Cosa che indubbiamente c'è stata, così come c'erano state a suo tempo le promesse occidentali a Gorbaciov che ciò non sarebbe avvenuto. Quindi questa lettura non è radicalmente sbagliata, non è propaganda di notizie completamente inventate. Non sono "fake news". E alcuni analisti, anche americani, mettevano in guardia da questa prassi politica, già in tempi non sospetti.
Ed è credibile e comprensibile che questo non sia affatto piaciuto, nonostante sia la libera scelta di uno stato sovrano, alla dirigenza russa. Così come non piacque a Kennedy che i missili russi fossero installati a Cuba, uno stato sovrano anch'esso.
Con la differenza che là i missili c'erano davvero. Qui, in Ucraina, invece no. Non ce ne sono. Si invade, si bombarda e si uccide sulla base dell'idea che forse un domani, chissà... potrebbero esserci.
Anche se parlare di "accerchiamento" della Russia, come spesso si legge, cioè di un paese enorme, che si sviluppa su due continenti, dal mar Batico al Pacifico, con migliaia di chilometri di confini con molti paesi dalla Finlandia fino alla Cina, è palesemente un termine propagandistico che ha ben poco a che vedere con la realtà, geografica e geopolitica, della Russia contemporanea.
Basterebbe citare il rapporto, oggi piuttosto amichevole (o quantomeno non ostile), con la Cina per liquidare come inappropriato il termine "accerchiamento".
Che però ha una valenza ideologica perché è il termine (insieme con "talassocrazia" - il dominio dei mari da parte delle potenze occidentali) usato da Alexandr Dugin, il "filosofo di Putin", per lamentare l'assedio cui la Russia sarebbe sottoposta fin dall'Ottocento e per contrapporgli un progetto "terrestre": l'Eurasia, un progetto geopolitico, imperniato sulla centralità di Mosca, che dovrebbe coprire un'area da "Lisbona a Vladivostock".
Per chiarire: fu una "corrente di pensiero diffusa fra gli intellettuali russi emigrati dopo la sconfitta delle armate bianche (1921). Sostenitori dell’inconciliabilità di Russia ed Europa, preconizzavano la crisi dell’Europa e l’egemonia culturale dell’Asia" (cfr. Enciclopedia Treccani https://www.treccani.it/enciclopedi...). Parliamo quindi di un progetto nato in contrapposizione alla vittoria bolscevica, che oggi, coerentemente, è un progetto politico sostenuto da ambienti dell'estrema destra, anche europea. In Italia la rivista "Eurasia" è stata fondata e diretta da Claudio Mutti, un noto estremista della destra extraparlamentare degli anni '70, fra i primi aderenti alle tendenze rossobrune (il movimento nazimaoista Lotta di popolo) di quegli anni.
Poi c'è la memoria che si ricorda anche della promessa fatta dai russi all'Ucraina, al momento della loro "restituzione" delle testate atomiche dislocate in Ucraina, quando l'URSS si dissolse, di rispettare i confini dello stato indipendente. Promessa che, lo vediamo in questi giorni, non è stata mantenuta.
I bugiardi sono numerosi in politica, questa è cosa nota. Tantopiù in politica estera. Ricordarsi di qualcuno, ma non di tutti, non fa un buon servizio alla comprensione della realtà. Che, come sempre, presenta sfaccettature diverse e molti diversi elementi da approfondire.
Come, ad esempio, la sequenza di giornalisti russi, critici verso il loro governo, ammazzati (cfr. su wikipedia un elenco impressionante alla voce "Giornalisti uccisi in Russia") o in galera. O dei dissidenti politici, ammazzati o in galera. Chi si ricorda più di Anna Politkovskaja o di Alexandr Litvinenko?
Anche in Occidente "succedono" a volta queste cose. Ma, ammettiamolo, in Russia sembra essere uno sport nazionale più che qualche caso di cronaca.
