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Israele: governo di emergenza nazionale?

Meno di una settimana fa, ragionando sulle ventilate elezioni politiche anticipate in Israele, scrivevo che non sarebbe stata indifferente per le politiche prossime venture la morte del padre di Netanyahu.

L'ultracentenario era noto per essere stato vicino al movimento dell’estrema destra sionista di Jabotinski di cui è stato anche segretario personale, e da lì in poi un sostenitore di tutte le politiche più oltranziste dello stato ebraico.

Se si tiene conto di quanto la questione israelo-palestinese sia importante per gli equilibri mediorientali e quanto più lo sia l’annosa vicenda del nucleare iraniano per il mantenimento di una precaria pace nell’area, si capisce quanto una sorta di analisi psicologica di Netanyahu in occasione della morte del padre possa essere significativa.

Nell’articolo citato - riferendomi al leader israeliano - scrivevo “Adesso che il padre è morto chissà se l'elaborazione del lutto lo porterà verso politiche più pragmatiche - ad esempio a dar vita ad un governo meno sbilanciato verso l'estrema destra del nazionalismo ultrareligioso e dei coloni - o verso quelle ancora più drammaticamente "messianiche". Dove per ‘messianiche’ intendevo dire - più o meno - ‘catastrofiche’.

Non c’è stato bisogno di aspettare poi molto, visto che nella tarda serata di lunedì scorso si è diffusa la voce di un accordo che apriva la porta del governo al partito centrista Kadima - orfano del fondatore Sharon e della delusa Livni - e ormai saldamente nelle mani dell’ex capo di stato maggiore Shaul Mofaz. Le ventilate (o minacciate) elezioni anticipate hanno attraversato il cielo di Gerusalemme con la velocità di un meteorite, lasciando gli analisti a bocca aperta e il partito dei coloni estremamente preoccupato.

La prima azione del governo, adesso, dovrebbe essere lo sgombero dei due nuovi insediamenti di Migron e Ulpana, già dichiarati illegali dalla Corte Suprema perché costruiti su terra privata palestinese. Con questo la politica verso i coloni - e di conseguenza i rapporti con i palestinesi - dovrebbe (potrebbe) modificarsi, aprendo nuovi spiragli per la ripresa di una trattativa.

Ma l’occasione della morte del padre - ci avvertono preoccupati gli psichiatri - così come può essere l’occasione per l’elaborazione creativa di una separazione necessaria, può anche essere il momento di involuzione verso dimensioni intimamente più drammatiche. Parlando del leader di un paese sempre sull’orlo della guerra - che già vide morire il fratello nell’operazione lampo di Entebbe durante la liberazione dei viaggiatori sequestrati su un aereo - potrebbe trattarsi di una dimensione privata dalle ricadute estremamente pericolose. Quale strada avrà preso la psiche di Bibi Netanyahu lo vedremo presto; incrociamo le dita.

Quello che conta è che da oggi il governo praticamente non ha più un’opposizione. Se l’ingresso di Kadima può effettivamente essere significativa, positivamente, nel rapporto con i moderati di Abu Abbas e aprire un nuovo percorso verso la pacificazione israelo-palestinese, la nuova compattezza della compagine governativa fa suonare più di un campanello d’allarme per quanto riguarda i rapporti scottanti con l’Iran.

Israele adesso ha lanciato il suo messaggio: non c’è alcuna possibilità che si possa giocare sulle divisioni interne nel paese ebraico, perché queste divisioni praticamente non esistono più.

E questa compattezza, che sembra tanto quella di un governo di unità nazionale da Grande Emergenza, preoccupa tanto più se ci si ricorda che alla fine dell'estate gli Stati Uniti entreranno nella fase calda delle presidenziali. Obama sarà ingabbiato: non potrà certo infilarsi in una guerra proprio in quel momento, ma non potrà nemmeno ostacolare apertamente l'alleato israeliano sentendosi sulla schiena la presenza "apocalittica" del mormone Romney. Pessima situazione.

A fine mese ci saranno i decisivi colloqui fra il quintetto e i delegati della repubblica islamica, ultimo round sulla questione nucleare.

Se gli iraniani cercheranno ancora di convincere i diplomatici occidentali - come argomento decisivo - che il loro programma è pacifico “perché l’Ayatollah Ali Khamenei ha emesso una fatwa contro gli armamenti nucleari” i risultati di questi colloqui saranno decisamente scadenti, ma le ultime parole del Ministro degli Esteri di Teheran sembrano effettivamente aprire spiragli seri su una possibilità concreta di accordo.

Inoltre - cosa da non sottovalutare - le elezioni francesi, allontanando dal palcoscenico internazionale l’aggressività di Sarkozy, hanno contribuito a raffreddare la situazione almeno quanto le sanzioni che cominciano a farsi sentire sull’economia iraniana.

Basterà tutto questo a frenare gli israeliani? O il perenne incubo ebraico di un olocausto prossimo venturo - questa volta nucleare - avrà il sopravvento e preferiranno farsi odiare dal mondo pur di non sentirsi più addosso l'angoscia della catastrofe imminente?

Molte cose si sono decise e si decideranno ancora nel corso di questo maggio. Stiamo a vedere (tanto non potremmo fare molto più che questo).


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