Scandalo Lazio: Emma Bonino e il sassolino nella scarpa
Quello che accade in questi giorni nel palazzo romano della Regione Lazio è già abbastanza noto (e ributtante) per doverlo ricordare.
Proprio per i più distratti vale la pena solo dire che una valanga di soldi pubblici, ampiamente aumentati sembra nei due anni di giunta Polverini, è finita nelle tasche di singoli consiglieri regionali a semplice presentazione di un "richiedo e ricevo"; la formuletta magica.
Come siano stati usati questi fondi, che dovrebbero servire per attività politica, è cronaca quotidiana. Siamo in pratica alla declinazione su scala politica regionale del magna-magna vissuto in grande stile dalle cricche, dai furbetti, dai ricostruttori post terremoto, in sintesi dal quel sottobosco di arraffoni che si sono spartiti il denaro pubblico. Nel mentre, le scuole non hanno soldi per la carta igienica, la magistratura non ha fondi per le fotocopie, la polizia non può permettersi di fare il pieno alle volanti e così via.
Ma questa è cronaca nota, da cui la sinistra - nelle vesti sostanzialmente del PD regionale - tenta di uscire “pulita” con le dimissioni in blocco dei propri consiglieri, ma scordandosi di dire che della grande disponibilità di denaro messo in circolo era a conoscenza, ma non ha avuto un bel niente da obiettare fino a che non è scoppiata la “bolla”.
Il botto vero però l’ha fatto l’ex candidata del centrosinistra alle elezioni poi vinte dalla Polverini, la superstar radicale Emma Bonino che, finalmente, può togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
In quelle elezioni la Bonino perse in provincia, ma conquistò Roma e ricordiamoci che le elezioni regionali venivano subito dopo lo sgomento suscitato dal torbido affaire Marrazzo, una catastrofe dal punto di vista mediatico anche se il poveraccio, a parte qualche vizietto personale, non aveva certo rubato niente alla comunità. Mission impossible vincere, ma nonostante il successo nella capitale la candidata già allora ebbe parole poco lusinghiere sull’appoggio che il Partito Democratico le aveva dato durante la campagna elettorale. Più drastica fu Concita De Gregorio arrivata ad affermare che il PD quelle elezioni voleva proprio perderle per fumose strategie da apprendisti stregoni.
Oggi le cose sono più chiare: “Alla luce della “grande spartizione inevitabile” si capisce qualcosa di più sulla sorte della mia candidatura alla Regione Lazio” dice su Repubblica, intervistata proprio dalla De Gregorio, ricordando “La distribuzione di pani e pesci fra tutti i gruppi consiliari del Lazio”.
“Quella campagna elettorale fu davvero particolare, per così dire - aggiunge - avevo concentrato la campagna sulla trasparenza. Chiedevo anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati nelle aziende che fanno capo alla Regione. Molti compagni anche del Pd mi dicevano vacci piano con la trasparenza. Spaventi. Non capivo: spavento chi? Dal meccanismo di spartizione unanime ora si capisce meglio che spaventavo tutti: i beneficiati e i beneficiandi”.
Non capiva o, più probabilmente capiva benissimo, già allora, che la sua trasparenza non era granché apprezzata “a tutte le latitudini politiche”.
Tanto che ancora oggi ricorda come “dal Pd romano, molto legato a D’Alema a partire dallo stesso Montino, arrivavano segnali di freddezza di cui conservo tracce. Le dico solo che il comitato elettorale è stato costituito il 2 febbraio, a un mese dal voto”.
Ecco qua i motivi della sconfitta della sinistra in una Regione cruciale per il paese.
La candidata radicale, autocandidatasi e quindi già mal sopportata in partenza dagli strateghi del partito che preferivano menare il can per l'aia, era chiaramente ostacolata dall’anima cattolica dei democratici, Bindi in testa, quella pappa e ciccia con il Sua Eminenza di turno.
L’anima cattolica dei “valori irrinunciabili” della vita e della morale (e poi magari ricordiamoci dell’appoggio aperto, plateale dato dalle gerarchie vaticane e dai sodali pro-life allo sgangherato puttaniere sbertucciato in tutto il mondo).
Ma adesso viene fuori chiaramente che Emma Bonino era ostacolata sottobanco anche dall’ala laica, quella che non vuole “spaventare” nessuno con eccessi di trasparenza.
Poi ci si stupisce e ci si preoccupa per la marea montante dell’antipolitica urlata, schiamazzante e becera, la rivolta del “sono tutti uguali”.
Per fortuna c’è ancora chi due parole sensate le dice: “No, tutti uguali no. Qualcuno ha fatto esplodere lo scandalo, o no? Sono anni che i radicali denunciano. Ma nessuno ascolta, l’assuefazione è ormai endemica”.
I radicali denunciano da anni, ma qualcuno - a sinistra - si ricorda di loro solo per sputare in faccia a Pannella, per accusarli di inesistenti inciuci con Berlusconi (scordandosi che i voltagabbana sono sempre venuti dai banchi della sinistra o dell'IDV) o per esporli alla gogna per il semplice fatto di non essere soldatini agli ordini di qualche furbo generale del partito, come fece la Bindi meno di un anno fa. Curiosamente i più trasparenti fra tutti sono sempre stati accusati di sordide trame occulte, mentre vanno volentieri nel dimenticatoio le continue battaglie di civiltà che hanno reso questo paese un po' più vivibile.
La sinistra deve prima di tutto sturarsi le orecchie. Poi aprire gli occhi. Poi capire che le strategie da retrobottega, i giochini sui numeri, le furbizie da politicanti non portano da nessuna parte se non a diventare sempre più simili ad una destra ignobile e impresentabile.
Sono necessarie due parole: la prima è trasparenza da sostituire all’opacità della politica da sottobanco. La seconda è intelligenza da sostituire a quell’infausta idea di furbizia che il più delle volte si rivela essere solo una grandissima coglioneria. Prego, prendere nota e, prego, voltare pagina.
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