L’era dei risparmi minacciati di sequestro

Il tema della canalizzazione forzosa e autarchica del risparmio previdenziale non è esclusiva italiana ma coinvolge anche il Regno Unito, con minaccia di obbligare i fondi pensione a investire in private markets.
Se qualcuno tra voi pensa che il tema della leggendaria “canalizzazione” dei risparmi, previdenziali e non solo, verso la non meno mitologica “economia reale” sia una peculiarità italiana, se la faccia passare alla svelta. Abbiamo da tempo contagiato i britannici, a prescindere dal colore politico dei loro governi pro tempore.
Già durante la scorsa legislatura, i Conservatori avevano espresso l’orientamento a “chiedere” ai fondi pensione di investire maggiormente sull’economia nazionale, e a farlo attraverso fondi alternativi illiquidi quali private equity e fondi infrastrutturali. Nell’attuale parlamento, il pallino è passato ai Laburisti di Keir Starmer, che con la Cancelliera dello Scacchiere Rachel Reeves potrebbero fare un salto di qualità (si fa per dire), passando dalla moral suasion all’obbligo per i fondi pensione di investire nei cosiddetti private markets.
Accordo volontario ma non troppo
Un gruppo di fondi ha firmato ieri la seconda versione del cosiddetto “Accordo di Mansion House“, che sviluppa analoga iniziativa del 2023 promossa dall’allora Cancelliere del governo Sunak, Jeremy Hunt. I diciassette fondi pensione firmatari hanno promesso di investire almeno il 10 per cento dei loro attivi nei private markets entro il 2030, di cui metà nel Regno Unito. L’accordo promosso da Hunt prevedeva il 5 per cento entro fine decennio ed era stato sottoscritto da undici fondi pensione. Il patto riguarda fondi pensione a contribuzione definita e non quelli a beneficio definito, cioè che pagano una somma predeterminata, sganciata dal ritorno sugli investimenti, al pensionamento.
Il punto è che dal Tesoro è iniziata a girare voce che, in caso di insufficiente sviluppo volontario di tali investimenti, il governo potrebbe imporne l’obbligo. La stessa Reeves ha detto “mai dire mai” rispetto all’eventualità, pur dicendosi fiduciosa che “non ce ne sarà bisogno”. Va da sé che sarebbe un’idea pessima sotto ogni aspetto, e non è difficile intuire i motivi. Intanto, a monte di tutto, c’è questa sorta di assioma secondo cui gli investimenti alternativi illiquidi (cioè non quotati) sarebbero il lievito magico per i rendimenti dei fondi pensione. Le cose non stanno così: o meglio, bisogna preliminarmente valutare la composizione del fondo pensione.
Se si tratta di fondo a prevalente contenuto obbligazionario, è verosimile che aumentare la quota di azionario potrebbe aiutare ad innalzare i rendimenti per gli iscritti. Ma se il fondo ha già azioni quotate, non è scolpito nelle sacre scritture che aumentare l’investimento azionario in private equity consentirebbe di aumentare i rendimenti. Un tempo si diceva che i private markets beneficiassero del premio per l’illiquidità e di conseguenza rendessero più delle tradizionali azioni. Ma le evidenze che si sono accumulate nel tempo non confermano in modo univoco la persistenza di tale premio. Anzi.
Tanti soldi a caccia di pochi “affari”
Quindi, ribadiamo: se bisogna “speziare” un fondo pensione a contribuzione definita, ciò si può ottenere anche con l’azionario quotato, meglio se internazionale, per diversificare. Già, ma così non si “canalizzano” i risparmi previdenziali dei britannici nelle infrastrutture di cui tanto il paese abbisogna (dove l’ho già sentita, questa?). Certo, ma se ci fosse obbligo di investire ben 50 miliardi in 5 anni su infrastrutture domestiche, e se il governo non operasse per aumentare le opportunità di farlo (ad esempio con la programmazione territoriale), il rischio sarebbe quello di strapagare progetti esistenti, magari tirati fuori da cassetti svuotati in fretta e furia, un po’ in modalità PNRR (altra evocazione).
Quindi, se infrastrutture domestiche con flussi di reddito garantito dal pricing fissato dal regolatore (pedaggi ecc.) venissero strapagate, il loro rendimento scenderebbe e causerebbe danni alle future pensioni. Costringendo il governo pro tempore magari ad alzare i pedaggi per proteggere la redditività, danneggiando il sistema paese. Lo vedete, che tutto si tiene?
