• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Una classe politica inadeguata al suo tempo

Una classe politica inadeguata al suo tempo

In un romanzo di trent’anni fa, ripubblicato da poco, il sociologo Alberto Abruzzese sembra dotato del dono della preveggenza, perché è capace di offrirci una lucida e spietata rappresentazione della classe politica, in particolare di quella di sinistra, e della sua trasformazione vampirizzante. Anche se riferito, ovviamente, ai dirigenti e agli uomini di partito del 1982, il romanzo sembra scritto ieri, tanto il protagonista sembra aderente all’attualità.

C’è un romanzo che si intitola Anemia e che Alberto Abruzzese ha scritto quasi trent’anni fa, nel 1982, in un’epoca in cui la politica iniziava a manifestare i primi segni di deterioramento, ma che mai nessuno avrebbe immaginato potesse decomporsi fino allo stato attuale. A rileggerlo oggi (è stato da poco rieditato, con una bellissima Nota introduttiva a firma dell’autore che ripercorre la genesi del romanzo), sembra un romanzo scritto ieri, perché ci propone una visione spietata di una classe politica asfittica e priva di visione, incapace di concepire se stessa come qualcosa di vivo e pulsante.

Anemia è la storia di una metamorfosi e della sua “normalizzazione”, della sua sublimazione non traumatica nella quotidianità: la trasformazione in vampiro di Umberto U., giovane e promettente alto funzionario di partito. Poco brillante nonostante l’età, con una vita perfettamente incastonata dentro l’essere un uomo politico in ascesa, Umberto U. è organico ad una cultura in cui l’ideologia, l’identità, l’appartenenza, il pensiero forte sono abiti mentali e fisici, orientano il pensare, l’essere e l’apparire. Una storia che, come si diceva prima, letta oggi appare di straordinaria attualità, più che la metafora perfetta del tempo presente, la trasposizione nel presente di un’epoca della politica che si pensava passata e che, probabilmente, invece è stata soltanto sospesa.

Nel ricostruire la genesi del romanzo e del clima che lo determinò Abruzzese, infatti, propone una serie di argomentazioni: gli anni Ottanta, ritenuti l’epoca di una vitale e silenziosa rivoluzione che ha completamente polverizzato il Novecento e le sue utopie; l’evoluzione dei consumi di massa, letti come dilaniante desiderio di dissipazione; l’irrompere potente dell’immagine e dei mass media più che nella quotidianità al fianco di essa. Ed è qui dentro queste riflessioni che ci si imbatte in una frase bellissima e catastrofica: “mi proiettavo in Umberto U. per ragionare su una questione cruciale: la creazione di una classe dirigente adeguata a una sensibilità nuova del mondo e in grado di capire l’urgenza di rifiutare l’eredità dei propri padri, l’impostura della loro salute, bontà e bellezza”.

Ed è qui che nel lettore spunta il sospetto che l’epoca della politica che il romanzo racconta non sia passata, ma sia rimasta sopita per ripresentarsi adesso, un periodo in cui confluiscono due fenomeni omologhi e connessi: da un lato la nostalgia di una ampia parte della classe politica verso forme appartenute al passato, il continuo richiamo ad antiche radici, ad identità originarie, generate tuttavia in tempi (il XIX e i primi decenni del XX secolo) pressoché preistorici rispetto al presente; dall’altro, a fronte della necessità percepita da tutti di una rigenerazione del ceto politico, la riconversione di quest’ultimo verso quelle forme antiche di partecipazione e di militanza, presentate però come nuove, piuttosto che l’esplorazione di modalità altre, per di più sperimentate già in quasi tutte le grandi democrazie occidentali.

Il problema che Anemia palesa, nell’appassionare al vampirizzarsi del giovane funzionario, è l’evidenza dell’inadeguatezza del ceto politico rispetto alla società. Quest’ultima sembra essere molto più evoluta e articolata – nonostante evidenti sofferenze – di quanto non lo sia la classe politica, la quale dal rinnovamento traumatico e forzato dei primi anni Novanta sembra aver ricavato solo una nuova dimensione completamente incastonata dentro i media, estranea alla crudezza comunitaria del territorio, all’eticità della prossimità civile. L’idea che ne deriva è che la politica italiana al tempo di tangentopoli e di mani pulite non abbia colto l’occasione per liberarsi delle ideologie che avevano segnato il Novecento, non abbia approfittato dell’enorme opportunità che le si presentava di modernizzare le forme del proprio agire e i metodi del proprio pensare. L’idea è che quei primi anni Novanta siano stati vissuti in modi profondamente differenti dalla cittadinanza e dalla classe politica: la prima la ha interiorizzata come catarsi purificatoria, la seconda la ha sublimata come sospensione, come lungo oblio. E mentre per la prima il risultato naturale di quella catarsi si concretizza nella determinazione, laica e non ideologica, di esserci e di partecipare, di incontrarsi sotto la spinta etica di valori e di necessità (desideri e bisogni) condivise, per il ceto politico pare prioritario il recupero identitario di forme e di modelli organizzativi fondati su una propria supremazia sulla società civile. Due spinte verso direzioni opposte che determinano un’aperta crasi fra l’idea della società e della politica che la maggior parte delle persone hanno e l’idea che di esse ha il ceto politico, fra l’abilità alla post-modernità acquisita dalla gran parte della cittadinanza e quella non acquisita (testimoniata emblematicamente dall’arretratezza di tutti gli apparati dello stato e dall’inadeguatezza alle relazioni con la popolazione) dalla classe dirigente politica.

