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La Lega Nord: Bossi, Maroni e il gioco delle parti

La farsa della guerra intestina, la vera lotta per le poltrone e la consegna del silenzio dei media sul malaffare leghista

Mentre la grande stampa si ostina a seguire la vera e propria farsa che è la guerra intestina tra bossiani e maroniani, più interessante appare il rapido riposizionamento all’opposizione e il forzato ripiegamento sulla Padania di una Lega solo ieri romana e, oggi, più che mai antagonista. Ai meno sprovveduti tra gli osservatori non sfuggono i segnali di disaffezione crescente in larghi strati del suo elettorato, né l’evidente stato confusionale e la crisi da imposta (da altri) astinenza da poltrone. “Ci trattano come dei buzzurri”, si lamentavano, molti anni orsono, i leghisti, appena arrivati a Roma, i trattori ancora caldi di fronte al Transatlantico.

Le auto blu le avevano viste solo in televisione, ma non sarebbe passato più di qualche giorno prima che i più navigati colleghi avrebbero capito di non essere dinanzi a degli sprovveduti. Cooptati in tempo reale in un sistema corrotto sino al midollo, a tanti anni di distanza è possibile tracciare un bilancio dell’esperienza della Lega che, di lotta o di governo, nell’occupazione delle poltrone, le va riconosciuto, è stata maestra. Tanto da far apparire gli esponenti della “vecchia partitocrazia”, per usare un lessico tanto caro alla retorica degli uomini in divisa verde, dei dilettanti.

I media, e solo loro per la verità, sembrano appassionarsi e si prestano, al solito, all’ennesima operazione elaborata dai vertici di via Bellerio che cercano disperatamente di riacquistare, agli occhi dei loro elettori, una verginità mai avuta, secondo una stanca e poco originale ripetizione di un usurato copione che abbiamo visto all’opera da vent’anni. I mezzi di informazione di massa, nel descrivere lo scontro in atto, si sono spinti fino a definire il Senatur nientemeno che “padre nobile”… passi pure padre, ma nobile mi sembra davvero eccessivo. I grandi media, rispettando una consegna del silenzio sui mille affari della Lega, sempre trattata coi guanti di velluto, hanno colpevolmente permesso a un partito di moralisti senza morale che, si badi, hanno ricevuto la prima condanna per corruzione nel lontano ’93, di atteggiarsi nei successivi vent’anni a duri e puri. Con i quanto meno audaci accostamenti a Cattaneo, la comunicazione politica si è spinta molto oltre il ridicolo.

Il punto, al solito, è un altro, e quella che è in scena è una commedia, recitata da attori meno che mediocri. E’ in atto, infatti, il tentativo di trattenere all’interno del partito i delusi dalla Lega governativa, la stessa farsa recitata anni fa, ma a parti invertite rispetto a qualche anno orsono. Ai tempi era Bossi che voleva rompere con B., mentre Maroni rappresentava l’ala governativa. Anche allora, la stampa ci raccontava dei rapporti tesissimi tra il capo e l’eterno numero due, del grande gelo sceso tra il padre nobile e l’eterno delfino, nato per essere il numero due. L’"insanabile rottura" si sarebbe in seguito ricomposta, “miracolosamente”. A tavola, comme d’habitude.

Nella migliore tradizione che un tempo si sarebbe detta democristiana e che oggi si potrebbe definire senz’altro leghista. La chiave di lettura dello scontro che, se genuino, è una mera questione di potere, e di poltrone, l’hanno fornita, del resto, gli stessi protagonisti: a solo qualche giorno dalla defenestrazione di sua Emittenza e del suo caravanserraglio di claque, lacchè, famigli, clienti, baldracche e burattini, infatti, la plateale occupazione dei banchi del Governo da parte della pattuglia dei buontemponi leghisti avrebbe dovuto, credo, far riflettere i notisti politici di casa nostra.

E i commessi del Parlamento che li rimuovevano di peso da quegli stessi banchi che hanno tanto a lungo indegnamente occupato, fino a portarci sull’orlo del baratro di una bancarotta dagli esiti devastanti, non avrebbero potuto rendere plasticamente meglio l’idea dei veri motivi del malessere leghista così platealmente manifestato. Ma, come recita l’adagio, non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Che dire poi delle buffonate che sono seguite? C’era da rimanere basiti nel vederli disordinatamente dietro lo striscione che aprono in aula con la scritta “Governo ladro”.

