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Travaglio e Il Giornale. C’è un giudice a Roma

Il Giornale accusa un giudice di avere favorito Marco Travaglio in una causa per diffamazione intentata da Previti. I lettori di Sallusti si scatenano, ma non sanno che lo stesso giudice ha condannato Leo Sisti e Peter Gomez a risarcire Dell’Utri.

L’articolo è uscito su Il Giornale di mercoledì scorso. Titolo: “Il giudice lumaca salva Marco Travaglio”. La storia è presto detta: nel 2003 Travaglio, oggi vicedirettore de Il Fatto Quotidiano, scrisse per L’Espresso un articolo che raccontava un incontro nello studio di Carlo Taormina per depistare le indagini della procura di Palermo su Marcello Dell’Utri cui avrebbe partecipato anche Cesare Previti. Nonostante fosse stato appena citato nell’articolo, Previti se la prese e querelò Travaglio per diffamazione. “Reato impossibile”, si difese lui dopo la condanna in primo grado a otto mesi di carcere. E presentò ricorso contro quella sentenza. La Corte d’Appello di Roma ha emesso la sentenza l’8 gennaio 2010, confermando la condanna ma convertendo la pena in una multa di 1000 euro. Il Presidente relatore di quel collegio, Afro Maisto, si prese 60 giorni per scrivere le motivazioni, ma le ha depositate dopo addirittura un anno, lo scorso 4 gennaio, lasciando che il reato si prescrivesse prima ancora che il processo potesse arrivare in Cassazione. Dunque, secondo Il Giornale, apposta per favorire Travaglio ed evitargli quei pochi spiccioli di multa.

Letta la notizia, i lettori de ilgiornale.it (che hanno potuto finalmente scoprire la differenza tra un innocente e un prescritto) si sono infiammati, facendo sfoggio nei commenti di tutta la loro cultura giuridica: “Come mai al bravo Travaglio non hanno fatto il rito immediato? Due pesi e due misure?” si chiede topold. Beppe46 denuncia allarmato: “Mi chiedo sempre cosa può fare un cittadino per tutelarsi da questo tipo di magistratura, quella che puzza di marcio. Ora capisco perché una causa che ho contro la mia regione, di sinistra, dopo 16 anni non vede ancora la conclusione: forse perché qualcuno ha saputo che voto per il centrodestra?” C’è chi confonde la diffamazione con la calunnia e chi, illuminatosi all’improvviso sullo stato della giustizia in Italia, si accorge d’un tratto “che la legge non è uguale per tutti”; chi ne approfitta (“Adesso lo possiamo diffamare anche noi”), chi se la prende con "questi pm politicizzati" che "hanno fatto troppo danno al Paese" (anche se le sentenze non le scrivono i pm, ma i giudici, ogni occasione è buona per attaccare la magistratura), e chi, come Paola13, commenta sdegnato: “Non sono in grado di far procedere un caso di due pagine in un anno ma sono in grado nello stesso periodo di fabbricare un caso di settecento pagine contro Berlusconi. Giudici spudorati e senza dignità. E non pubblicate più, per favore, la faccia di Travaglio perché mi da il voltastomaco” (tralasciamo gli eccessi di certi "travagliani" secondo cui "diffamare un mafioso è una cosa giusta").


Quello che né Il Giornale né i suoi lettori sanno è che Afro Maisto, la presunta "toga politicizzata" che per pigrizia professionale ha lasciato che si prescrivesse il processo a Travaglio, è lo stesso magistrato che ha scritto la sentenza d'appello (raccontata da AgoraVox il giorno dopo l'articolo de Il Giornale) che condanna Peter Gomez e Leo Sisti a risarcire 50mila euro a Dell'Utri per due articoli che la Corte da lui presieduta ha ritenuto diffamatori nonostante abbia riconosciuto che tutte le notizie raccontate fossero vere. E che si sia spoliticizzato (o ripoliticizzato al contrario) in meno di un mese è poco verosimile. Non solo, ma anche in questo caso Maisto ha depositato le motivazioni con mesi di ritardo. Insomma, è molto più probabile che si tratti di un ritardatario cronico anziché di una toga rossa. Ora che l'abbiamo scritto, però, c'è da stare tranquilli: siamo sicuri che Il Giornale rettificherà al più presto. La deontologia a Via Negri è una cosa seria. Altro che quei ciarlatani de L'Espresso.


LEGGI: Peter Gomez e Leo Sisti condannati a risarcire Dell’Utri

Commenti all'articolo

  • Di paolo (---.---.---.67) 28 febbraio 2011 10:09

    Non facciamoci illusioni ,la coerenza non è la virtù di questi "cittadini " di destra ,esattamente come non lo è per il loro "capo" .

