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Il sorpasso: Grillo, Montezemolo e gli altri

Dopo Monti o dopo Berlusconi? Scenari politici per il 2013.

La defenestrazione di Berlusconi e l’avvento di Monti hanno aperto scenari solo ieri inimmaginabili, facendo cadere molti degli steccati che la “discesa in campo” del Cavaliere aveva creato ormai due decenni orsono. Per quanto molti noti politici insistono a parlare di dopo Monti, in realtà, a ben guardare, siamo ancora nel dopo Berlusconi.

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Mario Monti

Il Professore potrebbe infatti non essere solo una parentesi della politica italiana, non foss’altro che per il suo profilo bipartisan che ne fa un naturale candidato alla successione al Quirinale. Di qui a un anno, poi, anche alla luce delle amministrative di maggio e del sorpasso del M5S sul PDL registrato nelle più recenti intenzioni di voto, non è affatto scontato un esito elettorale chiaro. Non è quindi possibile escludere una riedizione della Grosse Koalition non troppo dissimile dall’attuale, un Monti bis che raccolga la sua attuale maggioranza, o quello che ne resta, visto il trend dei sondaggi.

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L’ex numero 1

C’è però una variabile almeno parzialmente indipendente dall’azione governativa e dei partiti, il deterioramento del contesto economico internazionale e l’azione europea nel disinnescare la mina della crisi dei debiti pubblici di cui l’andamento dello spread non è che l’epifenomeno. Molti degli scenari ipotizzabili dipendono infatti, oltre che dal sistema elettorale con cui si andrà alle urne, dal successo che l’esecutivo Monti avrà nel superare l’attuale crisi.

Tornando alla politica in senso stretto, gli scenari più interessanti si aprono a destra. L’oggettiva debolezza della sua coalizione quale si è manifestata nelle amministrative, specie nel suo fianco destro, quasi collassato, hanno paradossalmente rafforzato l’esecutivo: gli inquieti ex An e i sicari della carta stampata di Sua Emittenza se ne facciano una ragione. E’ impensabile per il PDL far cadere il Governo, intestandosi il caos che, è fin troppo facile prevederlo, seguirebbe alla caduta di quello che, comunque lo si valuti, per lo standing del Premier, è considerato, specie dai mercati, un argine alle ipotesi peggiori. I partiti che formano l’attuale maggioranza, quindi, sono condannati a stare insieme fino al 2013, per manifestare incapacità e per mancanza di alternative. E’ impensabile una crisi al buio. Gli italiani, del resto, stando sempre ai sondaggi, imputano la responsabilità della situazione attuale a chi ha amministrato per 8 degli ultimi 10 anni precedenti la caduta del Caimano, l’ex Asse del Nord, ridotto ormai ai minimi termini con la Lega che, stando sempre ai sondaggi, forse non supererebbe nemmeno uno sbarramento al 5%.

Tutto questo detto, rompere la maggioranza per andare a elezioni, con la legge elettorale vigente, potrebbe forse garantire le nomenclature del partito, il cui seggio, in mancanza di preferenze, sarebbe assicurato per un'altra legislatura, ma verosimilmente ridurrebbe i partiti che dovessero provarci a così poca cosa da renderli, di fatto, politicamente ininfluenti. Si consideri quindi come molti degli steccati politici ritenuti, da vent’anni in qua, quasi invalicabili, appaiono per molti versi innaturali, artificiosi. E ideologicamente inconsistenti. Venuta meno l’anomalia berlusconiana, le aree moderate e post dc dei due principali partiti tendono naturalmente a cercarsi con l’UDC. Gli abboccamenti ricorrenti dell’area Pisanu con Casini e i suoi ne sono solo la manifestazione più evidente. Lo stand by fin qui imposto dalle amministrative e dallo shock che ne è seguito, potrebbe non durare a lungo e conoscere una rapida accelerazione.

La fine del berlusconismo, certificata dal disastro elettorale, col Pdl ai minimi storici e in molte grandi città del Nord a una sola cifra, sta di fatto ricomponendo aree sin qui divise solo (si fa per dire) dal giudizio diverso sul ventennio appena trascorso, caratterizzato dal fattore B. I movimenti al centro non possono non interessare, evidentemente, l’area ex margherita del PD, che sin qui ha spinto Bersani a cercare l’alleanza col Terzo Polo, le cui ambizioni sono uscite pure a dir poco ridimensionate dalle urne. E' poi possibile infatti ipotizzare una ricomposizione dei partiti secondo le famiglie politiche in cui si riconoscono a Bruxelles. Lo stesso Terzo Polo, poi, non sembra del tutto immune a questo generale rimescolamento, visto che Futuro e Libertà, pur freddo rispetto a una operazione di chiara impronta democristiana, non si è ancora chiamato fuori solo per l’obiettiva debolezza nei sondaggi che lo danno sotto al 4%. Ma l’orizzonte di Fini che, costretto a una bassa intensità elettorale dal suo ruolo istituzionale, mentre nel breve soffre l’attivismo di Casini, rimane il 2013, quando spera di poter dispiegare appieno il suo potenziale elettorale. E comunque sembra guardare a un centrodestra più tradizionale di tipo laico, sul modello neogollista.

