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Josephine Hart e l’oblio degli scrittori

Tre mesi fa moriva Josephine Hart, l'autrice del noto romanzo Il Danno che vendette più di cinquanta milioni di copie e divenne anche un film di successo diretto da Louis Malle. La stampa italiana ha dato la notizia in sordina, senza approfondimenti di sorta: una volta di più si registra la superficialità del giornalismo culturale rispetto alla Rete. E' sufficiente che uno scrittore non sia italiano per decretarne la scomparsa sui nostri giornali? 

La scrittrice di origine irlandese Josephine Hart è morta a Londra il 2 giugno di quest'anno dopo una lotta disperata contro il cancro. Lascia alle sue spalle un'opera letteraria di grande coerenza ed eleganza di stile, una qualità quest'ultima che le hanno riconosciuto spesso insieme al carattere determinato. Non soltanto il suo più celebre romanzo, Damage (Il danno), quindi, che la rese celebre nel '91 ma anche i romanzi Sin (Il peccato, 1992), Oblivion (L'oblio, 1995), The Stillest Day (1998), The Reconstructionist (Ricostruzioni, 2002). Tra gli ultimi titoli usciti Catching Life by the Throat: Poems from Eight Great Poets (2008) e La verità sull'amore (The Truth About Love) uscito anche in Italia (Feltrinelli, 2010).

Dicevamo che Josephine Hart lascia qualcosa di più di un bestseller, non soltanto perché come suggerisce anche Alison Flood nel suo memoire sul Guardian la scrittrice non si limitava a sfornare libri “facili” ma inseguiva il suo intuito lungo percorsi, a volte, poco convenzionali o piacevoli (Alison Flood indica in Oblivion il suo romanzo più ostico). Ma perché se si prova a leggere le opere nell'insieme ci si accorge che esistono delle costanti, dei nodi problematici sui quali Hart ritorna spesso e volentieri: uno in particolare, il tema della memoria e della colpa.

Si direbbe che questo è il tema per eccellenza de Il Danno, per esempio, ben più del tradimento: il personaggio di Anna elabora una strategia di seduzione che non mira alla scalata sociale, come in certi romanzi dell'Ottocento, ma al risarcimento morale. In realtà, questo è il tema portante anche di quello che, forse, è il suo capolavoro, The Reconstructionist (Ricostruzioni, Feltrinelli, 2002).

La storia di Jack Harrington, psicanalista divorziato che non riesce a dimenticare la sua ex moglie e le vicende della famiglia che orbitano attorno alla vita tormentata della sorella Kate, ricorda da vicino anche il personaggio maschile, laconico e represso, de Il Danno. Sembra sua la voce che accompagna il lettore all'inizio del libro: “Il mio successo nella vita, per quello che vale, è dovuto parzialmente alla giudiziosa applicazione del sapere accumulato in anni di studio e di preparazione. E' dovuto anche all'attenzione quasi ossessiva che io presto al linguaggio del corpo, al tono della voce e all'espressione degli occhi di quasi tutte le persone con cui entro in contatto ravvicinato. Professionalmente, non dubito che questo mi sia stato di enorme vantaggio. Personalmente, questa attenta e continua vigilanza viene esercitata nella speranza che, nel discernere, anche da lontano, il confuso profilo di un pericolo potenziale, io sia in grado di prevenirlo”. Forse non è soltanto il ritratto di un professionista della psiche, ma quello di uno scrittore in potenza.

Ricostruzioni, comunque, è un romanzo in cui lo stile e il ritmo sono meno lineari e prevedibili rispetto a Il Danno, come se aggiungesse un pizzico di commedia inglese al lavoro sulla memoria e il rimorso che Josephine Hart predilige, almeno per quanto riguarda i protagonisti dei suoi romanzi. A rendere il romanzo insolito e divertente ci pensa il personaggio di Rose, una donna toccata dal dolore ma che ha saputo trasformarlo in una sfida personale. E' curioso che proprio questo personaggio secondario (ex suocera di Jack, in seguito diventata sua confidente) sia quello che esprime l'inquietudine che provoca anche Anna, la terribile amante de Il Danno: “Io sono quel fastidioso cliché che risponde al nome di 'superstite'” confessa Rose. “Noi facciamo parte di una specie che riesce fastidiosa a tutti quelli che non hanno impiegato il proprio tempo a convincersi di riprendere a vivere. La mia amica più cara di allora, assai più intelligente di me, diceva che era come strappare strati di memoria, il modo in cui un uomo che affoga si libera faticosamente dei vestiti per tornare a galla”. E aggiunge: “Perché il fondo marino non è un posto naturale dove stare. Pensa a tutti i piccoli errori che puoi fare su una barca, senza che diventi una catastrofe”. 

L'uomo pianifica il suo futuro, tentando di decifrare il “pericolo potenziale”, ma ci sono cose che prendono il sopravvento e che, nonostante tutto, vanno vissute. Josephine Hart ci ha indicato la strada per riflettere sulle nostre debolezze.

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