Onofri, Koopman e Chung protagonisti alla Fenice
Tre buoni concerti, gli ultimi due legati alle celebrazioni della settimana santa
Un programma di concerti del ‘700 austriaco, tedesco e italiano, a cura di sei compositori, che godettero, chi più, chi meno, di un certo successo nella vita. Fatta eccezione per Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809), il quale in età matura era considerato una celebrità.
Il breve concerto si è ascoltato al teatro Malibràn, la seconda casa della Fenice, che, nel pensiero del neosovrintendente Nicola Colabianchi, dovrebbe diventare il tempio della musica barocca.
A dirigere l’orchestra del teatro veneziano, è stato Enrico Onofri (Ravenna, 1 aprile 1967), che in quel periodo stava dirigendo “Il trionfo dell’onore” di Alessanndro Scarlatti, in occasione del 300esimo anniversario della morte.
La serata si è aperta con l’ouverture dall’opera Il mondo della luna - un dramma giocoso basato su un libretto di Carlo Goldoni, composto nel 1777 – che faceva parte delle opere per il teatro privato del principe Nicolas I Estenhazy, alla cui corte Haydn fu assunto come direttore di cappella a partire dal 1761. In un unico movimento, Allegro luminoso ed energico, ha un tono a tratti grandioso, quando intervengono trombe e timpani, strumenti in primo piano per rendere omaggio con solennità alla presenza, alla prima, della famiglia imperiale.
Interessante il secondo titolo, Chaconne in Do minore, di Antonio Maria Gaspare Sacchini (Firenze, 1730 – Parigi, 1786), per due oboi, fagotto, due corni e archi, rimasto inedito finché Onofri ne commissionò la trascrizione.
La Ciaccona era una danza in tempo ternario, dall’andamento moderato, affine alla Passacaglia, caratterizzata da una serie di variazioni su un basso ostinato.
Il compositore, non ostante un carriera ricca di di scritture commissionategli di successo in successo, come sovente accade, si spense nella capitale francese in condizioni miserevoli, lasciando incompiuta delle tre ultime scene l’opera Evelina.
La prima parte si è conclusa con la Sinfonia n.39 in Do maggiore P31 di Johann Michael Haydn (Rohrau, 1737 – Salisburgo, 1806), fratello minore di F.Joseph, per due oboi, due fagotti, due corni, due trombe, timpani e archi, nei movimenti “Allegro con spirito/Andante/Finale: molto vivace “.
La Sinfonia n. 39 – ne scrisse ben 46 – fu composta nel 1788, in piena maturità. Ebbe un forte influsso su Mozart, che ne fu ispirato nel movimento finale della “Sinfonia n.41 Jupiter”.
Da segnalare, nei tredici minuti di durata, un movimento ininterrotto a 180° da parte di Onofri, con molta gestualità in entrambe le mani.
La seconda parte si è aperta con l’ouverture dall’opera Olympie, per due oboi, due fagotti, due corni e archi, di Joseph Martin Kraus (Magonza, 1756 – Stoccolma, 1792), il quale, in vita, non conobbe il giusto apprezzamento, perché oscurato dalla fama del coetaneo W.A.Mozart. Complimenti perciò ad Onofri, per aver voluto inserire nel programma un compositore meritevole di riscoperta.
Due sinfonie di autori italiani hanno concluso una piacevolissima serata.
La prima, Sinfonia in La maggiore per archi j-c 62, appartiene ad un compositore che ebbe il merito di dare ampio sviluppo alla sinfonia, il milanese Giovanni Battista Sammartini (1700 – 1775), considerato una delle personalità più originali della musica italiana del XVIII° secolo nel campo della musica strumentale, nonché il creatore più significativo del periodo preclassico. Caratterizzata, come tutte le altre sinfonie – 78 circa autentiche, 41 dubbie o spurie – da una accattivante inventiva ritmica e da una organizzazione incalzante della frase, è suddivisa nei movimenti “Presto/Andante/Presto assai”.
Conclusione affidata alla Sinfonia n.26 in Do minore G 519 – per due oboi, due fagotti, due corni e archi – di Luigi Boccherini (Lucca, 1743 – Madrid, 1805). Appare come uno sviluppo consequenziale della sinfonia precedente di Sammartini, nella cui orchestra milanese sembra che Boccherini avesse suonato nel 1765.
Caratterizzata da una grande fluidità melodica, la musica di Boccherini, a tutt’oggi non completamente approfondita, colpisce anche per delle progressioni armoniche di estremo interesse.
La direzione di Onofri che, è bene ricordare, è stato anche uno dei fondatori dell’Ensemble Il giardino armonico, in qualità di primo violino e solista fino al 2010, ha saputo stimolare la bravura dei musicisti, che hanno comunicato alla platea una freschezza davvero gradevole, che sarebbe bello poter provare ad ogni rappresentazione concertistica od operistica.
Applausi anche di stima.
Composizione maestosa, immersa nel sacro, l’opera più amata e celebrata di J.S.Bach, Matthaus – Passion, BWV 244. è ritenuta uno dei capolavori di pensiero e poesia della storia dell’umanità.
Si tratta, nella lezione tedesca, della trasposizione musicale dei capitoli 26 e 27 del Vangelo secondo Matteo nella traduzione tedesca di Martin Lutero, inframmezzata da corali e arie su libretto del poeta Picader, pseudonimo di Christian Friedrich Henrici (1700 – 1764).
In poco più di 160 minuti vengono rievocate, in due parti, le ultime ore della vita terrena di Gesù.
Il Passio, secondo la vulgata liturgico-cattolica, rappresenta il culmine della musica di Bach per la chiesa protestante ed è una delle più vaste opere dell’Autore, che utilizza il più ampio organico di esecutori.
Vi si narrano i fatti – che vanno dall’ultima cena all’arresto di Gesù e dal processo davanti al Sinedrio, al giudizio di Pilato e alla crocifissione – attraverso 28 numeri musicali nella stesura integrale : 3 mottetti, 14 recitativi obbligati, alcuni corredati da interventi del Coro, 11 Arie solistiche e 4 in cui il solista dialoga con il Coro.
Il risultato è che il drammatico racconto evangelico può essere letto come un vero e proprio libretto d’opera.
In un Teatro La Fenice colmo di persone, Ton Koopman ha diretto con precisione, mediante movimenti a volte danzanti, l’Orchestra e il doppio Coro, istruito dal maestro Alfonso Caiani.
Ma i movimenti più deliziosi sono stati quelli in cui suonava l’organo, assieme ad un ispirato solista di viola da gamba, come l’Aria Geduld, Geduld, wenn mich falsche Zungen stechen (pazienza, se le lingue mendaci mi pungono), cantata dal tenore coreano Klaus Minsub Hong.
Un’altra aria piacevolissima è stata quella intonata dalla soprano austriaca Miriam Feuersinger, con un tenero e limpido flauto in primo piano e due oboi da caccia : Aus Liebe will mein Heiland sterben (per amore il mio Salvatore vuole morire).
Stimolanti e professionali, le vocalità dei Cori, perfetti nel padroneggiare le dinamiche sonore – straordinari i lunghi pianissimi -, mentre hanno quasi infastidito i recitativi gridati dall’Evangelista, il tenore inglese Ian Bostridge: una vocalità fallosa, la sua. Non ha convinto nemmeno il controtenore olandese Maarten Engeltjes, mentre il baritono svedese Thomas Laske (Gesù) e i due bassi – il tedesco Klaus Mertens e l’olandese Hans Wijers – si sono espressi con una vocalità accettabile.
Applausi, comunque, vivissimi e numerose entrate/uscite dei cantanti, del direttore e del maestro del coro.
L’ultimo, atteso, appuntamento, in sintonia con i temi pasquali, è stato con la monumentale Sinfonia n. 2 in Do minore “Resurrezione”, per soprano, contralto, coro misto e orchestra, di Gustav Mahler (Kaliste, Boemia, 1860 – Vienna, 1911), diretta da un beniamino del teatro veneziano, ormai richiestissimo in qualunque parte del mondo, il coreano Myung-Whun Chung.
Resurrezione fu la Sinfonia che impegnò più a lungo Mahler (dal 1888 al 1894), in un periodo in cui il compositore era direttore del teatro dell’opera di Budapest e di Amburgo.
Dopo l’iniziale Allegro maestoso. Mit durchaus ernstem und feierlichen Ausdruck (con espressione sempre seria e solenne), conosciuto come pagina a sé stante, Totenfeier (Rito funebre), e scritto di getto, Mahler si arenò fino al 1893, quando compose Andante moderato. Sehr gemachlich (molto comodo) ; In ruhig fliessender Bewegung (in movimento tranquillo e scorrevole), con funzione di “Scherzo” ; un Lied per orchestra, Urlicht (sehr feierlich, aber schlicht. Choralmassig), “Luce primigenia : molto solenne, ma con semplicità: Come un Corale”, tratto dalla celebre antologia di poesia popolare Des Knaben Wunderhorn (il corno magico del fanciullo), - raccolta da Achim von Arnim (1781 - 1831) e Clemens Brentano (1778 - 1842) e pubblicata in tre volumi dal 1805 al 1808 - , che fu per anni la sua fonte prediletta.
A questo punto mancava un finale che stentava ad arrivare, finché nel 1894 Mahler ebbe l’idea risolutrice ascoltando i primi versi di un inno del drammaturgo e poeta Friedrich Gottlieb Klopstock (1724 – 1803) – ritenuto fra i fondatori della poesia tedesca moderna - , nel corso della cerimonia commemorativa di Hans Guido barone von Bulow (Dresda, 1830 – Cairo, 1894), illustre concertista di pianoforte, direttore d’orchestra e compositore.
Appassionante l’ascolto e la visione di una grande orchestra, immersa nei colori differenti degli strumenti : dagli archi, alle trombe, davvero brave, alle percussioni, cinque musicisti perfettamente affiatati, due dolci arpe, flauti, ottavini e tromboni dal suono morbidamente caldo.
A ciò si aggiunga una prova ancora una volta magistrale del Coro, apprezzato in particolar modo nei pianissimi, che mettono in luce il perfetto controllo delle dinamiche sonore.
Tranquillo, con la sua bacchettina, senza guardare spartito alcuno, spesso ad occhi chiusi, Chung ha diretto per novanta minuti senza intervallo una Sinfonia che presenta momenti ardui, risolti con intelligenza e professionalità, maturate nel corso di una lunga carriera.
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