    La prescrizione per Silvio rimarrà "un’assoluzione " , per Travaglio ,i giornalisti di sinistra e i comunisti in genere , è e rimane una cosa " .. che puzza di marcio ... " .
    Quel Beppe46 , se , come presumo 46 sta per l’anno di nascita come è in uso tra i giovani di oggi , ha superato di molto l’età della maturità , ma il suo cervello è rimasto al palo.
  • Di illupodeicieli (---.---.---.103) 28 febbraio 2011 10:35

    Non so se sia una questione politica aver consegnato in ritardo le motivazioni delle sentenze: so per certo ,per esperienza personale, che si applicano sempre due pesi e due misure. Del resto quando vedi avvocati di parti avverse che chiacchierano amichevolmente prima di entrare in aula, puoi immaginare di tutto, anche che ci sia chi ha corsie preferenziali per far avanzare o rallentare le "pratiche". Che poi il mister, Travaglio, sia antipatico a tanti e sopratutto a chi si proclama di destra, non ne fa un santo nè,per me che non sono di destra, un paladino o difensore o rappresentante o portavoce delle mie idee o necessità (politiche/economiche/sociali). Se le cose stanno come le ha scritte il giornale, sono comunque da tenere in considerazione e si possono chiedere delucidazioni.

  • Di dareos (---.---.---.15) 28 febbraio 2011 13:16
    dadotratto

    Onestamente non rieco a comprendere la motivazione "politica" che un giudice potrebbe avere riguardo Marco Travaglio, il quale, è di Destra. Come lo era il suo maestro Indro Montanelli, che non era certo più docile di lui nei suoi articoli, tutt’altro. Redigere un articolo, riportando atti e documenti delle indagini o della magistratura, che accusi una personalità, di Destra, non è essere di Sinistra, è essere Giornalisti (razza rara nel fu il bel paese). Purtroppo un certo tipo di propagandismo tragicomico ha ormai abituato la nazione che essere di una parte politica è ormai addirittura peggio di essere un adolescente ultrà: fedeltà a tutti i costi, amore incondizionato, e attaccare tutto il resto per partito preso. Un paese in stato vegetativo.

  • Di paolo (---.---.---.67) 28 febbraio 2011 14:46

    Proprio cosi’ Dareos , non conta la sostanza o la verità delle cose ma l’essere schierati da una parte , appartenere ad un gruppo o identificarsi con un simbolo .

    Travaglio ,cosi’ come Montanelli che addirittura militò nella gioventù fascista , non è mai stato uomo di sinistra ma tale diventa solo perchè avversa Silvio Berlusconi . Idem per Di Pietro ;in sostanza chi non si schiera con Silvio è un comunista , sic et simpliciter . Anche Fini è diventato comunista .
    E cosi’ questo giudice ,probabilmente inadempiente di suo , per avere favorito in qualche maniera Travaglio diventa un giudice "marcio ", che puzza di comunista . Poi capita l’inconveniente ridicolo che ci illustra l’articolista . 
  • Di enrix (---.---.---.33) 1 marzo 2011 08:37

    "...un articolo che raccontava un incontro nello studio di Carlo Taormina per depistare le indagini della procura di Palermo su Marcello Dell’Utri cui avrebbe partecipato anche Cesare Previti. Nonostante fosse stato appena citato nell’articolo, Previti se la prese e querelò Travaglio per diffamazione."

    Vedo che quanto a comprendonio, siamo duretti, e non servono neppure le sentenze di condanna.

    Previti se la prese e querelò proprio perchè NON partecipò ANCHE lui a quell’incontro,

    Non partecipò assolutamente, nessuno disse mai che partecipò, ma Travaglio nel suo articolo mediante la manipolazione di una testimonianza in virgolettato, fece credere dolosamente e falsamente ai suoi lettori che Previti era presente durante la subornazione di un teste di un processo di mafia: un grave reato. Altro che "appena citato".

    Per quanto riguarda la chiosa del Giornale, essa non è rivolta, ovviamente, al concetto di prescrizione in quanto tale, o al periodo stabilito per la stessa.

    Nove anni per la prescrizione di una diffamazione vanno benissimo, è un periodo giusto ed equilibrato. 

    Quel che non va bene sono 5 anni in procura per istruire un fascicolo contenente solo un paio di paginette e senza audizione di testi, e soprattutto 1 anno per depositare 2 paginette dattiloscritte a motivazione di una sentenza. Di questo si lamenta il Giornale, e mi pare perfettamente legittimo.
    Nessuno accusa il giudice di comunismo o partigianeria, ma solo di provvidenziale lentezza, di cui il nemico n°1 delle prescrizioni, saprà ben approfittare.

    Sotto il profilo del contenuto, la sentenza bacchetta Travaglio esattamente come quella di primo grado, ravvedendo un falso consapevole e doloso, ed inquadrando il giornalista come un diffamatore, un bugiardo cosciente e non casuale.
    Quindi sul piano teorico, il giudice non pare nè schierato, nè partigiano.

    Sul piano pratico però, ha concesso uno sconto di pena (1000 euro, non 500) che date appunto le motivazioni si stenta a comprendere, ed ha scritto la sentenza ad un ritmo di 6 righe al mese per 12 mesi, pur consapevole che il reato stava prescrivendo.