Che, si badi, si riferiva all’esecutivo Monti e non a quello di cui solo ieri facevano parte, quello della mezza cartuccia. Della mezza cartuccia e della mezza Lega, come in una vignetta uscita su uno dei principali quotidiani nazionali efficacemente ironizzava sul Senatur e sulla parte del partito che ancora segue il suo Verbo. Verbo è una parola grossa, trattandosi in genere di rumori, pernacchie, quando va bene, o gesti: il pollice verso, o, più spesso, il medio ritto.

“La barca va”, diceva Berlusconi-Schettino, mentre ci stava schiantando sugli scogli . “I ristoranti sono pieni”, insisteva l'ormai ex premier. Gli appelli alla calma venivano reiterati dall’orchestrina da sagra paesana leghista, che suonava ruspanti canzoni popolari, mentre nella cabina del capo si tenevano feste e festini sfrenati. Sul web, l’ironia dei cybernauti, cui, a differenza di tanti altri, non è mai sfuggita l’ipocrisia dei padani, si è sbizzarrita: il simbolo della Lega appariva con la scritta in basso del MPA del siculo Lombardo, mentre Alberto da Giussano veniva raffigurato con la spada afflosciata. La Lega Nord, non bastasse, diventava Lega Nerd e il celebre slogan Padroni a casa nostra, cambiando una sola consonante, si trasformava in Ladroni a casa nostra. E vostra, si potrebbe facilmente aggiungere.

Il malgoverno dei nostri paladini, in effetti, non si è certo limitato al Nord del Paese, avendo questi occupato poltrone e lottizzato abbondantemente e ovunque possibile. Specie nell’odiata Roma. Solo per citare uno degli ultimi scandali, quello Finmeccanica, è emerso chiaramente come la Lega abbia operato una sistematicamente spartizione di ogni posizione occupabile, come e peggio degli altri, anche nelle aziende parastatali. Secondo una pratica da sempre perseguita negli enti locali del Nord, con annessi e connessi: municipalizzate, fondazioni bancarie e via dicendo.

La Lega, però, le va riconosciuto, visibilmente imbarazzata, ha avuto almeno il pudore di non commentare il caso Finmeccanica-Guarguaglini, dal quale abbiamo avuto l’ennesima conferma di quanto il partito sia assolutamente organico al sistema di potere partitocratico, visto che, nella cabina di regia sulle nomine, Giorgetti, leghista di fede e osservanza maronita, trattava la sua parte col PDL e l’UDC (all’epoca all’opposizione, pare) nella misura di 4-4-4. Lottizzazione da manuale Cencelli, o, se si preferisce, la declinazione padana del modulo 5-5-5 dell’indimenticato Oronzo Canà. Il pudore mostrato sul caso Finmeccanica, la Lega forcaiola delle origini non l’ebbe ai tempi di Mani pulite, nello strumentalizzare a proprio vantaggio l’indignazione popolare. Nell’atteggiarsi, loro, i peggiori moralisti senza morale, a diga contro il dilagante malcostume.

Del resto, accanto al colorito suo elettorato, il partito, mentre votava per due decenni e senza colpo ferire qualsiasi porcata che Sua Emittenza imponeva loro, quando persino Casini provava ogni tanto a mettere qualche paletto. La Lega mai. Tutto pur di conservare le prebende romane. In tanti anni di Governo e sottogoverno, ha arricchito le sue file da schiere di affaristi, gente che ambisce a fare carriera, a partire dalle amministrazioni locali, in cui la Lega, anche dopo la caduta di Milano, è tutt’ora fortissima. L’unico partito poi che ancora difende ostinatamente le Province, enti dai più considerate inutili, con competenze solo in tema di viabilità locale e edilizia scolastica, è infatti la Lega.

Tali e tante sono le clientele che hanno coltivato nella Capitale, che potrebbero senza difficoltà eleggere una rappresentanza e propria anche in Campidoglio. I ristoranti di Roma sono pieni zeppi di portaborse, autisti, segretari, amministratori in quota leghista. Si riconoscono senza difficoltà, in quanto tutti rigidamente col fazzoletto o cravatta verde d’ordinanza e alquanto sbracati a tavola. La destra romana specie di provenienza missina, non è da meno, questo è certo. Né meno becera. Per cinquant’anni tenuti fuori dall’area di Governo, uno dei meriti storici della tanto vituperata prima repubblica, sdoganati, come i loro colleghi gallo-romani, poco avvezzi al potere, si sono ubriacati nei saloni dorati degli sfarzosi palazzi del potere della Repubblica, rivelandosi come i più famelici e rapaci amministratori.

