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L’industria regge, l’Italia è la quinta potenza

Nonostante la forte crisi degli ultimi tre anni, con l’Europa stretta tra debiti pubblici sproporzionati, deficit eccessivo e tempeste di Borsa, l’Italia tiene ancora il passo e si consolida come la quinta potenza industriale del mondo, addirittura la seconda se si guarda la produzione pro capite.

Il nostro piatto forte resta il settore manifatturiero, dove deteniamo il 3,9% della produzione globale, mantenendo il distacco dalla Germania (6,5%) ma riducendolo rispetto agli Stati Uniti (a quota 15,1%, nel 2000 era al 24,8%) ed al Giappone terzo classificato (con l’8,5% rispetto al 15,8%).

D’altra parte si è allungato il vantaggio rispetto alla Francia (settima con il 3,6%) ed al Regno Unito (decimo con il 2,3%).

In realtà non è aumentata la nostra produzione (che anzi è scesa rispetto a dieci anni fa, attesta al 4,1%) ma sono sensibilmente diminuite le capacità dei primi della classe.
L’unica impressionante eccezione è la Cina, che nel 2000 deteneva l’8,3% mondiale dell’industria manifatturiera ed adesso balza al primo posto con un perentorio 21,5%.
In coda Russia e Spagna a pari merito con la percentuale del 2,2 (ma la Russia ha recuperato molto rispetto allo 0,7 % del 2000, mentre la Spagna ha avanzato di soli 0,2 punti).

E’ il risultato finale del rapporto "Scenari industriali, nuovi produttori, filiere e mercati globali. Le imprese italiane cambiano aspetto", presentato ad un convegno del Centro Studi di Confindustria con il responsabile Luca Paolozzi, insieme al Presidente Emma Marcegaglia ed al direttore generale Giampaolo Galli.

Numeri analizzati in un’ottica positiva pensando ovviamente al crollo generale di Stati Uniti e Giappone ed all’arretramento tedesco.

Secondo la Marcegaglia è cambiata la composizione strutturale: il tradizionale Made in Italy (moda, abbigliamento, arredo) rappresenta oggi il 15% dell’export, a fronte di un 53% proveniente da macchine, metallurgia, autoveicoli, chimica e apparecchi elettrici, beni intermedi che ci consentono ancora di mantenere una quota mondiale dell’export del 4,8%, affiancato da buone notizie come il freno al calo di dimensione delle imprese.
Piccoli segnali di vitalità che si scontrano però con una crescita troppo lenta, viziata da un contesto produttivo italiano sempre poco competitivo (che negli ultimi anni è sceso del 18%, perdendo 27 punti rispetto alla Germania).

Per reagire le imprese hanno dovuto adeguarsi, cambiando gli scenari, andando a produrre sui nuovi mercati, come l’Africa, l’Est europeo e gli Emirati arabi, "ma", sottolinea la Mercegaglia, "siamo ancora poco presenti in Cina e altri paesi emergenti".
In uno scenario simile va bene la manovra Tremonti sui conti pubblici, con la necessaria riduzione del deficit e della spesa improduttiva (come si sta procedendo in Germania e nel resto d’Europa), ma è necessario trovare nuove misure per la crescita e rendere più efficiente il sistema paese.

Certo, il congelamento degli stipendi ed il taglio dei posti nella PA fanno parte di un quadro di interventi che deprimono la domanda interna e "la parola crescita è scomparsa dalla Ue. Non possiamo garantire il benessere da soli", ha aggiunto il Presidente di Confindustria.

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