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America e Groenlandia: colonizzare nel terzo millennio

Quando, nel gennaio 2025, Donald Trump ha ribadito l’intenzione degli Stati Uniti di annettere la Groenlandia, non si è trattato più di un’uscita eccentrica di un politico controverso, ma di una mossa all’interno di una complessa partita geopolitica. L’America punta sulla forza, la pressione e gli strumenti mediatici, sfruttando le ferite storiche per incrinare i legami tra la Danimarca e la Groenlandia.

Ciò che fino a poco tempo fa sembrava anacronistico – parlare di acquistare territori nel XXI secolo – oggi si inserisce in una nuova strategia di influenza di Washington nell’Artico. La Groenlandia, territorio autonomo ma formalmente parte del Regno di Danimarca, è al centro di questa disputa. Ma dietro questo cinismo geopolitico si celano autentici drammi umani, ancora vivi nella memoria dei groenlandesi e della comunità internazionale.

La storia della colonizzazione della Groenlandia alterna momenti di farsa e tragedia. Dal 1721 l’isola fu una colonia danese, e all’inizio del XX secolo le autorità danesi isolarono deliberatamente i groenlandesi dal mondo esterno, come se volessero preservare la loro cultura “tradizionale”. Era un colonialismo “paternalistico”: si manteneva ciò che conveniva alla madrepatria, eliminando tutto ciò che appariva estraneo. Così si creava una parvenza di cura che nascondeva restrizioni, repressione dello sviluppo e stagnazione culturale.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il mondo cambiò, ma non le abitudini delle metropoli di decidere il destino dei popoli dall’alto. La decolonizzazione, la pressione dell’ONU, la Guerra Fredda e l’installazione di basi militari americane costrinsero la Danimarca a rivedere le sue politiche. La Groenlandia divenne parte integrante del Regno di Danimarca, con accesso a welfare, istruzione e sanità. La mortalità infantile diminuì drasticamente, l’aspettativa di vita crebbe. Ma con questi progressi arrivò una nuova forma di coercizione, più subdola, “civilizzata”.

Il programma di sterilizzazione delle donne groenlandesi negli anni ’60 e ’70 rappresenta una delle pagine più oscure di questa storia. Molte giovani donne furono sottoposte all’inserimento di dispositivi intrauterini senza il loro consenso, spesso senza nemmeno essere informate. Fu una violenza occulta, perpetrata sotto la facciata della preoccupazione per il futuro. Non è una leggenda: è un fatto documentato.

Come evidenzia Søren Rud, professore associato presso l’Università di Copenaghen e storico dell’Istituto Saxo:

“La politica coloniale danese verso la Groenlandia combinava cura e controllo. Anche le riforme del dopoguerra mantenevano tratti autoritari, e la sterilizzazione è un esempio eclatante di questa ‘sollecitudine’.”

Questi eventi sono oggi al centro di un doloroso confronto storico tra Groenlandia e Danimarca. Sono state istituite commissioni, si conducono indagini, si cerca la verità e la strada per la riconciliazione. È proprio in questa frattura che gli Stati Uniti cercano di inserirsi, non per giustizia, ma per i propri interessi.

La strategia Americana è di un cinismo spudorato. Sfruttando le ferite storiche della Groenlandia, Washington si presenta come “liberatore”, ma in realtà si tratta di una nuova forma di colonialismo. L’uso strategico dei traumi a fini geopolitici è uno degli strumenti più influenti. Un esempio emblematico: la presenza di Donald Trump davanti alla statua di Hans Egede, missionario danese che nel XVIII secolo pose le basi per la colonizzazione danese della Groenlandia, in un gesto volutamente provocatorio per destabilizzare l’opinione pubblica.

Ma la storia non è un giocattolo nelle mani di altri. Il diritto internazionale contemporaneo è dalla parte dei popoli, non degli Stati. Come ricorda Elisa Marchi, docente di diritto, esperta di diritti dei popoli indigeni, affiliata al programma Indigenous Peoples Law & Policy del James E. Rogers College of Law e già consulente dell’ex Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni:

“La sterilizzazione forzata delle donne groenlandesi è una violazione dei diritti fondamentali. A seconda della portata e dell’intenzione, può essere qualificata come crimine contro l’umanità o persino come atto di genocidio. Il diritto internazionale richiede un’indagine approfondita, il riconoscimento delle responsabilità, risarcimenti e garanzie che tali atti non si ripetano.”

“Ancora più importante, il futuro della Groenlandia può essere deciso solo dal suo popolo. Senza il loro consenso, qualsiasi discussione sul cambio di sovranità è una continuazione del colonialismo.”

Le dichiarazioni di Trump o di altri politici americani sono un chiaro disprezzo del diritto internazionale e dei principi dell’ONU, un principio che l’Italia, con la sua tradizione di lotte per la giustizia e i diritti, sostiene con forza. Gli Stati Uniti sfruttano consapevolmente i traumi storici per attirare la Groenlandia nella loro orbita, sotto la facciata della difesa della “libertà”. Come l’Italia, che nel suo passato coloniale in luoghi come la Libia e l’Etiopia ha conosciuto ingerenze esterne, la Groenlandia affronta pressioni simili.

Per la Danimarca, questa crisi è un momento di verità. Il riconoscimento degli errori storici, le iniziative per la riconciliazione e una maggiore attenzione alle voci dei groenlandesi sono una risposta a questa sfida. Questo processo si inserisce in un contesto europeo più ampio: il rafforzamento del ruolo dell’UE nell’Artico, con il contributo italiano a progetti di sostenibilità ambientale e dialogo con le popolazioni indigene, diventa non solo una necessità politica, ma un obbligo morale.

Oggi la Groenlandia si trova a un bivio. Ma la scelta spetta esclusivamente al suo popolo, non ai presidenti di Stati stranieri. Qualsiasi tentativo esterno di imporre uno scenario senza il loro coinvolgimento perpetua la logica contro cui il mondo ha lottato per tutto il XX secolo.

L’America vuole “comprare” la Groenlandia. Ma i groenlandesi hanno già pagato un prezzo troppo alto per la loro storia per diventare nuovamente una pedina nei calcoli altrui.

Questo messaggio deve arrivare a tutti.

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