Sembra allora che per la politica l’epoca della politica in cui fu scritto Anemia si ripresenti oggi e si ripresenti come se nel frattempo non fosse accaduto nulla, mentre per i cittadini la questione è altrove, in un tempo trascorso che ha dato luogo all’oggi.

Così la catastrofe di quella frase bellissima: “la creazione di una classe dirigente adeguata a una sensibilità nuova del mondo”. 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.53) 8 febbraio 2011 11:24

    Perchè, da allora è mai cambiato qualcosa?
    Personalmente credo che gli obiettivi veri della nostra classe dirigente, dalla sua formazione ad oggi, siano sempre stati più o meno gli stessi, condivisi indistintamente da tutti gli schieramenti politici. Semplicemente nelle diverse "epoche politiche" è mutato il confine fra quello che ci era dato sapere - o che in qualche modo si è palesato all’opinione pubblica - e quello che in realtà resta il nucleo forte del fare politica, ovvero l’agire in modo subdolo per il raggiungimento di determinati interessi, più o meno privati, più o meno internazionali, ma aventi tutti uno scopo di fondo: mantenere la popolazione in un limbo fatto di precarietà in modo tale che i cittadini avvertano un forte bisogno di interventi politici in contrapposizione al baratro dell’incertezza, riaffermando paradossalmente in tal modo la stessa classe politica - matrice cosciente dei disagi sociali - e rendendola sempre più potente e meno esposta a subbugli insurrezionali.
    La differenza fra la prima repubblica e la seconda non sta infatti negli scopi della politica, che sono rimasti invariati da sempre, ma semplicemente nelle tecniche utilizzate per narcotizzare la popolazione: nella prima, una concessione di benefici sociali ed economici improntati allo sviluppo della cultura consumistica ed allo stesso tempo celanti gli interessi ben più grandi sviluppatisi "dietro le quinte" della politica; nella seconda repubblica, al contrario, viene meno l’aspetto reale del benessere economico che invece sarà soppresso, riscontrando il perfezionamento di una tecnica di propaganda squisitamente mediatica volta alla possibilità di concretizzare il raggiungimento di un "sogno", di un’illusione "berlusconiana" al quale tutti sono portati ad aspirare, dal contadino all’uomo d’impresa.
    In Italia tutto resta d’attualità, poiché niente è mai cambiato.

  • Di illupodeicieli (---.---.---.55) 8 febbraio 2011 16:14

    Chi non ha mai frequentato riunioni politiche forse ignora ciò che succede e succedeva, sopratutto quando ci sono state le preferenze. Il punto comunque è sempre lo stesso: cosa ti serve e che cosa puoi offrire in cambio. Dal dì che fu è sempre stato così, dittature a parte ma anche in quel caso ci sono eccezioni. In una nazione dove per ottenere ciò che ti spetta, ciò che ti permette di aprire un’attività o avere le opportune autorizzazioni, poter accedere alla cultura e partecipare alla vita pubblica, devi leccare o ungere qualcuno , in cui devi dimostrare di essere innocente anche per una multa automobilistica, risulta se non logico almeno invitante dover fare a meno di percorrere questo iter strisciando per terra. Ecco che vedere o leggere del come si fa o si potrebbe fare può far capire che perchè tutto questo cambi bisogna darsi da fare, pretendere quindi di ricevere ciò che ci spetta ed è logico per un paese civile, senza doversi prostituire, senza dover diventare portaborse o leccapiedi di qualcuno. Il punto è che le cose stanno diversamente e questa forma mentis, cioè del doversi rivolgere per forza a qualcuno per ogni cosa , è diventata una tacita regola. Che non cambia.

  • Di pv21 (---.---.---.35) 8 febbraio 2011 19:43

    Polpa federalista >
    A maggio scadrà per il governo la delega di “attuazione” del federalismo fiscale (L 42/2009). Legge varata con tutte le premesse di una “riforma epocale”. Su 950 parlamentari furono appena 41 i voti contrari.

    Dopo oltre 20 mesi di dibattito e votazioni manca ancora la “polpa”: i fabbisogni ed i costi standard della finanza locale. Senza la definizione di questi capitoli la riforma federalistica è ancora un “guscio vuoto”.

    Ora la Lega non può permettersi di tornare “a mani vuote” davanti ai suoi elettori.
    Tanta “fatica” val bene l’alleanza con i “responsabili” basiti dal Cavaliere.
    Tanta “fatica” merita una maggioranza, “pur che sia”.

    Ritorna il “processo breve” per smaltire l’ingorgo giudiziario? Quanto alta sarà la montagna di contenzioso generato da un federalismo spuntato a colpi di fiducia?
    L’ultimo capitolo non sia la raccolta di pagine tratte da un Dossier Arroganza

  • Di aellebì (---.---.---.72) 29 marzo 2011 16:24
    aellebi

    Sempre stati, siamo e saremo, forse, purtroppissimo, prevalentemente VOTOSCAMBISTI - o SCAMBIOVOTISTI, fai tu... (fossimo almeno semplicemente ’scambisti’ sarebbe molto più eccitante anche se molti moralisti-solo-sulla-sessualità scaglierebbero anatemi a iosa).
    E senza, pratica, tranne qualche eccezione, distinzione fra gli orientamenti politicanti.
    Mi sono spesso interessato di e ho fatto direttamente, anche come candidato consigiliere locale (un centro-sinistra di pulizia in alternativa a una variegata sinistra sporca, a una destra e a una lista civica), politica (le distinzioni fra elezioni, istituzioni e cariche politiche e amministrative sono per me insulse: è tutta politica, dalla locale all’europea, varia l’estensione del territorio e il numero della popolazione che vi si riferiscono).
    Che urùr.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares