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Lettera a mia figlia

Nascere

Come in una clessidradal primapassi una strozzaturae (ri)cominci.

Nascere
Come in una clessidra
dal prima
passi una strozzatura
e (ri)cominci.

 

 
Cara Silvia,

queste righe nascono prima del tutto. Prima che il vento della vita inizi a soffiare troppo forte per poterlo governare, prima di incomprensioni, contrasti. Prima di tutte le cose che inevitabilmente riterrai di doverci e poterci rinfacciare. Nascono anche prima di te, a pochi giorni da quello che i medici hanno stimato essere il momento ideale per il tuo arrivo in questo mondo. Nascono prima di poterti vedere, prima che tu assuma un aspetto reale, tangibile, quando sei ancora solo un’idea o poco più, nel ventre di tua madre.

Nascono ora e verranno da te lette tra molto tempo, forse mai.

Questa vuole essere una lettera di scuse anticipate per tutti gli errori che inevitabilmente faremo, per tutti i divieti che ti imporremo, le regole, i limiti. Per la strada su cui cercheremo di metterti e poi di spingerti per andare avanti, per spronarti lungo la via più difficile. Per aspera ad astra, ti ripeterò e tu penserai a cosa posso farmene io di quell’aspera, di come il concetto di astra diverga nelle nostre vite, di come sono incredibilmente ed inevitabilmente vecchio.

E vecchio mi sento, pur con pochi decenni alle spalle, quanti bastano per poter procreare con cognizione di causa e poter mantenere i figli che metto al mondo, ma sempre pochi per tutte le esperienze che mi mancano e non so se in questa breve vita avrò tempo e modo di fare. Se le mie voglie avessero le ali, quante ore passate a volare in giro per il mondo, vedere gente e luoghi, imparare ed accumulare sapere. Invece mi trovo con piedi pesanti, inchiodato a terra ad aggirarmi per una piccola frazione di mondo, cercando di fare del mio meglio con il poco che ho, raccogliendo ciò che posso nella speranza di lasciare tutto a te ed alle tue sorelle.

Non avrai case, beni di sorta, soldi. Tra venti o trent’anni, andrai via da questa casa definitivamente con in mano una valigia e nient’altro. Ma spero che in quella valigia ci siano tanti sogni, tante esperienze e tanta voglia di consumare scarpe. Spero che dentro alla valigia ci sia una spinta, un’inerzia acquisita in questi tuoi primi anni passati con noi che ti permetta di fare tutta la strada che il tuo cuore riuscirà ad immaginare e poi magari ancora oltre, passando quella spinta ai tuoi figli e poi ancora.

Mi scuso per tutto quello che non avrai, per tutto quello che non vorrò comprarti, per tutte le cose tue che senza entusiasmo guarderò. Per i vestiti che non mi piaceranno, per quelli che ti vieterò di mettere, per non permetterti di sentirti abbastanza ragazza, abbastanza donna, quando a sedici anni ti imporro i jeans per andare a scuola quando tutte le tue amiche saranno in gonna. Cercherò di spiegarti che a scuola si va per imparare, per nutrire il cervello, non per sembrare delle fotomodelle alla sfilata. Nasceranno discussioni, su discussioni, su discussioni, come nella mia casa di origine prima che in questa. E tutto verrà messo a tacere dalla mia mano alzata, come un vigile, fermerò il flusso di parole. Pietra tombale su ogni discussione e su ogni velleità di dialogo. In perfetto stile dittatoriale, con la gastrite, mia, di chi sa che deve imporre una decisione impopolare, e tua, di chi sa che una legge, per quanto ingiusta va rispettata, contrastata discussa emendata, magari insultata, ma comunque rispettata.

Mi scuso se non vedrai la mia ala protettrice e cercherò di toglierti quella di tua madre, se a volte ti sentirai come un sasso in una fionda, con l’elastico teso, chiedendoti quando le dita della mia mano lasceranno la presa. Mi scuso se non sempre sentirai il materasso a parare le cadute: ci sono pesi che ognuno deve portare, per quanto ingrati e gravosi, appartengono a noi e non possiamo lasciarli ad altri se non per il tempo di un’effimera illusione che svanendo rischia di farci schiantare. Ci saranno situazioni che non potrò affrontare io al tuo posto, ci saranno cose che sarai tu a dover dire e fare e sudare per farlo, con la lingua che ti si impasta in bocca e le gambe che si sciolgono come burro. Ci saranno momenti in cui io dovrò serrare i pugni per impormi di non aiutarti, ma che tu non vedrai, chiedendoti dove sono, chiedendomi perché non sono lì. Ma io lì sono e lì sarò sempre stato, un passo indietro, pronto a prenderti, ma senza farmi vedere. Rete per funamboli, questo siamo io e tua madre. Ti abbiamo dato occhi per vedere il mondo e gambe per esplorarlo, ma non possiamo farlo noi al tuo posto. Ti abbiamo dato i mezzi, tu devi metterci la volontà.

Infine, mi scuso per averti schiaffato in questo mondo. L’ho ricevuta in sorte, questa piccola fetta, e non ho avuto la forza di cambiarla, né di andarmene. Continuo ad aggirarmi inquieto per strade che conosco come le mie tasche, che non mi piacciono e che continuano a peggiorare. Con tenui barlumi di luce, piccole vette di eccellenza, in un mare magnum di piscio e cemento, se mi passi la citazione. Tu, che nascerai in pianura Padana e avrai una aspettativa di vita di tre anni inferiore al resto d’Italia. Già condannata prima di avere qualunque colpa, svilupperai un tumore che lentamente si mangerà qualcosa di te, e poi tutto. Cancro che nasce dentro, come noi siamo il cancro che ha avvelenato e che sta uccidendo la terra in cui viviamo e che ci nutre, ignorando che alla sua morte anche noi soccomberemo. Chissà, forse tu sarai tra quelli che colonizzeranno la Luna e poi Marte, nuovi mondi su cui ricominciare. Vi porterete dietro il sistema terrestre o ve ne inventerete uno nuovo? Dai milioni di anni di evoluzione imparerete qualcosa o ripartirà tutto come se nulla fosse successo? Vorrei che dalla conquista di un nuovo mondo, nascesse un mondo nuovo, ma ho paura che sarà solo un mondo vecchio trapiantato in un altro pianeta.

Anche di questo mi scuso: non so vedere oltre la tua generazione, non so vedere oltre la mia famiglia. Poche persone e pochi interessi, questo sono. Non ho la forza di andarmene, lasciare tutto, cercarmi un pezzo d’Africa dove vivere con poco e morire con niente. Ma non ho nemmeno la forza di smettere di sognare, di credere che possa cambiare, di pensare che anche il mio paese, l’Italia, possa un giorno essere un posto dove le perle di eccellenza siano la regola e non l’eccezione. Sogni, un mare di sogni che indeboliscono e annacquano il colore acceso della realtà e la fanno sembrare diversa. Ecco, mi scuso anche per questa mia debolezza.

Cara Silvia, nascerai, me e tua madre ci crederai le persone migliori del mondo e le peggiori, come miliardi di genitori prima di noi. Mia unica vittoria sarà se, nonostante il disprezzo ed il rancore, capirai che in ogni caso abbiamo fatto tutto il possibile era nei nostri mezzi per te.

 

Tuo padre

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