza rispetto alla moltitudine : scolabottiglie, pala, pettine per cani, custodia di una macchina per scrivere, orinatoio, appendiabiti, cappelliera, ampolla farmaceutica di vetro, etc., etc.

Scelti tra una moltitudine di oggetti fabbricati in serie, i Ready made sono copie autentiche, delle quali non esiste un originale.

Duchamp sostiene che cercare di distinguere il vero dal falso, l’imitazione dalla copia, è una questione tecnica di incredibile stupidità, perché un duplicato o una riproduzione meccanica hanno lo stesso valore dell’originale.

Tra le domande che insorgono riflettendo sul suo pensiero, la più immediata e importante è “che cosa si intende per opera d’arte?”. E ancora : siamo sicuri che l’opera che stiamo guardando è davvero quella eseguita dall’artista indicato?

Comunque, sia l’originale che la copia, possono soddisfare il nostro piacere estetico.

Una parte importante del percorso è la Boite-en-valise (1935 – 1941), “scatola in una valigia”, una valigetta di compensato, rivestita di cuoio, che contiene 69 riproduzioni e repliche in miniatura delle sue opere più significative.

Peggy Guggenheim, che fu eternamente riconoscente a Duchamp, per averla introdotta nel circolo dell’arte moderna, avviandola a diventare una stimata collezionista, acquistò, nel 1941, il primo esemplare (di 20) della serie deluxe.

E alla fine della mostra è stato interessante soffermarsi alla visione di un video, Marcel Duchamp, un viaggio nella “Scatola in una valigia”, che presenta i risultati dello studio scientifico e dell’intervento di conservazione sull’opera, condotto nel corso di quattro anni (2019 – 2023) nei laboratori di restauro dell’opificio della Pietra dura di Firenze.

Ma Marcel Duchamp è anche affascinato dal nuovo medium, il cinema, e in mostra si poteva vedere un suo breve film muto (7 minuti), Anémic Cinema (1925 - 1926), sulla scia del suo interesse per l’arte cinetica, della quale divenne il progenitore con l’opera del 1913, Una ruota e una forcella di bicicletta montate su uno sgabello di legno.

Un ultimo aspetto, che trova spazio nella mostra, è la creazione del suo personaggio Drag, Rrose Sélavy, con cui firmerà anche alcune opere, e che si può vedere in alcune foto dell’amico Man Ray. Il risultato è la femminilità come strumento di seduzione e sofisticatezza.

Tra i Ready made, inevitabile non citare quello della Gioconda di Leonardo Da Vinci, modificata da un’aggiunta di baffetti e pizzetto e intitolata con l’acronimo L.H.O.O.Q. (1919).

Ma la PGC Collection ambisce a stupire ancora il suo pubblico affezionato. E lo fa attraverso una mostra di imminente apertura (13 aprile), che sarà visitabile fino al 16 settembre : Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere.

Si tratta della prima, grande retrospettiva realizzata in Italia – a memoria, ricordo soltanto quella allestita dal 2 al 30 settembre 1989 nel padiglione Italia ai Giardini di Castello, organizzata dal settore Arti visive della Biennale di Venezia – dedicata a Jean Cocteau (1889 – 1963), enfant terrible della scena artistica francese del XX° secolo.

Curata da Kenneth E. Silver, autorevole esperto dell’artista e storico dell'arte presso la New York University, la mostra getta luce sulla versatilità – o destrezza da giocoliere – che ha sempre caratterizzato il linguaggio artistico di Cocteau, poeta, pittore, drammaturgo, regista, attore e per la quale l’artista è stato spesso criticato dai suoi contemporanei.

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