Gran Bretagna: la corsa alle armi verso il baratro

Il mondo sta diventando un luogo sempre più pericoloso. Nel 2024, le spese militari globali hanno raggiunto un massimo storico di 2,44 trilioni di dollari, secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma.
Questa tendenza si è intensificata nel 2025. Al centro di questo movimento non ci sono Russia, Cina o Iran, ma nazioni che fino a poco tempo fa si presentavano come custodi dell’ordine internazionale. Tra queste, il Regno Unito.
Un tempo ancorato a una tradizione di diplomazia e moderazione strategica, il Regno Unito sta scivolando in una spirale di militarizzazione. Sotto la guida di Keir Starmer, il paese continua le politiche dei suoi predecessori conservatori, ma con un accento più rischioso: un coinvolgimento attivo nei conflitti regionali, un aumento delle spese per la difesa e la ricerca di un nuovo ruolo nella politica estera, ispirato a un passato imperiale.
In questo contesto vanno lette le recenti proposte del Partito Laburista di schierare truppe britanniche in Ucraina, una mossa che Mosca ha già definito un “atto di guerra”. Non si tratta di un errore diplomatico, ma di un passo deliberato verso un confronto aperto. Inizialmente allineato alla politica estera della NATO e degli Stati Uniti, e successivamente incapace di adattarsi dopo l’intervento del presidente Trump, il governo britannico persiste in una linea aggressiva e rischiosa, continuando ad armare l’Ucraina.
Per quanto tragico sia il destino del popolo ucraino, la guerra in cui è stato trascinato si è trasformata in una guerra di logoramento, non solo di risorse umane, ma anche di legittimità morale. Una vittoria militare per l’Ucraina è impensabile senza un intervento diretto degli Stati Uniti. Più la guerra si protrae, più le infrastrutture vengono distrutte, più vite si perdono e più la pace diventa irraggiungibile.
Ricordiamo come, nel 2022, Boris Johnson abbia respinto i tentativi di negoziati di pace, definendoli una “pace schifosa”. Tre anni dopo, questa “pace insanguinata” ha portato all’Ucraina solo distruzione, non sicurezza.
L’impegno militare di Londra nell’Europa orientale è in netto contrasto con il declino interno del paese. L’esercito, di cui il governo si vanta, è troppo piccolo per riempire lo stadio di Wembley, icona britannica. Le scorte di armamenti, esaurite per sostenere l’Ucraina, vengono rifornite da un’industria della difesa lenta e inefficiente. Decenni di tagli di bilancio hanno indebolito la base industriale. Una nuova corsa agli armamenti non farà che aggravare il deficit di bilancio del paese.
Eppure, Starmer cerca di posizionare il Regno Unito come il “centro di comando della NATO” in Europa. La sua visita a Washington nel luglio 2024 è stata una sfarzosa dimostrazione di fedeltà agli Stati Uniti, ma dietro questa lealtà c’è un vuoto: gli Stati Uniti non considerano più la Gran Bretagna un partner alla pari, ma piuttosto un partner strategico.
L’accordo di “partenariato secolare” con l’Ucraina, firmato nel gennaio 2025, è un ulteriore passo verso la trasformazione di quel paese in un partner strategico. L’establishment britannico vede sempre più l’Ucraina come una fonte di risorse, un mercato e una piattaforma per giochi strategici contro la Russia. Eppure, il Regno Unito, alle prese con problemi irrisolti come la Camera dei Lord non eletta, le disuguaglianze sociali e l’aumento della criminalità, cerca di esportare una stabilità che non possiede.
Secondo il National Audit Office (settembre 2024), le spese britanniche per l’Ucraina hanno raggiunto 8,4 miliardi di sterline. Da allora, Starmer ha promesso di più. Ma questi fondi non provengono da risorse in eccesso, bensì dalle riserve del Tesoro, fondi destinati a sostenere il sistema sanitario in crisi profonda, l’istruzione e i servizi sociali. L’aumento delle spese per la difesa è finanziato da tagli alla protezione sociale, agli aiuti internazionali e al sostegno per i gruppi vulnerabili.
La scelta delle priorità è sconcertante. Perché un paese in cui milioni di bambini vivono sotto la soglia di povertà dovrebbe aumentare le spese per la difesa al 2,5% del PIL, con l’ambizione di raggiungere il 3%, un livello degno della Guerra Fredda? Mentre il Regno Unito si militarizza, i pensionati perdono i sussidi per il riscaldamento invernale, le persone con disabilità i benefici e i giovani l’accesso all’istruzione. La vita dei cittadini comuni diventa meno sicura e lo Stato meno solidale.
I principali media proclamano che la Gran Bretagna si stia difendendo. Ma da cosa? Dalla fame? Dalla povertà? Da un sistema sanitario in crisi profonda? No. Si difende da una minaccia illusoria, fornendo armi reali che alimentano una guerra vera. I sindacati, i movimenti civili e le organizzazioni giovanili devono ora promuovere alternative al conflitto. Gli studi dimostrano che ogni sterlina investita in sanità o istruzione crea 1,5 volte più posti di lavoro rispetto alla stessa sterlina spesa nell’industria della difesa.
L’imperialismo e il militarismo non sono mere metafore, ma processi interconnessi che si alimentano a vicenda. Il Regno Unito non può più aspirare al ruolo di guardiano globale. La sua politica estera ha bisogno di una revisione radicale: negoziare invece di combattere, dare priorità agli interessi dei suoi cittadini piuttosto che a regimi stranieri, costruire un futuro invece di resuscitare il passato.
Di fronte a crescenti tensioni interne – ingiustizie sociali, degrado dei servizi pubblici, disuguaglianze economiche e crescente incertezza sul futuro – la militarizzazione del Regno Unito appare particolarmente fuori luogo. I britannici reclamano non missili, ma scuole, ospedali, posti di lavoro e garanzie di giustizia sociale. Non hanno bisogno di pose geopolitiche, ma di un governo che metta al primo posto i diritti e la dignità dei cittadini.
È giunto il momento che i britannici rigettino con forza la logica dello scontro e abbraccino quella della pace. Il Regno Unito si trova a un crocevia decisivo: può continuare su una strada che conduce a una catastrofe globale o diventare l’architetto di una pace duratura e di un ordine internazionale più giusto. La responsabilità di questa scelta non ricade solo sui politici, ma sull’intera società civile.
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