• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > La Legge 194 "riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita (...)

La Legge 194 "riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio"

La legge 194 del 1978, detta "sull'interruzione di gravidanza", è in realtà anche legge "per la tutela sociale della maternità", come risulta dal titolo (Norme sull’interruzione volontaria della gravidanza e per la tutela sociale della maternità). Quindi, ne afferma il valore non individualistico ma sociale importando il dovere di tutela da parte dello Stato.

L'esigenza di normare in materia di interruzione di gravidanza e di maternità nasce in riferimento alla piaga degli aborti clandestini, che si perpetravano all’ombra di mammane e loschi figuri senza nessuna protezione per le donne, nonché dalle lotte dei movimenti di emancipazione femminile per l'autodeterminazione. Ma il testo della Legge 194 si estende ben al di là e si protende in direzione della maternità per il suo significato sociale e il suo valore non individualistico. 

Con essa — è detto al primo comma dell’art. 1 —, “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”, affermazione di grande portata che mette insieme diritto della donna e tutela della vita, libertà personale e responsabilità collettiva.

La procreazione cosciente e responsabile allude, infatti, all’autodeterminazione della donna, ma in un senso che stempera i motivi ideologici della campagna abortista (si pensi allo slogan Io sono mia! con il quale se ne voleva affermare la sovranità riproduttiva) in direzione di una presa di coscienza pienamente responsabile della scelta procreativa. Il valore sociale della maternità richiama invece la responsabilità dell’intera società e il dovere che essa ha di accompagnare la gestante e, poi, la madre. Riconosce, quindi, che quella scelta non è di carattere privatistico, ma impatta il sociale e il morale. Ciò contrasta con l’isolamento in cui si viene a trovare oggi, come allora, la donna nel momento in cui si trova a portare avanti una gravidanza e alle difficoltà che incontra nel conciliarla con il lavoro, con lo studio, con le ristrettezze economiche, con l’indifferenza, se non con l’assenza, del partner.

La tutela della “vita umana dal suo inizio” evoca i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'articolo 2 della Costituzione, in cui implicitamente rientra il diritto alla vita, come si evince leggendo in combinato lo stesso articolo 2 con il 27 e il 32. Lo declina nel senso della "tutela della vita dal suo inizio”, nella misura in cui non c’è diritto che non la presupponga, per cui, violata la vita in quanto diritto, non si vede come possano residuare la libertà nelle sue varie formulazioni (compresa l’autotederminazione), l’integrità della persona, la salute etc..

Ne viene che l’articolo 2 della legge 194 affida ai consultori familiari il compito di assistere la donna in stato di gravidanza informandola “sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione”, “sui servizi sociali, sanitari e assistenziali” disponibili sul territorio, “sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro” a sua tutela, nonché “attuando direttamente o proponendo allo ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi”.

Il punto nodale della questione (sollevata in questi giorni circa la presenza nei consultori di associazioni di volontariato contrari all’aborto) sta nella finalità prima dell’assistenza alla donna che è di garantirne la libertà. Ma essa non necessariamente deve portare, come invece ha portato spesso, all’interruzione della gravidanza nei primi 90 giorni e limitatamente alle circostanze previste all’art. 4 (“per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”), o oltre i 90 giorni (“quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”), ma intende piuttosto garantire la procreazione, riconoscere il valore sociale della maternità e appunto tutelare la vita dal suo inizio. Tant’è che la legge esclude tassativamente che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.

E invece proprio questo è accaduto in questi 40 anni, in cui si sono avuti ben 6 milioni di interruzioni di gravidanza e ogni volta che ce n’è stata una un concepito non è stato tutelato nel suo inizio di vita. Né è stata tutelata la maternità nel suo valore sociale, perché la scelta di essere madre si è fatta sempre più difficile, persistendo ostacoli di ordine economico, lavorativo, sociale e di sostegno affettivo, di cui la società non si è fatta carico.

Un gelo demografico è piombato sull’Italia e ha drasticamente abbassato i tassi di natalità secondo un trend che sembra ormai difficile da invertire. Come dire che l'applicazione della legge 194 si è risolta nella garanzia della libertà di abortire, non tanto di procreare, in un'accezione de-generativa, più che generativa. Non si è vista la promozione della maternità nel suo significato sociale. Questa anzi è vissuta oggi, peggio di allora, nella solitudine, per cui le donne devono sobbarcarsene il peso tutto intero, con fatiche, con rinunce, che nessuno riconosce o finanche vede. Il modo più sbrigativo e, nello stesso tempo, ordinariamente crudele di applicare e interpretare la Legge era di buttare il bambino con l'acqua sporca, sopprimendo il concepito. E questo ordinariamente si è fatto e si fa.

Mi domando quante donne avrebbero scelto diversamente, se solo fossero state incoraggiate, accompagnate, aiutate, se solo non fossero state lasciate sole, come invece la Legge prescriveva di fare.

Tutelare la madre e tutelare la vita del concepito dal suo inizio resta quindi il compito del domani, perché la società e lo Stato si mettano effettivamente dalla parte dei più deboli e indifesi, per affermare la libertà della procreazione.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità