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Videocracy: l’Italia di Berlusconi trent’anni dopo

 

Tutto ebbe inizio in uno sconosciuto bar della Brianza, dove un anchorman baffuto propina un telequiz agli spettatori collegati telefonicamente da casa e per ogni risposta esatta una casalinga dal fisico flaccido e con una mascherina stile eyes wide shut, si leva un indumento. Lo spogliarello delizia gli operai della zona, incollati allo schermo fino a tarda notte per arrivare in fabbrica visibilmente provati.

E’ il primo atto che sancisce la nascita della tv commerciale e l’era del berlusconismo, che dura ormai da trent’anni, con strascichi evidenti nella mentalità degli italiani.

Questo è Videocracy, il documentario del regista svedese Erik Gandini che svela con molta semplicità lo stato comatoso di un paese plasmato a sua immagine e somiglianza dal “presidente” (così citato nel film). 

In tutto questo Berlusconi non è che la punta dell’iceberg, il simbolo di una società malata, afflitta dal trionfo dell’etica del velinismo, del voyerismo coatto, dell’arricchimento senza scrupoli e al di là di ogni minima regola morale e civile.

Sono tutte cose che sappiamo, discorsi ripetuti spesso nei dibattiti pubblici (non abbastanza sui canali del duopolio Rai-Mediaset). Per il pubblico italiano (per quelli con una consapevolezza critica) il documentario Videocracy non offre nulla di nuovo, tranne alcuni particolari succosi sui quali vale la pena soffermarsi.

La bellissima villa di Lele Mora in Costa Smeralda, affollata di giovani tronisti e fuoriusciti del Grande Fratello, l’immagine candida della camera da letto completamente bianca, come i vestiti del protagonista, che stridono con l’anima nera del Lele Mora orgoglioso del suo essere mussoliniano, che inebriante sfoggia davanti la telecamera il palmare con le suoneria del fascio mixate ad immagini del Ventennio.

Lui, figlio mediatico di Berlusconi, alla cui amicizia deve tutto: la scalata al potere, il ruolo di massimo agente dello spettacolo, il deus ex macchina che decide chi può diventare ricco e famoso e chi è destinato ad una vita anonima e da sconosciuto, cioè normale.

Come quella del giovane “sfigato”, che vive con la madre anziana che si lamenta perchè a 26 anni non gli ha mai portato una ragazza e lo pedina al ristorante quando sa di una cena “galante”. Lui che lavora da operaio (e non essere disoccupato è già un vantaggio) ma sogna di sfondare nel mondo della televisione, proponendosi come l’erede di Van Damme che scimmiotta Ricky Martin a suon di arti marziali.

La sua immagine ne esce ridicola, patetica. Ma il suo sogno è quello e vi dedica ogni sforzo quotidiano. Tra una comparsata e l’altra come spettatore in vari talk-show televisivi avrà finalmente il suo quarto d’ora di gloria durante X-Factor, davanti a Morgan e la Ventura, presentato dal figlio di Facchinetti come “il tarantolato”.

Perché l’obiettivo di una vita è “essere famosi, ricchi ed avere così tante ragazze”.

Tre caratteristiche che di certo non mancano a Fabrizio Corona, altro protagonista del documentario. Figlio mediatico di Lele Mora e per riflesso eternamente grato a Silvio Berlusconi, che ripetiamo, non è un uomo dello spettacolo ma il nostro presidente del consiglio.

In pochi minuti Gardini ci rinfresca la memoria: Corona rinchiuso in carcere ottanta giorni per l’inchiesta del pm di Potenza Woodcock su Vallettopoli. Degno erede del berlusconismo, dopo aver scontato la custodia cautelare con la grave accusa di “estorsione”, ha subito attaccato lo stato e la magistratura, sapendo che in Italia in questo modo avrebbe triplicato i guadagni e la sua immagine ne sarebbe uscita rafforzata.