E si tiene a tal punto che dobbiamo considerare anche un altro rischio, che in questo periodo è salito di prepotenza alle cronache finanziarie, anche se alcuni giornali insistono a fare articoli in cui spiegano quanto è eccitante il private equity anche per i risparmiatori retail: e cioè il venir meno delle opportunità di exit, cioè di monetizzazione dell’investimento, a causa di peggiorate condizioni di mercato e di tassi d’interesse più elevati che hanno affondato molti calcoli di convenienza di questi investimenti.
Ecco quindi la nascita dei continuation funds, qualcosa di sinistramente simile ad uno schema Ponzi. Di certo, se nascesse l’obbligo per i fondi pensione di investire in private markets, verrebbe creato con un tratto di penna un enorme bacino di exit per i fondi oggi incastrati nei loro investimenti illiquidi. Sfortunatamente, ho seri dubbi che investimenti di questo tipo produrrebbero rendimenti “speziati” per i futuri pensionati. Temo anzi l’esatto contrario.
Ora, Rachel Reeves, che ha i suoi bei guai, anche fatti in casa come una legge di bilancio stagflazionistica che alza i contributi a carico dei datori di lavoro, è alla disperata ricerca di “qualcosa” che possa spingere l’attività economica del paese e creare le condizioni per un innalzamento anche della produttività. Oltre che produrre maggiori rendimenti per la previdenza complementare con cui porre le basi di un progressivo alleggerimento del primo pilastro, quello pubblico.
I molti volti della repressione finanziaria
Riguardo al quale, penso ci arriveranno eliminando o ridimensionando l’assai generoso Triple Lock, il sistema che ogni anno indicizza le pensioni al maggiore tra l’incremento delle retribuzioni, dell’inflazione e il 2,5 per cento. Di certo, è più semplice ridurre la portata di questo rubinetto di spesa pubblica che mettersi in testa che l’investimento in illiquidi, sic et simpliciter, faccia lievitare i montanti previdenziali.
Ma, se arriviamo a minacciare l’obbligo di investimento in date tipologie di strumenti (magari domani in titoli di stato, chi può dirlo?), stiamo compiendo una plateale repressione finanziaria e coartando i doveri fiduciari dei fondi pensione, tra cui quello di fare l’interesse esclusivo dei propri iscritti. E lasciamo perdere che non sempre tale dovere è rispettato, magari perché il sistema pullula di intermediari predatori che vogliono addentare la torta, spesso catturando la maggior parte delle agevolazioni fiscali destinate ai sottoscrittori (qualcuno ha detto PIR?).
Cresce quindi il rischio di repressione finanziaria, a tutti i livelli, al crescere del confronto tra sistemi economici e dell’estendersi del “sovranismo” finanziario, che è una vera iattura, per tutti. Quando leggete appelli a “canalizzare” i risparmi verso “l’economia reale” del paese, o di politici che dicono che loro interesse “è che i risparmi degli italiani restino in Italia” purché nella banca italiana “giusta”, identificata dal governo, ché altre banche nazionali sono cavalli di Troia dello Straniero e devono essere messe in riga col Golden Power “per motivi di sicurezza nazionale”, state assistendo esattamente a queste forme di corralito dei vostri risparmi. E quindi, parlando di doveri fiduciari verso i sottoscrittori, riuscirete anche a leggere, tra le “prescrizioni di sicurezza nazionale”, l’obbligo a mantenere invariato lo stock di titoli di stato italiani nei fondi della società di gestione del gruppo bancario. Se non è sequestro di risparmi questo, come diavolo definirlo?
E queste tecniche si stanno rapidamente estendendo oltre confine. Per i paesi Ue, ciò rappresenterà un forte elemento di ostacolo e resistenza allo sviluppo dell’Unione dei risparmi e degli investimenti. Se a tutto ciò sommiamo l’interesse protezionistico degli intermediari domestici, per poter continuare a predare commissioni, voi capite che il futuro dei vostri risparmi (se avete la fortuna di averne), anche di tipo previdenziale, non appare esattamente radioso.
- Aggiornamento del 29 maggio – La tentazione era troppo forte: il governo Starmer si riserva di imporre obiettivi di asset allocation in private markets e “priorità locali di investimento” ai fondi pensione a beneficio definito che non dovessero raggiungerli “spontaneamente”.
(Immagine creata con Wordpress AI)
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