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Controvento, il nuovo libro di Antonello Caporale

Ci sono certi libri che hanno la straordinaria capacità di farti venire in mente cose a cui non avresti pensato mai, almeno non nella forma e nel modo in cui ti vengono in mente e in cui le pensi.

In realtà tutti i libri (o molti) fanno pensare, ma non esattamente nel modo in cui intendo io, ossia generando associazioni e legami, scombussolando certezze o capovolgendo il senso delle cose. I libri che dico si impongono non solo per quello che scrivono, ma anche per quello che scatenano in te.

Uno di questi libri è Controvento di Antonello Caporale, appena pubblicato da Mondadori nella collana Strade Blu.

Controvento è un libro che racconta lo straordinario e repentino sviluppo dell'eolico nel sud Italia e che lo fa in un modo molto bello, in cui prevale non uno stile da indagine, bensì uno stile da scoperta. Scoperta che avviene a poco a poco attraverso alcune storie, attraverso l’incontro con alcune persone e con le loro esperienze.

Gente che racconta come la vita sia improvvisamente cambiata quando si sono imbattuti, il più delle volte per caso, in una pala eolica o, addirittura, in un semplice anemometro piantato in un campo. Racconti che fanno emergere e che delineano sì un panorama di intrecci e di implicazioni, alcune anche losche, attorno alle energie rinnovabili, ma soprattutto l’incapacità storica e quasi “genetica” della gente del sud di costruire futuro, addirittura di pensarlo.

Ma a parte lo stile – caldo, quasi narrativo e per questo fortemente coinvolgente –, a parte il contenuto importante e “intrigante”, a parte il tono che non vuole confondere le cose, che non rifiuta le pale, ma semmai il modo dissennato con cui vengono usate, a parte tutto ciò il libro di Caporale a me ha provocato un effetto strano, anzi direi straniante.

Perché per la prima volta mi ha fatto pensare al sud in un modo completamente diverso da sempre, un luogo non di sole, di mare o di caldo, bensì un luogo di vento, un luogo dove non prevale la terra, ma l'aria, ciò che a terra non c'è e, in generale, ciò che non c'è e che se c'è fugge via subito, soffiato lontano.

L'idea che il sud sia vento ne modifica la percezione. Almeno a me fa questo effetto. Perché improvvisamente mi sono reso conto che ciò che mi trovo davanti è un qualcosa interamente dominato dall'elemento naturale e non da quello umano. Da forze che vanno oltre le nostre, paniche, ovviamente, non soprannaturali, naturalmente. Pensare il sud in forma di vento significa pensarlo in modo astratto, significa slegarlo dall'immagine storica che se ne ha, avvinghiata dentro socialità millenarie difficili da comprendere, spesso, molto difficili da districare, sempre.

Significa guardare al sud come una terra in cui la natura domina sull'uomo, come l'ultimo lembo selvaggio d'Europa, nonostante l'urbanizzazione, nonostante le devastazioni, nonostante le cancrene politiche e le metastasi malavitose. Significa sentirsi in balìa, anche felicemente sballottati, piccoli, ma non per questo soccombenti. Significa, semmai, sentire nuovamente (o per la prima volta, come nel caso di ogni singolo individuo) quella scossa di paura che attanaglia il piccolo, debole e indifeso al cospetto di ciò che è più grande e più forte. E la voglia di battersi, di opporsi a quella forza soverchiante. Un elemento naturale con cui confrontarsi. Rispettandolo e temendolo.

Considerato così il sud cambia radicalmente, si trasfigura e diventa più facile - ma triste, terribilmente triste - comprenderne il destino, capire l'amarezza che qua e là, ma in maniera decisa, emerge dalle pagine di Controvento, quell'incapacità storica di pensare il futuro, di cui più sopra si è detto, l'inadeguatezza ad essere artefici del proprio destino ma anche una mancanza di concretezza, una volatilità connaturata, in sé.

Il vento soffia e porta via, ad altri. Ma se il sud è vento è il sud che va via.

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