Infatti la galera gli permette di rilanciare un merchandising di tutto rispetto: magliette, scarpe, profumi e di guadagnare tanti soldi: un utile di quasi due milioni e mezzo, simboleggiati mentre conta sul letto decine di banconote da 100 e 500 euro.

Corona poi racconta che riceve dieci mila euro per ogni comparsata in discoteca, dove si concede un’oretta per qualche foto e dice “quattro minchiate”, come lui stesso ammette.

Videocracy non fa mancare una perla del suo discorso: “tutte le leggi italiane andrebbero cambiate… l’unico motivo per fare il politico è che puoi avere l’immunità parlamentare e fare quello che vuoi… bisogna avere il potere e fare quello che cazzo ci pare”.

E’ la saggia premessa per una futura discesa in campo. Il Quirinale è prenotato in anticipo. Ma l’immagine triste e malata che offre l’Italia al regista svedese, e che sarà quindi diffusa in tutto il mondo, non è tanto rappresentata dal Berlusconi in sé con bandana al seguito, né dal Lele Mora tutto bianco e fascista, dal Briatore pieno di gnocche o dal Corona depilato ripreso nudo sotto la doccia (a stare in mutande non è proprio abituato).

La vera “colpa”, se così si può chiamare, non è solo di coloro che hanno creato il sistema che ha lobotomizzato la maggioranza degli italiani, e di chi l’ha cavalcato ottenendone successo e denaro, ma la responsabilità è di tutti noi, della “base” che ha accolto e permesso che questa degenerazione si affermasse sempre più come sistema di valori da imitare.

Del ragazzo che sogna di sfondare in tv, delle ragazzine trepidanti che si esibiscono in pubbliche piazze, ballando per una carriera a suon di stacchetti muti di 30 secondi, di donne e signore che sbavano per una diapositiva con Fabrizio Corona e che di traverso votano e sostengono la politica di Silvio Berlusconi.

Senza la massa che crea il consenso, questi nuovi “mostri”, citando Oliviero Beha, non esisterebbero. Sarebbero fantasmi sconosciuti. Invece vivono e prosperano, fanno tendenza ed offrono un modello da seguire. Siamo pur sempre il Paese parzialmente libero, al 73 posto per la qualità dell’informazione, dove quasi nessuno compra i giornali o legge i libri, ma si informa per l’80% attraverso la tv. I padroni di questo rincoglionimento di massa ne sono pienamente consapevoli, tanto da impedire su Rai e Mediaset la messa in onda anche solo del trailer di un documentario che potrebbe lievemente scalfire il velo di maya che ottura la vista degli italiani, grazie al quale hanno costruito laute carriere e gestiscono soldi e potere. 

Commenti all'articolo

  • Di Andy (---.---.---.25) 7 settembre 2009 10:54

    Un altro documentario che rafforzerà la figura di Berlusconi, fatto da personaggi di "sinistra" il cui unico obiettivo è quello di far restare Silvio al potere il più a lungo possibile. Ne hanno bisogno per ottenere voti (chi ha veramente il coraggio di votare pd, sinistra e libertà ecc...?) così come la lega ha bisogno degli immigrati.Alla fine sono contenti quelli del pdl che possono fare le vittime (e potenziare la figura di un coglione) e allo stesso tempo sono contenti quelli del pd che possono godere dell’idiozia del premier.

