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Israele, l’Islam e la Democrazia

Venerdì scorso Sergio Romano ha pubblicato sul Corriere una mia lettera vecchia di qualche mese, sul “problema” dell’essenza ebraica dello stato di Israele, con un suo lungo commento che, ovviamente, non permette repliche, ma che forse merita qualche precisazione.

Così alla mia lettera - in cui sostenevo che pretendere che Israele rinunci alla sua “essenza ebraica” ha il sapore di negare la particolare storia di oppressione subìta da quel popolo, culminata nello sterminio nazista – il commentatore del Corriere risponde in modo articolato chiedendo “Come è possibile che un tale Stato possa isolarsi e riservare alcuni diritti fondamentali soltanto a coloro che possono dimostrare di appartenere a una stessa stirpe


Domanda interessante, un po' vecchiotta, ma interessante.

A cui però non so rispondere.

Potrei farlo se solo sapessi quali sono i ‘diritti fondamentali’ riservati ai soli ebrei. Ma lui non lo dice - forse li ipotizza solamente - e io non li conosco. Per quanto ne so nella dichiarazione di Indipendenza dello Stato di Israele c'è scritto che esso si caratterizza per essere uno stato "ebraico" che, contemporaneamente, "assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzioni di religione, razza o sesso". Eccetera. Ebraico e democratico, quindi.

Gli arabi israeliani, cioè i cittadini israeliani di etnia araba (altra cosa è il problema relativo ai palestinesi dei Territori occupati che riguarda però tutt’altra discussione che contempli la situazione venutasi a creare dopo le due guerre del '67 e del '73), sono cittadini che hanno diritto di esprimersi, di pubblicare giornali, di usare i servizi pubblici, di farsi difendere dalla polizia e di chiedere giustizia alla magistratura. Hanno diritto di fondare partiti e di far eleggere i propri rappresentanti nel Parlamento, dove in effetti siedono i deputati arabi. Il sistema scolastico è misto, con scuole laiche e religiose e istituti in lingua araba. La minoranza araba ha diritto di voto e deve pagare le tasse, come tutti. Gli arabi sono esentati dal servizio militare, per ragioni così ovvie che non vale la pena di discuterne, ma non lo sono ad esempio i drusi che pure appartengono ad una setta islamica (cioè non sono ebrei) e che sono noti per essere particolarmente duri con i palestinesi sunniti che spesso nella storia li hanno perseguitati di brutto. Per finire Israele è uno stato che ha due lingue ufficiali, l'ebraico e l'arabo. Esiste uno stato arabo in cui l'ebraico sia, o sia mai stato, lingua ufficiale?

Se poi vogliamo andare sul fatuo allora ricordiamo che la serie televisiva di maggior successo della televisione pubblica israeliana è stata ideata, prodotta e interpretata da arabi, in lingua araba (con i sottotitoli in ebraico) e che anni fa una ragazza araba, Rana Raslan, è stata eletta Miss Israele. Sciocchezze? Certamente; ma lo stato di una società si misura anche da queste sciocchezze.

E’ possibile - senz'altro probabile - che esista una forma più o meno esplicita di reciproca insofferenza, di arroganza degli uni sugli altri; cosa di cui tutte le democrazie occidentali soffrono nei riguardi delle loro minoranze, ma che in Israele non può che essere accentuata da quasi un secolo ininterrotto di conflitto. Ci vorranno generazioni, dopo la pacificazione, perché questi problemi vengano affrontati positivamente, ma intanto so che esistono anche coppie miste, arabo-ebraiche, poche, ma quando un uomo e una donna trovano normale attrarsi e amarsi direi che c'è una qualche ragione di essere ottimisti perfino in quella situazione.

Ed è possibile o anche probabile che ci siano ingiustizie nella distribuzione della ricchezza, del lavoro o dei contributi statali. E se c’è è chiaramente ingiusto che ci sia.
 
Insomma, non mi pare che Israele sia una democrazia in pericolo di trasformazione in qualcosa di totalitario, solo per via della definizione "etnica" data allo Stato.

Da sempre si è dichiarata stato ebraico o stato degli ebrei se volete (non è esattamente la stessa cosa, ma alla fine è questione di lana caprina che solo a Romano può interessare). E’ nata così, con la finalità di dare rifugio ad un popolo che per venti secoli ha vissuto come minoranza in casa d’altri e che, per questo, ha pagato un prezzo altissimo. Infine è stata riconosciuta dall’ONU, ben consapevole che stava autorizzando la nascita di uno stato "ebraico".

L’aspetto curioso è che su questa definizione “etnico-religiosa” si fa ciclicamente una polemica, molto datata, con Israele, ma non è mai esistita una corrispondente polemica con gli stati che si definiscono “arabi” o “islamici”, anche se anch'essi fanno derivare ugualmente l’identità nazionale da identità di appartenenza etnica o religiosa.

Quando qualcuno accuserà di ‘apartheid’ l'Egitto o la Siria perché si definiscono ufficialmente "arabi”, accetterò di trovare discutibile anche l'idea di definire “ebraico” lo Stato di Israele. Fino a quel momento la polemica mi sembra che abbia solo un vago sentore di conosciuto (e insopportabile) pregiudizio antiebraico. Fino a che si ritiene normale concedere ad altri ciò che non si concede a un ebreo, continuerò a pensare che c'è del razzismo sotto. E in un momento in cui di razzismo si parla molto nel nostro paese, non mi sembra inutile ricordare chi per venti secoli il razzismo l'ha subìto, più di ogni altro.

Ma Romano afferma anche che uno “Stato etnico-religioso sia in stridente controtendenza rispetto a quello Stato costituzionale dei cittadini che è il traguardo ideale delle maggiori democrazie occidentali”.

Questa affermazione merita un pensiero più attento: uno stato moderno, costituzionale e democratico non è conciliabile con uno stato etnico-religioso, dice.

La cosa che forse non si perdona ad Israele è di essere nei fatti “uno stato moderno retto da principi democratici”, è Romano stesso che lo dice, ma di volersi definire adottando un’identità etnico-religiosa, ritenuta incompatibile con quegli stessi principi. Le due cose non sono conciliabili, si dice. Quindi Israele, democrazia riconosciuta, perderebbe la sua democraticità se si definisse “ebraica” (cosa che ha fatto fin dall'inizio senza che per questo i suoi "principi democratici" ne fossero vanificati, a detta dello stesso Romano).
 
Teniamo presente quest’idea che uno stato moderno, costituzionale e democratico non è conciliabile con uno stato etnico-religioso.

Ebbene, proprio in questi stessi giorni il nuovo segretario del Partito Radicale Transnazionale, Demba Traorè, nato nel Mali e di religione islamica ha affermato che “non esiste incompatibilità tra Islam e democrazia”. Non si vede quindi perché mai dovrebbe essercene una tra democrazia ed ebraismo, anche fosse quello più ortodosso, cioè alla fine quello più simile alla cultura islamica. Siamo su posizioni diametralmente opposte a quelle di Romano. E sono posizioni interessanti perché gettano luce su una prospettiva di ricerca di vie nuove e diverse da quelle delle democrazie occidentali.


 
Qui la riflessione si deve allora fare più accurata. E scottante, perché il discorso di Romano mette esplicitamente in discussione che, non solo Israele, ma tutta l’area delle primavere arabe, in cui sembra che le formazioni islamiste più o meno radicali abbiano la maggior consistenza in termini di risultati elettorali, possa avere una qualche possibilità di accedere al mondo della “democrazia”, cioè che possano essere garantiti uguali diritti civili per tutti gli abitanti di quegli stati.



E' chiaro, a questo punto, che Romano vede e ritiene ottimale - momento supremo dello sviluppo politico della società - solo quella particolare prassi socio-politica che l’Occidente ha saputo immaginare, progettare e costruire e che ha chiamato democrazia.

La democrazia come obiettivo finale di un processo, tutto europeo, di superamento delle monarchie assolutiste e di fondazione di quei parlamenti nazionali che avrebbero dovuto assicurare la “libertà” ai popoli, attraverso l’elezione di legittimi rappresentanti. Il superamento dei Re per grazia di Dio, ottenuto con i lumi della Ragione. Liberté, egalité, fraternité.

Questo è il percorso occidentale verso la democrazia.
E’ l’unico ipotizzabile? Siamo sicuri che non possano esistere libertà, uguaglianza e fraternità fuori da questo percorso? Siamo ancora al "buon selvaggio" da educare alla nostra superiore civiltà?

Gli altri, i popoli asiatici e africani, ne sono stati illuminati solo attraverso il colonialismo e, di sicuro, ne avrebbero fatto volentieri a meno. Più complesso il caso degli ebrei che vivevano per la maggior parte in Europa e che dall’illuminismo (che ha avuto anche una sua versione ebraica chiamata haskalah) e dalle sue varie articolazioni tarde hanno avuto un vantaggio, l’apertura dei ghetti, una novità su cui molto ci sarebbe da discutere, l’assimilazione - che ne ha ampiamente devastato l’identità culturale - e una solenne fregatura, lo sterminio.
 
Insomma, fra molte ambiguità, si propone e ripropone sempre e solo la democrazia occidentale come faro per i popoli. Massima espressione della civiltà, derivata dalla cultura elaborata dalle genti bianche di religione cristiana che hanno pensato di costruire lo stato moderno sostituendo alla religiosità tradizionale il culto della razionalità umana (ma alla fine riuscendo solo a coniugare ambiguamente ragione e religione con sommo gaudio del nuovo papa).

Ovviamente preferisco la libertà di parola, di movimento, di opinione, di riunione, di manifestazione eccetera che gli stati democratici offrono e preferisco anche quella un po’ trita sceneggiata delle campagne elettorali e delle elezioni al dominio incontrastato di un dittatorello o di un capotribù. Ma se posso criticare l'Islam politico contemporaneo non vedo perché non si possa ipotizzare che il pensiero islamico trovi nelle sue elaborazioni, che sicuramente hanno capacità di analisi anche della storia occidentale, la possibilità di future, ampie consonanze con ideali libertà civili, in un suo processo originale.

Detto questo non posso nascondere un dubbio: se si dice che la democrazia è incompatibile (anche) con l’Islam è conseguente che in tutta l’area islamica esistono degli oppressi e degli oppressori. Se non c’è democrazia, è indiscutibile che sia così. Che ne sarà di loro? (è la stessa domanda che Romano pone a proposito delle minoranze non ebraiche in Israele). Che dobbiamo fare per alleviare le sofferenze degli oppressi ? Esportare la democrazia ? Torniamo alla dottrina Bush?

Forse fra un numero imprecisato di anni ne riparleremo, intanto vediamo se le caratterizzazioni etnico-religiose sono davvero inconciliabili con la democrazia o almeno con una qualche forma di equità sociale, di libertà e dignità come hanno reclamato i popoli arabi in questi mesi. Lasciamo a tutti quelli che non hanno percorso la nostra stessa storia di umanesimo, rinascimento, illuminismo, positivismo eccetera la libertà di farsi la loro strada.

E smettiamola di pretendere che Israele sia la fotocopia esportata delle nazioni europee, che non hanno mai avuto la drammatica storia degli ebrei, ma che ne sono state casomai la causa; così come dovremmo smetterla di pensare che gli unici neri buoni siano quelli "bianchi".

I popoli che non hanno prodotto la moderna civiltà europea, magari potrebbero avere qualche idea migliore della nostra ed individuare una ipotesi di società dove la religiosità che permea la società attuale possa essere superata diversamente da quell'ingannatoria e parzialissima liberazione che l'occidente ha saputo fare.

Oppure dove le donne (speriamo senza burqa) non siano viste sempre e solo come madonne lacrimose o zoccole da avanspettacolo, ad esempio. O ancora una dove gli squali della finanza non riducano in cenere le speranze di generazioni di esseri umani.