Sempre nei media anche i critici insistono a parlare di “mutamento genetico dei leghisti”, un tempo antisistema. Sfiorando il paradosso, trattandosi di un partito a conduzione familiare che, ripeto, è stato dall’origine parte organica di un sistema corrotto. Gli immarcescibili padani ancora non avevano smontato l’accampamento per entrare in Parlamento che già aveva preso, pro quota, la maxitangente Enimont. La “madre di tutte le tangenti “per “il padre nobile" della Lega e i di lui figli, figliocci, compari e sodali. Sempre a proposito della vera e propria barzelletta che è la pretesa ”diversità” leghista e altre simili sciocchezze che, reiterate per due decenni da giornalisti in chiara malafede di fronte all’evidenza, se proprio vogliamo trovare una differenza tra la Lega e i partiti della cosiddetta Prima Repubblica, essa andrebbe individuata nel fatto che i democristiani e i socialisti si sono corrotti a seguito di un quasi cinquantennio di permanenza ininterrotta al potere, non senza aver dato all’Italia uomini della statura e della fibra morale di De Gasperi e Pertini, solo per citarne due dei maggiori.

La Lega, al contrario, non ha mai prodotto nient’altro che gente come Calderoli, Castelli e la caricatura di se stesso che è un Borghezio. La caricatura di una caricatura quindi. Il razzismo che nei suoi colleghi è più mascherato, più, si direbbe, sottotraccia. Ma anche la faccia più genuina del movimento, che, carsico quando al Governo, emerge prepotentemente quando all’opposizione. L’unica vera marca caratteristica di un partito che ha reso potabile un lessico politico ovunque inaccettabile, specie in partiti di area di Governo. Che dire poi di personaggi come Speroni, suocero di Reguzzoni, che, leghista della prima ora, spedito a Bruxelles a 20.000 euro al mese, ogni tanto riappare con un’intervista in cui elogia la mancanza di limiti di velocità nelle autostrade tedesche o annuncia di essere diventato avvocato. In Belgio, se non ricordo male, o in Spagna.

Poco importa, Franza o Spagna purché se magna, come sempre avviene nella Lega, in maggioranza o all’opposizione. Che poi tanto opposizione non è, se è vero come è vero che il partito continua a fare nomine anche col Governo Monti, infestando, tra gli altri, anche la RAI. Personaggi diversi, questi leghisti, alcuni anche simpatici, ma tutti, sempre, in cerca di pane. E, ripeto, non corrotti dal potere, ma già arrivati marci a Roma. Dove non hanno dato niente, ma solo preso, e tanto. Padri, figli, mogli, nipoti, generi, il familismo leghista, organizzato in veri propri clan familiari, è un altro tratto caratteristico della Lega dei nostri giorni. Il Trota è il caso di nepotismo più vergognoso, ma non è affatto isolato. Familismo amorale, diceva un tempo un noto antropologo a proposito del Mezzogiorno.

L’affaire sui disinvolti investimenti da parte del partito di denaro pubblico, soldi dei contribuenti, che dovrebbero essere meri rimborsi elettorali, dirottati in Tanzania, a Cipro o in Croazia, arriva buon ultimo rispetto ai tanti investimenti perlomeno dubbi, tutti fallimentari, dallo scandalo CrediEuroNord, poi salvato da Fiorani, in poi. Il re della stagione dei furbetti del quartierino che, avendo come sponda il Governatore Fazio, poté a lungo fare e disfare a suo piacimento nel mondo della finanza, aiutato da dazioni di denaro a destra e a manca. Lega inclusa, ovviamente, stando alla deposizione dello stesso Fiorani. Com’è andata a finire, lo sappiamo tutti. Ed è, ancora una volta, cronaca giudiziaria. Su Fazio, la Lega non spese una parola se non a sostegno.

Ancora qualche giorno fa, del resto, anche i suoi elettori più creduloni, per usare un eufemismo, non saranno rimasti sorpresi nello scoprire come dei 26 parlamentari che hanno presentato ricorso contro l’abolizione dei vitalizi dei parlamentari, ben 15 fossero leghisti, oltre la metà. Non male per un partito che, anche col premio di maggioranza, non arriva al 10% degli eletti. Nel frattempo, riapre il Parlamento della Padania, affittando un ristorante di Vicenza. Il programma? Oggi sessione parlamentare, dopodomani balera, serata danzante a base di liscio con Raul Casadei. Un ristorante, per placare la loro fame atavica. Menu? Padano, ovviamente. Costolette alla milanese, coniglio con polenta e così via. Nella speranza di tornare, quanto prima, alla pajata e ai saltimbocca alla romana.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.145) 15 febbraio 2012 16:18

    Meglio la Lega Nord nonostante tutti i difetti di Bossi che gli altri impresentabili partiti. Capisco che ad alcuni spiaccia ma il nuovo corso maroniano, la netta presa di distanza dal PdL ed il ruolo di unica opposizione, sta pagando con un netto incremento nelle intenzioni di voto. Rosica pure Riccardi ah, ah, ah 

  • Di Giuseppe Riccardi (---.---.---.61) 15 febbraio 2012 20:03
    Giuseppe Riccardi

    La speranza, quindi, sarebbe Maroni? L’ottimo ex Ministro dell’Interni e fantastico ex Guadasigilli, sempre attentissimo al suo territorio, che, evidentemente distrattosi per due decenni, non ha mai, e dico mai, speso una sola parola sul dilagare della mala al Nord? Dirò di più: quando l’Umberto detto Bostik (per via del suo ben noto attaccamento alle poltrone, specie romane), blaterava che avrebbe, e cito, "liberato il Sud dalla partiticrazia, paese per paese", ci avevo anche creduto. Ma, per non più di 5 minuti. Sappiamo entrambi che sulla strada per il Mezzogiorno si sono fermati a Roma, dove si sono trovati più che bene, Guardi poi che a me i leghisti, razzismo a parte, starebbero anche simpatici. Se si limitassero a frequentare le bettole, non ci facessero sempre la morale senza averne alcun titolo e non ambissero a fare i ministri. Lei ancora si fida di questi uomini? In bocca al lupo!

  • Di Geri Steve (---.---.---.46) 16 febbraio 2012 01:23

    Inseguire il teatrino leghista e’ faticoso, perche’ le sceneggiate sono la loro professione principale. Sanno recitare benissimo la sceneggiata del leghista buono contro quello cattivo.

    Pero’ il copione e’ riconoscibile, perche’ e’ sempre lo stesso: quando la commissione inquirente doveva decidere se lasciare che Craxi andasse sotto processo o no, loro agitarono il cappio e strepitarono contro la corruzzione e contro la commissione inquirente, ma contemporaneamente, nel segreto dell’urna votarono per il no alla processabilita’ di Craxi, e proprio loro (insieme a Pannella) quella volta furono decisivi.

    In tutta l’era Berlusconiana non si discostarono quasi mai da quel copione, sostenendo sistematicamente gli inquisiti e i condannati.

    E’ giusto dire che il ministro Maroni non ha contrastato l’espansione delle mafie al nord, e’ giusto dire che non ne ha neanche mai parlato, ma il problema vero e’ un altro:

    che rapporto c’e’ fra i progetti mafiosi di conquista del nord Italia e la nascita della lega?

    Chi ha investito su un nullafacente come Bossi per farlo diventare leader di un partito?

     

  • Di Giuseppe Riccardi (---.---.---.61) 16 febbraio 2012 11:39
    Giuseppe Riccardi

     Concordo in pieno con quanto dici ma non so dare le risposte. Quello che è certo, però, è che senza il sostanzioso appoggio economico di SIlvio, Umberto & C sarebbero falliti da un bel pezzo, visti i disastri nei conti del partito. C’è ben poca politica in tutte le posizioni della Lega e tanti interessi, sempre economici, specie nel rapporto tra i due. L’ex premier però non è uno sprovveduto e, visti i precedenti, si è assicurato l’usufrutto vita natural durante del simbolo stesso della Lega.

     Senza contare che senza l’appoggio di Sua Emittenza, anche indirettamente tramite la RAI, non ci sarebbe stato il silenzio che c’è stato in vent’anni sui tanti affari della cricca in verde. Le chiacchiere sullo staccare la spina a Formigoni sono, appunto, solo chiacchiere. La Lega, a Roma come a Milano, ormai lo sappiamo, non rinuncia a nessuna poltrona, nemmeno in una comunità montana....e la mezza cartuccia, in caso di vera rottura, scaglierrebbe contro l’ex alleato tutta la sua potenza di fuoco mediatica.

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