    • Di Elia Banelli (---.---.---.59) 7 settembre 2009 11:44

      Il ragionamento secondo cui non bisogna parlar male delle cose che vanno male altrimenti si fa il gioco di chi le fa andare male... (???) stride proprio con l’essenza stessa di una vita democratica e civile. 
      Non ho mai capito da quale consapevolezza della realtà partano simili modi di intendere il confronto politico.
      Secondo la sua ottica per attaccare Berlusconi, o la maggioranza che governa, o chiunque altro, bisognerebbe solo parlarne bene.... Ergo, faccio un esempio tra i tanti, se vogliamo che il comune di Fondi venga sciolto per infiltrazioni mafiose dobbiamo dire che la mafia a Fondi non esiste? Ergo se io sono contrario a qualcosa dovrei dimostrarmi favorevole???
      Ma in quale oblio delle coscienze ci ha portato il berlusconismo? A tal punto da dire che non lo possiamo attaccare altrimenti si rinforza??? Quindi dobbiamo annulare qualsiasi tipo di opposizione per fare davvero opposizione??? 
      Come è scritto nell’articolo, la colpa non è tanto dei Berlusconi e di chi questo sistema lo sfrutta a suo vantaggio per ottenere denaro e potere. La colpa è proprio nostra, che permettiamo loro questa condizione, attraverso il consenso, o diffondendo la pretesa assurda che non debbano essere contrastati.

  • Di poetto (---.---.---.221) 7 settembre 2009 11:49

    In un paese serio Berlusconi non sarebbe mai stato eletto, sia perché sarebbero state fatte leggi serie sul conflitto di interessi, che nel suo caso è enorme, sia perché cittadini non dico politicamente ma civicamente impegnate, o con un minimo di interesse civico, non avrebbero mai permesso la sua scalata al potere ... ed invece eccolo là.
    Finché il signore non lo chiamerà a se, questo farà danni sia di immagine ma, soprattutto, economici, politici alla nostra amata Italia.

  • Di massimo (---.---.---.131) 7 settembre 2009 12:08

    Ricordo, specialmente ai più giovani, che la nascita delle tv commerciali in Italia è stato un momento di grande libertà. Allora avevamo il monopolio della Televisione di stato , unico ente trasmettitore ammesso.
    Rigido ed ottuso a tal punto che per assurde considerazioni moralistiche ed anticonsumistiche , si era arrivati a posticipare l’inizio della televisione a colori di molti anni rispetto alle altre nazioni occidentali.
    Per un certo numero di anni , nella seconda parte degli anni 70 , si sono cimentati in molti nell’impresa di realizzare stazioni televise, in una situazione normativa confusa. E si trattava anche di grandi editori della carta stampata. Su tutti ha prevalso Finivest , poi Mediaset, diventando il più grande polo italiano privato.
    Ha vinto perchè ha offerto quello che una grandissima parte degli utenti voleva e non perchè si sarebbe imposto con chissà quali strani lavaggi del cervello. Se poi adesso intellettuali e snob criticano quelle scelte e le ritengono poverissime culturalmente, diseducative e squalificate, possono anche aver ragione , ma dove erano quando si imponevano certi modelli ? Perchè la Cultura vera non ha più spazio ?
    E’ molto comodo l’alibi Berlusconi; lui era un imprenditore che ha fatto il bene della propria azienda ed anche dei suoi dipendenti. Chi sono i veri responsabili della videocrazy ?
    Ci sono stati tanti cattivi maestri che dopo il 68 hanno distrutto nella scuola e nella società civile i nostri valori storici tradizionali e morali, e non sono stati in grado si sostiturli con niente. Inutile che oggi si lamentino per quello che loro hanno voluto. 

  • Di (---.---.---.99) 7 settembre 2009 13:47

    e talmente ridicolo prendere in esame la nascità della tv commerciale in Italia, come fatto di pura libertà, senza prendere in considerazione gli sviluppi legati ad un duopolio unico a livello globale, senza prendere in considerazione l’emanazione di leggi volte esclusivamente al rafforzo di questo duopolio ai danni di una possibile concerrenza, senza prendere in considerazione la scesa in campo e l’intreccio politico causa di un enorme conflitto di interessi, senza prendere in considerazione aspetti sociali determinati nel corso di 30 anni da una situazione inverosimile "tutta italiana"

    da Wiki (http://it.wikipedia.org/wiki/Duopolio):

    Il duopolio televisivo in Italia

    In Italia il termine duopolio è dai media usato specialmente per descrivere la situazione che si ha in campo televisivo per quello che riguarda la televisione analogica, dove i due principali competitors , la Rai e Mediaset distanziavano in modo molto evidente gli altri comprimari.

    Il "decreto Berlusconi" creò il duopolio: esso fu varato da Craxi che ottenne dal Governo da lui presieduto il varo di un decreto-legge ristabilire le frequenze dei canali Fininvest di Silvio Berlusconi chiusi da un pretore di Roma. La misura fu preceduta da un’accorta regia mediatica di Berlusconi, facendo inondare di telefonate furenti il centralino di Palazzo Chigi e gli apparecchi dei tre pretori "colpevoli", da parte di telespettatori desiderosi "di godersi in santa pace le proprie serate televisive: Dynasty, Dallas, i Puffi... Quando infine Berlusconi piomba a Roma, i giornali raccontano già ampiamente questa levata di scudi dei telespettatori"[1].

    In buona parte dell’opinione pubblica si diffuse l’idea che Craxi proteggesse politicamente Berlusconi e quest’ultimo gli concedesse ampio spazio nelle sue televisioni; Craxi e Berlusconi tra l’altro erano legati da una lunga e stretta amicizia. Altri invece ribadiscono che il decreto rientrava in un progetto a largo raggio di Craxi per scardinare il monopolio della Rai e aprire alla concorrenza il mercato televisivo[2].

    La conversione del decreto in legge fu abbastanza travagliata, essendosi arenata sullo scoglio della decadenza per mancato riconoscimento dei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza. In base alla prassi dell’epoca, il decreto fu reiterato e, trascorsi i sessanta giorni prescritti dall’art. 77 della Costituzione della Repubblica italiana, il provvedimento fu convertito dal Parlamento solo grazie ad una precisa iniziativa politica di Craxi, che minacciò la crisi di governo e le elezioni anticipate. A poche ore dal termine ultimo per la conversione, i parlamentari del Partito Comunista Italiano garantirono il numero legale con la loro presenza, senza porre in essere alcuno ostruzionismo, consentendo così la conversione del decreto. L’apporto del Partito Comunista Italiano fu determinante: come contropartita, i comunisti avrebbero ricevuto il placet di Craxi per ottenere il controllo di Raitre[3]; secondo altri, invece, l’errore politico del PCI fu di temere una sconfitta elettorale oppure di preferire che la legislatura avesse seguito nell’erronea convinzione che lo svolgimento del referendum sulla scala mobile avrebbe visto la prevalenza dei sì all’abolizione del decreto di San Valentino.

    Il duopolio fu poi consacrato nel 1990 dalla "legge Mammì".

    L’anomalia di tale situazione è stata più volte rilevata dalla Corte Costituzionale[4] e dal Parlamento [5]. Gli interventi legislativi che si sono succeduti sull’argomento non hanno di fatto portato alcun concreto temperamento al problema, che ha spinto il legislatore a puntare sull’anticipazione dei tempi dell’introduzione della televisione digitale.

