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Aragoste a Manhattan - La cocina

Hai fermato il mio mondo...chi ti ha dato il permesso?...Mangiano...cosa vogliono?...Che altro c'è?...Che altro possono volere?: così dice il proprietario del The Grill, situato nel cuore di Times Square.

Lì si mangiano le aragoste a 39,50$ l'una – una volta chiamato cibo dei poveri – e si mangia tanto altro, è un posto fine, un ritrovo per i newyorkesi che ci si trovano, siamo a Manhattan. Di fatto il film non è sulle aragoste a Manhattan – compaiono solo quando ne travasano in una piscinetta vitrea a far mostra di sé in ristorante - ma tratta semplicemente di una Cocina, come lo intitola il regista Alonso Ruizpalacios, liberamente traendolo – dice la locandina – dalla commedia di Arnold Wesker. Il regista è un 47enne messicano, la nazionalità di quasi tutti i cocineros sudamericani che operano nelle cucine di The Grill: ne ha fatto un film geniale, mai così attuale sull'emigrazione, sul quale anche il “povero” (di spirito) Donald Trump rifletterà, si spera, come dovranno pure riflettere gli italiani che si vedono “invasi” da stranieri (saranno cittadini dopo 5 anni anni? dopo 10? jus scholae o no?)

Le cucine sembrano una catena di montaggio, ognuno nella sua sezione prepara la pietanza a cui è incaricato, in mezzo c'è un corridoio dove le cameriere in bella divisa e attraenti raccolgono le ordinazioni per portarle sù nel salone. Il microcosmo è nelle cucine: lì tutti i lavoranti svolgono i loro turni e offrono le loro braccia, magari in attesa di ricevere un permesso di soggiorno regolare ed essere considerati cittadini americani. Lì si sfottono a vicenda, scherzano o litigano, è la loro vita, vivono dei sogni che si scambiano nelle pause dal lavoro. E' un mondo a parte ma il regista infila in quel luogo anche l'intrusione di un anziano americano in cerca di cibo, licenziato dal mondo della finanza in crisi: gli dà del cibo con un aragosta che pagherà il cocinero stesso. Povertà che si dan la mano.

Le espressioni riportate sopra, che il proprietario incredulo e stralunato recita alla fine sono alla vista della sua cucina distrutta. Il solito Pedro Ruiz, il più grande e simpatico attore e cocinero, ha provocato tutto quel disastro. Era solito far discussioni coi colleghi, serie e semiserie, manesco e provocatore, ma tanto simpatico e vitale. Tiene chispa dicono gli spagnoli di qualcuno pieno di brio e vitalità. Lui diceva all'unico collega americano, il più serioso e insoddisfatto di quel luogo, che lì si parlavano lingue spagnole, gli chiedeva provocatoriamente dunque dove fosse l'America. Quel pomeriggio a originare il disastro dev'esser stata una forte delusione: gli si era sbriciolata l'idea che sognava, fuggirsene in Messico con l'amata collega-cameriera americana e lì su una spiaggia vendere cibi che avrebbe preparato, leccornie per i bagnanti, col bambino che avrebbe voluto e che avrebbe parlato tutte le lingue del mondo coi turisti.

Eppure una luce aliena, azzurrognola, che secondo un sogno cadeva a volte sugli emigranti fortunati, ne illuminava la persona in quel disastro, era il protagonista che tutti osservavano. Solo una ragazzina gli sorrideva: era Estela, sua quasi parente nemmeno ventenne che era arrivata a inizio film con l'aliscafo nell'Hudson in cerca di lavoro ne La Cocina. 2h e 20' di film da vedere e rivedere!

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