    • Di Federico Pignalberi (---.---.---.255) 1 marzo 2011 22:36

      Ringraziamo Enrico Tagliaferro, che sul suo blog ha anche pubblicato stralci della motivazioni della sentenza, per averci segnalato un’imprecisione: la sentenza d’appello, prima che intercorresse la prescrizione, condannava Travaglio a una multa di 100 euro, non 500 (che era la richiesta dell’accusa in prima grado) come avevamo scritto.

      È falso invece che nessuno abbia detto mai che Previti era presente all’incontro. Lo disse (più di una volta), e Travaglio lo trascrisse nell’articolo, il colonnello Michele Riccio. Quello che Travaglio omise di scrivere (per la necessaria brevità imposta dalla redazione, dice lui, apposta per diffamare Previti, sostengono i giudici) è che, secondo il racconto di Riccio, Previti "era convenuto per altri motivi, legati alla comune attività politica con il Taormina, e non era presente al momento dei discorsi inerenti la posizione giudiziaria di Dell’Utri".

      Confermiamo inoltre che Previti sia stato "appena citato" nell’articolo: il suo cognome compare una sola volta (unico riferimento alla sua persona) nel virgolettato di una frase di Riccio.

      Link all’articolo incriminato

  • Di paolo (---.---.---.67) 3 marzo 2011 16:30

    Caro Enrix , se tanto basta per intentare una causa per diffamazione , adesso capiamo perchè i tribunali sono ingolfati . Non bastava una richiesta di rettifica ? .Mi chiedo quante cause per diffamazione piovono su Libero ed il Giornale , sarebbe un dato interessante da conoscere per cercare di capire meglio la portata del fenomeno .

  • Di (---.---.---.33) 3 marzo 2011 18:30

    Parliamo dunque de "l’incontro".

    La parola "incontro", indica il convegno, il consesso, fra due o più persone. Non la conpresenza di persone in stanze diverse di uno studio. Quello non è un "incontro".

    Tant’è vero che Riccio parla di una riunione ove, A DIR SUO (ovviamente, e ci tengo a sottolinearlo), sarebbe stato presente persino il tenente colonnello Canale, per convincerlo, insieme a Taormina, a risparmiare Dell’Utri dai suoi rendiconti delle confidenze di Ilardo.

    A quell’ INCONTRO, a cui sarebbe stato presente anche Canale, Previti non c’era.

    Previti era nello studio "in quell’occasione come in altre" (la parola occasione è riferita alla temporalità dell’evento, non alla sua fisicità), ma era però convenuto per altri motivi legati alla comune attività politica con il TAORMINA e non era presente al momento dei discorsi inerenti la posizione giudiziaria del DELL’UTRI”.

    Quindi con quell’INCONTRO, avvenuto ovviamente a porte chiuse, Previti non aveva nulla a che vedere, poichè durante lo stesso NON ERA PRESENTE.

    Quindi mi perdoni, caro Pignalberi, ma non si può parlare in messun modo di un "incontro nello studio di Carlo Taormina per depistare le indagini della procura di Palermo su Marcello Dell’Utri cui avrebbe partecipato anche Cesare Previti", perchè questa circostanza non esiste in nessuna forma.
    Previti non può aver partecipato ad un incontro cui non era presente, perchè la realtà non è un romanzo di Jonesco. Speriamo di aver chiarito.


    E veniamo ora alla questione dell’essere stato Previti "appena citato".

    Proprio questo fatto, per il giudice, dimostra la volontà cosciente di diffamare, e quindi la malizia, la furberìa, il dolo.

    Basta leggere:
    "non c’era ... alcun bisogno di MENZIONARE anche l’on. PREVITI, per poi doverosamente precisare – ove il giornalista avesse agito correttamente – che egli non era presente al colloquio.

     Proprio l’averlo inutilmente nominato, e l’aver totalmente omesso la specifica precisazione circa l’assenza fatta dal teste, è prova del dolo da parte del TRAVAGLIO."

    In questo passaggio, si trova anche la risposta a Paolo.

    Non credo sia molto difficile capire Previti, almeno in questo caso. Io affermo che chiunque farebbe lo stesso.

    Un giornale può anche infilarmi in un elenco di spacciatori di droga e ritrovarsi semplicemente una richiesta di rettifica, anzichè una querela.

    Ma ovviamente, a condizione che io abbia la certezza che quella mia comparizione in un tristo elenco sia il frutto di un errore, magari di un’omonimia o della cattiva lettura di una consonante. Ma se, al contrario, avessi la certezza che un giornalista ha BRIGATO, a bella posta e con dolo, per infilarmi in quella lista, col piffero che mi fermo alla rettifica: a chiunque verrebbe naturale correre dall’avvocato.

    E naturalmente Previti, così come a suo tempo anch’io e così come qualunque persona dotata di logica e buona fede farebbe, confrontando i testi ha capito benissimo ciò che era accaduto: mica aveva bisogno di consultare un magistrato.

    Si chiede gentilmente di restituire ciò che è tuo, e con tante grazie, quando ciò che è tuo è stato imprestato o inavvertitamente sotratto: non quando è stato rubato.

    Cerchiamo di essere un po’ onesti, per cortesìa.

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