  • Di illupodeicieli.leonardo.it (---.---.---.182) 7 settembre 2009 14:19

    E’ sempre meglio sentire anche altre campane,come questa appunto: a chi non piace parlare del passato, se gli va potrebbe parlarci del presente. Dica se è d’accordo che non ci sia nessuna legge sul conflitto di interesse, dica se non devono esserci leggi contro posizioni di predominio, dica se è giusto che ci sia l’immunità parlamentare ,se è giusto il lodo Alfano.Che io sappia non c’è legge sul conflitto di interesse, nè contro posizioni dominanti a livello commerciale (leggasi, che con lo strapotere impedisci ad altri di esercitare commercio e di poter stare sul mercato, un po’ come windows preinstallato e pagato), c’è di fatto l’immunità per i parlamentari visto che viene impedito che deputati o senatori denunciati o indagati siano processabili, per il lodo Alfano si è già detto tutto. Che il film/documentario Videocracy sia o rappresenti il punto di vista del regista/autore, penso sia logico, non ritengo abbia la pretesa di essere la verità:anzi proprio parlando di verità sappiamo bene che è difficile, in un paese che ha la fissa del segreto di stato, dove non si possono visionare documenti e atti pubblici, non si può pretendere nel paese del "ma anche" di indicare dove sta la verità.Nel nostro paese non deve valere solo ciò che dice Berlusconi o chi è al governo:perchè oggi,ancora oggi, è così:il film mostra perchè siamo e come siamo diventati così. Le persone, tante, prendono per vero ciò che vedono in tv, lo reputano autorevole, nella più totale assenza di senso critico. Credo sia questo,oltre ai modelli cui ispirarsi,la critica o l’osservazione importante che è nel documentario. Sarebbe bene che qualcuno ,vedendo il film, si ricredesse e capisse come "fa funzionare" il meccanismo Berlusconi.

  • Di massimo (---.---.---.131) 7 settembre 2009 15:32

    Mi è difficile comprendere la protervia e la ottusità di certi commenti .
    Qui si parla di un documentario che vuol ricordare trent’anni di televisione.
    Non riconoscere che trent’anni fa ideare e sviluppare stazioni televisive private fosse un momento di ricerca di libertà, contro un opprimente regime monopolistico di stato, che si reggeva su leggi liberticide della libertà di espressione, vuol dire negare un’ovvietà. E’ talmente chiaro per chi ha vissuto quei momenti e l’emozione di vedere qualcosa di nuovo, rispetto ad una programmazione statale timorosa e parruccona.
    E certo che l’obiettivo non era la costituzione di un monopolio o di un duopolio, ma una informazione libera e completa. Le cose sono andate diversamente per diverse ragioni, ma oggi con le trasmissioni digitali e satellitari non vi sono più limiti tecnici ad una effettiva concorrenza. Il duopolio è tecnicamente morto.
    Vorrei proprio vedere qualcuno capace di sviluppare una televisione brillante ma seria e portatrice di veri e grandi valori. Se non ci sarà, ci si dovrà accontentare di Mediaset, o anche rinunciare a guardare la televisione.
    Ma se gran parte dei fruitori televisivi vorrà continuare a vedere veline, grandi fratelli, concorsi vari del nulla ecc.ecc. cosa si vorrebbe fare ? Proibirli per legge , ripristando una bella censura preventiva ?
    Bel progresso !!
    Non sarebbe meglio trasmettere a scuola ed in famiglia un condivisibile schema di valori morali e sociali ?
    E’ un serio problema di cultura di base, da diffondere fin dalle elementari .
    Ma finchè ci saranno solo dei fanatici anti Berlusconi , che rappresentano un mondo di giusti oppresso da un malvagio, onnipotente e lussurioso , si farà poca strada.
    Per fortuna la maggioranza degli italiani sembra ancora capace di essere più equilibrata.