Che possa farlo un uomo con una storia missina e tanto a lungo a fianco del Telecrate è tutto da vedere. La stessa pattuglia parlamentare di FLI, già poca cosa, non è poi affatto immune dal rischio di perdere per strada altri pezzi. L’ex radicale Della Vedova sembra non insensibile alle sirene di Montezemolo che, tutt’ora incerto rispetto a un suo diretto e personale impegno in politica, dovrebbe aver rotto gli indugi e Italia Futura sarà della partita, se, come pare, entro giugno la sua creatura politica, già presente in oltre la metà delle regioni, avrà coperto il resto della Penisola con sedi operative a livello regionale. Il tutto, si lascia trapelare, entro giugno. Una struttura, si vede bene, che poco si addice a un think tank e molto a un partito per quanto leggero. Il potenziale elettorale di un’area liberaldemocratica non sarebbe marginale in una paese pieno di partite Iva, se l’ex Presidente di Confindustria riuscirà a presentarsi meno uomo della FIAT e della grande industria e più vicino alle piccole e medie imprese, la stragrande maggioranza del tessuto produttivo del Belpaese, e al mondo delle libere professioni in generale.

Il collasso della Lega Nord, travolta dagli scandali finanziari, e il parallelo successo del M5S, il cui Leader, non a caso, ha battuto molto più il Nord, contrada per contrada, che il Sud, sono due facce della stessa medaglia. La crisi della Lega potrebbe non essere contingente. Per quanto Maroni, dopo aver mostrato la scopa a fini interni e a uso e consumo dei media, l’ha prontamente riposta nello sgabuzzino, abbia dichiarato la pulizia terminata, ben cinque procure stanno ancora indagando sul malaffare dei padani. E’ fin troppo facile che alle anticipazioni dei giornali segua un lungo stillicidio di avvisi di garanzia, richieste di arresti e processi per dirigenti di primo, secondo e terzo piano del partito. La deleghizzazione già in atto in molte parti del Nord, infine, potrebbe intaccare pesantemente l'ampia base clientelare della Lega, per vent’anni maestra nelle lottizzazione nel sottogoverno romano e periferico.

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Grillo al V Day

Il risultato del M5S alle prossime politiche è intimamente legato alla capacità della politica di rispondere, di qui a un anno, alle richieste della gente che subisce l’austerity di Monti e la durezza della recessione, in termini di drastico ridimensionamento dei rimborsi elettorali, della diminuzione dei parlamentari e dei costi della politica in generale. La pressione in questo senso è fortissima, come pure l’attenzione dei media e i privilegi della Casta risultano tanto più insopportabili quanto peggiori sono le condizioni degli elettori, non più disposti a sopportare l’esosità dei suoi amministratori. Sorprende l’incapacità di rispondere da parte della politica che appare per un verso arroccata nella difesa dei propri privilegi, per l’altro paralizzata dal terrore della rabbia montante dei cittadini che, senza preferenze, nemmeno hanno potuto scegliere i propri rappresentanti.

La caccia ai voti in fuga dalla Lega e l’ondata giustizialista montante, che adesso ingrossano le fila dell’astensione, potranno favorire anche l’IDV di Di Pietro, che nel breve ha già subito un travaso di consensi a favore dei grillini, mentre il malessere delle piccole e medie imprese del Nord, che un tempo hanno guardato alla Lega, ora potrebbero reindirizzarsi verso Montezemolo. Il quale può candidarsi a essere tra i maggiori beneficiari dello smottamento del PDL, avvertito, con la Lega, come il maggior responsabile dello sfascio dei conti pubblici in cui si trova il Paese.

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Luca Cordero di Montezemolo
Scende in campo?

Il folcklore leghista ormai è chiaro, non paga più: anche alla parte meno sveglia di un elettorato non tra i più svegli, non sfugge l’ipocrisia di una forza che, in maggioranza ieri, votava per il raddoppio del rimborso elettorale, in spregio alla volontà espressa da un referendum, mentre oggi, sfrattata dai palazzi romani, vota contro il suo dimezzamento, dichiarandosi per l’abolizione totale. Senza, si badi, rinunciarvi, a differenza dei grillini, loro sì coerenti con le battaglie promosse. I leghisti, si sa, alla paghetta ci tengono. Senza fantasia alcuna, poi, ogni qual volta si parla di dimezzamento dei parlamentari la Lega puntualmente si esprime per la via costituzionale, evidentemente impercorribile in questa legislatura: non ce ne sarebbero i tempi.

Molta della durezza dell’azione dell’esecutivo Monti, del resto, è figlia del lassismo di B&B, e della famosa lettera che il passato esecutivo ha inviato all’UE e alla BCE (in cambio dell’acquisto di debito pubblico per complessivi 200 miliardi di euro, una parte importante dei quali, giova ricordarlo, italiani) con precisi impegni: riforma delle pensioni e del lavoro, IMU, lotta all’evasione, saldi di bilancio concordati, clausole di salvaguardia incluse, leggasi aumenti dell’IVA. In pratica si tratta del testamento politico dell’ex maggioranza a geometria variabile (allargatasi, di volta in volta, a schiere di pasdaran a gettone come Scilipoti e Razzi) incentrata sul pactum sceleris tra il PDL e la Lega, la stessa che ieri controfirmava quella lettera e ora raglia contro il rigore di Monti, il quale, mentre ha, almeno per il momento, evitato il baratro di scenari greci e il commissariamento del FMI (mai tenero, si sa, con le forbici, specie sulla spesa sociale) rappresenta, piaccia o no, l’esecutore testamentario del totale fallimento economico e politico dell’ex maggioranza. O, se si preferisce, il suo commissario liquidatore.

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