Infine c'è la prassi - condivisa da certe iniziative occidentali che conosciamo bene - di mandare carri armati a invadere i paesi che non piacciono. Come fece l'URSS con i paesi "fratelli" che sgarravano. In epoca sovietica, certo. Ma proseguita da Putin. Non ci si ricorda più della fine che ha fatto la Cecenia? Anche lì, come sempre, fra molte ambiguità, dall'una e dall'altra parte. Ma con lo stesso finale di Budapest o Praga di decenni prima. L'occupazione e il "ristabilimento" dell'ordine. Ma qui l'adesione della Cecenia alla Nato non era stata nemmeno ventilata.
Quando Alexandr Dugin, il "filosofo di Putin", dichiarava nel 1997 che «uno stato ucraino non ha alcun significato geopolitico. Non ha alcuna rilevanza culturale, specificità etnica o peculiarità geografica», viene spontaneo chiedersi se questa negazione dell'identità nazionale ucraina, solo sei anni dopo la dichiarazione d'indipendenza, non sia la vera ragione - simile a quella cecena e prima ancora a quello che accadde a Budapest nel 1956 o a Praga nel 1968 - di quello che accade oggi a Kiev.
Sarebbe stata sufficiente una "finlandizzazione" dell'Ucraina per impedire l'invasione? Non lo sappiamo e, purtroppo, non lo sapremo mai. Ma con le premesse che abbiamo visto c'è da dubitarne. E, in ogni caso, si può invadere una nazione libera, massacrando e distruggendo, solo sulla base del sospetto sulle sue intenzioni politiche future?
La lettura, tutta antioccidentalista, che si legge talvolta, in ambienti di sinistra prevalentemente,che attribuisce ogni responsabilità all'allargamento della Nato a est, sembra rispondere a una logica da guerra fredda, come se la Russia di oggi fosse ancora l'URSS di trent'anni fa o più. Questo è uno strabismo incomprensibile, nonostante certe somiglianze di superficie.
La Russia di oggi non ha ereditato solo la prassi totalitaria e aggressiva della Russia sovietica. Ma ha elaborato anche un progetto di "superamento" di quell'esperienza (disastrosa per tanti motivi, economici, politici, sociali e umani, come ben sappiamo).
Un superamento che non si è caratterizzato per un movimento evolutivo verso una maggior democrazia, una maggiore libertà e un'uguaglianza più vera da quanto proposto nell'occidente liberale (o, tantopiù, nella realtà sovietica).
Al contrario, la Russia di oggi ha proposto un superamento "per annullamento" dell'esperienza sovietica da cui proviene, che l'ha condotta a riproporre la realtà precedente la rivoluzione del 1917. Non solo nei simboli - la bandiera, lo stemma con l'aquila zarista, l'unione di amorosi sensi con la Chiesa ortodossa - ma anche nella pratica. Nel 2016 Putin affidò la gestione dell'economia russa al cosiddetto "club "Stolypin", chiamato così in onore del primo ministro di epoca zarista Pëtr Arkad'evič Stolypin, cosa che definisce l'architettura politico-ideologica del putinismo meglio di ogni altra cosa.
L'opposizione del mondo occidentale - e dei paesi dell'ex area comunista che si sono resi indipendenti a partire dal 1991 - al regime neozarista non è interpretabile con le stesse chiavi interpretative dello scontro fra il mondo "libero" (liberale e liberista) e quello animato dall'idea socialista, per quanto manipolata e distrutta dal sovietismo. È altra cosa. E forse molto più pericolosa perché se il comunismo sovietico era la manifestazione di una malattia che aveva ucciso l'anima di un movimento socialista egualitario e utopistico profondamente umano, il nuovo progetto della russia putiniana è il delirio - in senso proprio della psicopatologia - di riproporre il fantasma di ciò che la storia ha seppellito ormai da tempo.
Un delirio che è definibile più esattamente come reazione antidemocratica e antisocialista nello stesso tempo. Una reazione teologico-filosofica che rifiuta lucidamente, riproponendo un passato antiilluminista, ogni velleità di evoluzione umana e politica.
Alla conferenza stampa https://ugotramballi.blog.ilsole24o... del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, «la corrispondente dell’agenzia russa Interfax ha chiesto se l’Alleanza avrebbe formato una nuova coalizione “per fermare Hitler”. “Putin”, si è subito corretta».
Mai lapsus fu più chiarificatore.