    • Di Elia Banelli (---.---.---.59) 7 settembre 2009 16:28

      X Massimo: non è affatto semplicemente un documentario che vuole "ricordare trent’anni di televisione".... 
      Non so se ha avuto l’occasione di vederlo, ma il senso è molto più articolato. 
      SI tratta soprattutto della "degenerazione" che la tv commerciale ha prodotto sulle menti, sulla cultura e nel sistema di valori ai quali si dovrebbe ispirare un popolo. 
      La "TV" ha non solo sfornato personaggi impresentabili, come i Corona, i Lele Mora, ecc..., persone ricche e facoltose che hanno costruito una carriera sul nulla, ma ha plasmato molte coscienze, facendo credere alle persone comuni che i modelli da seguire siano il successo, essere famosi, fare soldi, apparire (Lele Mora dice nel film "alla gente basta apparire"). Così come quel ragazzo che non si accontenta di un lavoro normale, una vita tranquilla, famiglia, affetti, amici, ma va a fare il cretino in tv per ottenere celebrità. Così come le ragazzine che aspirano ad un ruolo da velina per sposare poi un calciatore...
      Non c’è dubbio che negli anni 80 la tv commerciale ha presentato un modello alternativo, contro la censura ed il perbenismo dominante della Rai, ecc.. ecc.... Ma a distanza di trent’anni quell’esigenza primaria di vedere tette e culi dappertutto a cosa ci ha portato oggi?
      Al disprezzo per la cultura, in tutte le sue forme, al disimpegno politico e civile, all’individualismo esasperato, alla mancanza quasi totale di informazione ed una enorme difficoltà ad approfondire qualsiasi tema non superficiale. All’idea che per raggiungere gli obiettivi non ci vuole impegno, sacrificio, senso del dovere, responsabilità, ma basta darla al produttore di turno, o cercare di farsi gli amici giusti solo per mero interesse e tornaconto personale.
      Sono temi complessi e so che stiamo molto sintetizzando e banalizzando, ma se noi abbiniamo a questa degenerazione della tv commerciale, che ha trascinato con sè anche il servizio pubblico, il fatto che la proprietà di queste reti e la loro influenza è appannaggio di chi detiene anche il potere politico, ecco che "il regime" è completo. 

      Sempre in Videocracy, viene intervistato il regista del Grande Fratello che dichiara che in concomitanza con le puntate di Porta a Porta gli viene imposto di anticipare la chiusura del programma mezz’ora prima per "trainare" il pubblico da casa nel salotto di Bruno Vespa, quando è invitato Berlusconi. 
      La tv viene sapientemente manipolata, ad insaputa di molti, per dirottare il consenso.
      E’ questo intreccio perverso il velo di maya che ci rende davvero ottusi e incapaci di reagire a questo sistema, anzi lo accogliamo, lo giustifichiamo nel migliore dei casi, nel peggiore lo subiamo senza rendercene conto. 
      Lei ha detto, ben venga una tv che si occupi di temi importanti, ecc..., ma non c’è e quindi ci teniamo Mediaset, ecc...
      Bene, vorrei farle solo una domanda: lei conosce il caso Europa 7?

  • Di Elia Banelli (---.---.---.59) 7 settembre 2009 16:37

     Altra domanda che mi viene in mente, rileggendo il suo commento: lei pensa davvero che il pubblico da casa vuole solo Gf, Veline,Uomini&Donne XFactor, ecc... o lo vuole perchè gli viene continuamente proposto quello?
    Se fosse così, perchè i dirigenti Rai e Mediaset proibiscono di mandare in onda ANCHE SOLO IL TRAILER di Videocracy, se sapessero che la gente, comunque, preferisce vedere quella roba lì... 
    Come mai allora un programma come ANNO ZERO fa così tanti ascolti che riesce ad autofinanziarsi senza bisogno del canone???
    E come mai questa attenzione costante della politica a censurare i programmi scomodi ed i loro autori?
    Se la gente "vuole quell’altro" perchè non concedere allora massima libertà e far decidere infine al mercato?


  • Di pv21 (---.---.---.52) 7 settembre 2009 17:16

    Si potrebbe dire che è Tutta colpa di Carosello se siamo finiti in mano a Audiende e replicanti e siamo Travolti dalle informazioni. Non si salva neppure Internet, con i suoi milioni di utenti. Neppure Internet è la "verità". Chiunque ormai può raccontare la "sua" verità con tanto di immagini. Alla fine non si trova più la verità dei fatti. Questo porta con sè confusione e disorientamento. Ed ecco il rischio peggiore. Le idee hanno da sempre bisogno di un "volto" che le rappresenti. Quando "verità" e "idee" hanno lo stesso volto scatta la trappola mediatica ed il cerchio si chiude sulla libertà di informazione e ... di scelta. (c’è di più => http://forum.wineuropa.it

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