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Il Canto degli Spirti Sapienti

Dante e il X Canto del Paradiso: la sapienza nella Divina Commedia

A Ravenna, come ogni anno, il 13 settembre si ricorda la morte di Dante Alighieri con una serata a lui dedicata. Quest’anno, nella basilica di S.Francesco, il Dantis poetae transitus, la commemorazione del 687° anniversario della morte del poeta, ha visto la partecipazione di Monsignor Gianfraco Ravasi, Presidente del Pontificio Consoglio della Cultura e della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, che ha commentato mirabilmente il Decimo Canto del Paradiso.

Siamo nel Cielo del Sole, dove Dante incontra la prima corona di spiriti sapienti.

Quasi fosse un trittico che viene aperto per le occasioni importanti, il canto si compone di tre parti; è il canto della luce, simbolo capitale per la rappresentazione di Dio, che si presenta sottoforma di irridescenze diverse: il sole fisico, la luna (la figlia di Latona), la luminosità interiore degli spiriti stessi, definiti lucenti, ardenti soli, stelle sfavillanti. La sorgente trascendente di questa luce è descritta dall’icastica espressione lo raffio della grazia, onde s’accende/ verace amore.



Ma il Decimo Canto è anche il canto della contemplazione: già dall’incipit viene introdotta la categoria della visione: il creatore non cessa mai di guardare il mondo (v.1-6) ed è questo il tema della provvidenza, parola nella cui morfologia si individua il verbo vedere. Mentre sulla Terra il guardare si limita ad una pregustazione, a un prelibare, i santi in Cielo, al contrario, hanno la possibilità di andare oltre e contemplare il Mistero divino della Trinità. Di fronte alla complessità di un trattato come il "De Trinitate", la dozzina di parole con le quali Dante riesce a rendere la natura composita e allo stesso tempo unitaria della Trinità è qualcosa di sorprendente (v.1-3). Un altro tipo di contemplazione è quella che investe la creazione (v.5-6): nella tradizione ebraica la creazioneviene paragonata ad una pergamena distesa tra cielo e terra, su cui Dio ha scritto un messaggio.

Ovviamente l’ultima parte del trittico è il canto della sapienza: Tommaso d’Aquino presenta i sapienti del primo coro, inquadrati come in stand by nel momento più curioso di una danza, ossia quello in cui ci si ferma per cambiare posizione, a mostrare la perfetta armonia che li caratterizza. Ed è a questo punto che entra in scena la biblioteca di Dante: Alberto Magno, Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, Dionigi Aeropagita, Orosio, Isidoro di Siviglia, Beda Venerabile e Riccardo di S.Vittore. Ci sono due personaggi che mettono in crisi l’equivalenza che unisce sapienza e felicità, due giusti per i quali la sapienza è fecondata da dramma e sofferenza. Nel Qoelet si dice che grande sapienza è gran tormento e chi più sa, più soffre. E’ il caso di Severino Boezio, mediatore fra la civiltà classica e quella cristiana, e Sigieri di Brabante, contestato in vita da Tommaso d’Aquino stesso, che qui, invece, lo presenta a Dante. Sigieri proclamava l’indipendenza della filosofia e della razionalità rispetto alla fede: anche Dante amava distinguere, basti pensare alla netta separazione che proponeva fra Chiesa e Stato. In ogni caso, nel Paradiso tutto viene ricongiunto, e così come Tommaso d’Aquino si riconcilia con Sigieri (che sillogizzò invidiosi veri), le scuole domenicane e francescane che nel mondo fallace si confrontavano duramente, in cielo si incontrano e si abbracciano, unite dalla sapienza celeste. E’ interessante ricordare che sapere deriva dal latino sapere, che nella prima accezione significa avere sapore, avere gusto: i sapienti presentati nel X Canto sono grandi testimoni della bellezza e del senso della vita.

Mons. Ravasi ha concluso ricordando un famoso teologo del secolo scorso, Karl Barth, che diceva che tra le scuole la teologia è la più bella, la sola che tocchi la mente e il cuore arricchendoli, che tanto si avvicini alla realtà umana e getti uno sguardo lumionoso sulla verità divina. E’ indubbio che leggendo Dante si entri in un’altra dimensione, la si interpreti come ognuno crede...l’importante è, però, coltivare sempre la passione per questo grande poeta, magari cominciando o riprendendo proprio questo canto, il X del Paradiso: Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba (v.25).

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