Noi possiamo dare il nostro contributo di idee o di esperienza, magari. Giusto per evitare nazismo e comunismo, che tanti bei risultati non li hanno dati. Ma senza fare i saccenti, perché non abbiamo poi molto da insegnare. Siamo in una società dove ancora oggi una ragazzina preferisce dire di essere stata stuprata da uno zingaro piuttosto che ammettere di aver avuto una naturalissima voglia di fare l’amore per realizzarsi come donna completa.

Pensiamo a curare le ferite di questa nostra democrazia; non mi sembra che goda di ottima salute. Tutti, credo, dobbiamo fare un lavoro notevole per superare i limiti della filosofia politica che ha prodotto il nostro mondo.

Dare lezioni sedendosi sullo sgabello della Dea Ragione, cercando di imporre culturalmente agli altri di percorrere la nostra stessa strada piena di trappole, non mi pare il modo migliore per cambiarlo. 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.235) 19 dicembre 2011 21:42

    Infatti credo che abbia ragione Romano. Se dovessimo estendere il concetto di popolo eletto a livello planetario, qualcuno potrebbe immaginare una situazione di pace duratura e democrazia estesa?
    Ma è la storia raccontata dall’autore ad essere di parte: vi si riconoscono i diritti di un popolo ritornato sulla propria terra ma passano in secondo piano i diritti di altri popoli che vi abitavano da secoli. In questo non credo vi sia una preminenza di alcuni su altri.
    Credo che richiamarsi alle regole della democrazia per convalidare una situazione di questo tipo sia un tentativo alquanto scorretto.

  • Di (---.---.---.82) 19 dicembre 2011 23:48

    Non credo di richiamarmi alle regole della democrazia per "convalidare la situazione" per il semplice fatto che la situazione è quella che è e non ha alcuna necessità di essere convalidata. Alla situazione esistente mi rapporto per cercare di capici qualcosa.
    Pensare di avere a che fare con una situazione "altra" è semplicemente un ragionare su un qualcosa che attualmente non esiste.
    I "diritti degli altri popoli che vi abitavano da secoli" o coincidono con i diritti della minoranza arabo-israeliana oppure stiamo parlando del conflitto arabo-israeliano nella sua ampia articolazione che è questione diversa dalla polemica sul diritto o meno di Israele di definirsi Stato "ebraico".

    La situazione reale e attuale è che esiste uno stato che si chiama Israele, che si definisce "ebraico" e, per via di questa definizione, si attira accuse di razzismo. I suoi abitanti di etnia araba sono discriminati ? è uno stato che pratica l’apartheid sui suoi cittadini di minoranza ? Oppure deve semplicemente abrogare la definizione di "ebraico" mentre la Siria ad esempio ha tutti i diritti di definirsi repubblica "araba" anche se la sua minoranza curda araba non è ?

    Mi rendo conto che la situazione è estremamente complessa, ma credo che vada distinto il problema interno allo stato israeliano da quello del conflitto con gli arabi esterni allo stato stesso (palestinesi di Gaza, della West Bank, della dispora e arabi degli stati confinanti).

    In caso contrario si mette semplicemente in discussione il diritto alll’esistenza dello Stato attuale a favore di uno stato arabo con una minoranza ebraica al suo interno che però è argomento diverso da quello che ho cercato di affrontare (e anche piuttosto astratto, direi).

    Fabio DP

  • Di (---.---.---.82) 20 dicembre 2011 07:46

    Quanto alla polemica sul "popolo eletto" direi che è piuttosto pretestuosa.
    L’ebraismo è esclusivista nella forma (è religione di un popolo) ma universalista nella sostanza (tutti gli esseri umani possono aspirare alla salvezza se solo sono "giusti". A partire dal Noè biblico che ebreo non era).
    Il cristianesimo è universalista nella forma (si propone come religione di tutti i popoli) ma esclusivista nella sostanza (Extra Ecclesiam nulla salus: fuori dalla Chiesa non c’è salvezza) almeno fino a tempi recenti.
    La possibilità di "salvezza" andava oltre la distinzione buoni/cattivi e indicava in chi ne era "degno" una caratteristica di umanità che era negata a chi non ne era degno.

    Ho approfondito questi temi nel mio blog qui http://fabiodellapergola.blogspot.c...

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