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Il mio non non-voto

 
“Ma sì, quello con l’orsetto”

“Va bene, ho capito che aveva un orsetto come simbolo, ma chi hai votato?”

Cercavo di capire in quale lista regionale fosse finito il simpatico plantigrado, preso dalla sua spensieratezza bucolica e sbattuto in mezzo alla corrida elettorale suo malgrado.

“Non so, mi era simpatico e ci ho messo una croce sopra”.

“Ho capito che ti era simpatico, ho capito che era allegro e accattivante, ma si può sapere in quale lista era? Quale candidato sosteneva?”

“Che ne so, non mi interessa, mi piaceva e ci ho messo una croce sopra. Punto.”

“Aveva un programma?”

“Non mi interessa...” e così si conclude la discussione.

Inizio a deglutire a vuoto e sento la pancia contrarsi, chiaro segno che il mio stomaco ha ricevuto qualcosa che non riesce a digerire e non ha ancora deciso se sforzarsi un poco o rigettare tutto al mittente. Mi volto alla mia destra, dove sta finendo di bere il suo té un altro mio amico.

“Tu cos’hai votato?” chiedo con poco tatto, il voto è sempre segreto, ma ho bisogno di un po’ di terreno sotto i piedi.

“Per i verdi”.

Meglio che niente, penso, e chiedo: “Quali?”

“Per i verdi” mi ripete come se la risposta fosse già concludente di per sé.

“Ho capito i verdi, ma quale dei tremila che c’erano nelle liste?”

“Perché? Non ce n’era solo uno?”

“No, non ce ne era solo uno. Sai almeno in quale lista era quello che hai votato?”

“Non ci ho fatto caso”.

La mia mascella cade e dopo qualche secondo di incertezza, risale solo per mordere la lingua che stava per partire con uno sproloquio sul senso civico e l’importanza del voto, della sua ponderatezza, sul vivere civile e democratico. Un discorso degno di un brigatista degli anni settanta, se non fosse che non sono così vecchio, né brigatista. Me ne sto zitto e me ne torno a lavorare. La delusione per i risultati elettorali già mi brucia abbastanza, senza dover anche attaccar briga con gli amici, con cui condivido molto, ma a quanto pare non il pensiero del vivere comune.

A casa sprofondo nella poltrona con il giornale in mano, leggo i commenti del giorno dopo che mi spiegano perché il mio voto è stato sbagliato. Mi spiegano perché ho solo disperso energie, perché non è stato un voto utile. Tanto valeva che me ne stessi a casa come ha fatto un terzo degli italiani. Non ho mai saltato un’elezione, è una delle poche cose della politica in cui credo anche se ultimamente ho cominciato a ricredermi anche su questo.

Qualche giorno dopo vado da un collega il quale, giornale in mano, anziché salutarmi esordisce con: “Grillini di merda, ci hanno fatto perdere le elezioni!”

Io sto zitto e mi chiedo perché uno scarto di circa novantamila voti sia da imputare ad una lista civica che ha fatto il suo lavoro e non al partito che non ha fatto il suo. O al limite perché non a quel milione e trecentomila che non si è nemmeno fatto vedere alle urne.

Io credo che quando si va a votare si debba pensare un po’ di più a quel che si sta facendo, a chi si sta dando fiducia, ai programmi, alle cose fatte (inopinabili) ed al modo di affrontare le situazioni. Perché, ad esempio, se è vero che le promesse elettorali sono promesse che andrebbero mantenute, è anche vero che a volte insorgono problemi inaspettati e imprevedibili per cui si è costretti a correggere il tiro. Se un politico promette meno tasse per tutti, ma poi una crisi finanziaria mondiale fa crollare la produzione nazionale e chi governa si trova di fronte alla scelta: abbasso le tasse e ottengo il 50% di disoccupazione, oppure mantengo le tasse come sono e cerco di contenere il più possibile lo status quo fino a tempi migliori, tutti sono disposti a tirare la cinghia per il bene comune. Ma quando l’interesse maggiore, se non l’unico, è solo il proprio; se uno non dice niente su l’ineleggibilità dell’altro e viceversa; se si parano le spalle a vicenda. Se veramente, l’unica differenza è nella L, che uno ha e l’altro no, penso che ogni cittadino abbia il dovere di cercare di arginare questa deriva culturale con i mezzi di cui dispone, che non sono molti e nella maggioranza dei casi sono limitati proprio al solo diritto del voto.

Al momento sono contento di avere votato per il Movimento a 5 stelle. È stata una decisione dell’ultima settimana perché prima non lo conoscevo. È stata una fortuita coincidenza che incontrassi Grillo di persona sulla mia strada, il quale ha ripetuto delle cose che già io avevo pensato. E quando ho scoperto che quello che mi frullava per la testa aveva una personificazione ed una concretizzazione in una lista civica, il passo è stato breve. Ho constatato di persona che i candidati prima, e gli eletti (pochi) dopo, sono disponibili al dialogo: mi hanno risposto ad un paio di mail nel giro di mezza giornata. La mia speranza, adesso, è che continuino così. Del resto, la mia alternativa, era di andare a votare con il naso ben chiuso e sperando che non facesse troppo male dopo.

Abbiamo perso? Siamo riusciti a mettere solo due candidati nel consiglio regionale? Non abbiamo un presidente? Pazienza, la mia vittoria è quella di avere qualcuno che mi dà l’idea di rappresentarmi e qualcuno a cui scrivere una mail per suggerimenti o chiarimenti, per sentirmi rispondere non con comunicati stampa, ma con due righe dalla loro casella di posta personale. Quello che destra e sinistra perseverano a non capire è che il M5S non è richiudibile in uno schieramento perché porta avanti idee e non ideologie. I voti che raccoglie non sono voti di protesta, ma voti di contenuto. Come dice Grillo: non è di destra né di sinistra, è avanti. Questo è un punto fondamentale che, come si vede bene nell’intervista di Bono a ottoemezzo, né politici, né giornalisti hanno capito. Nel momento in cui il movimento farà delle alleanze per vincere le elezioni, perderà la spinta delle idee per amalgamarsi all’informe cosa che gioca a governarci ora. E perderà i voti di tutti colo che hanno messo la croce sul loro simbolo, magari acquisteranno più consensi, magari andranno in parlamento, magari diventeranno potenti, ma perderanno la gente e le persone, come adesso i partiti, per avere “l’appoggio” dei berluscones del PD o del PDmenoL.

Qui sta la mia vittoria, ripagata dall’enorme perdita di tempo che comporta l’andare in giro su internet a cercare le notizie, i dati, le opinioni; la fatica di leggere i giornali stranieri per avere una prospettiva diversa. Ma io sono fortunato: ho tempo, so l’inglese (poco, ma tanto basta) e il mio metabolismo alle sei del mattino è già attivo, per tutti gli altri sfortunati di questo paese non rimane che la televisione ed il nulla che si porta appresso, foss’anche un ridente orsetto che non sa chi rappresenta e, soprattutto, non riderebbe se sapesse chi c’è alle sue spalle.

Grazie, infine, agli altri 58 miei concittadini che mi hanno dato modo di sperare ancora un poco.

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