Grillo e l’ottimismo della catastrofe
Giorni fa è stato pubblicato un mio articolo in cui paventavo che Grillo, per motivi personali, avesse dato vita al classico movimento del tanto peggio-tanto meglio.
D’altra parte una sua frase, verso la fine di una intervista di Severgnini, è decisamente ambigua si presta a interpretazioni diverse: “Io ho l'ottimismo della catastrofe. Si va giù, e si ricomincia”.
L'idea grillesca intanto pare vincente, visti i risultati. Non è un caso se Silvio B. si è messo a studiare i discorsi di Beppe G. Ma, per quanto io sia imbufalito con la classe politica italiana per la situazione insostenibile che ha determinato, a me la catastrofe non solo non piace, ma mi fa anche un po’ paura.
E mi fa paura anche l’ottusità, di cui ho avuto un bell’esempio: in un semplice “cappello” introduttivo del mio pezzo precedente c'era un errore. A memoria ho sbagliato una definizione: un’imprecisione assolutamente irrilevante nell'insieme del discorso, ma sufficiente per far imbizzarrire due o tre tizi, ovviamente anonimi, insistenti e fastidiosi come zanzare.
Provi a indicare la luna e gli imbecilli guardano il dito, come si dice. Andiamo avanti.
La situazione di oggi la conosciamo: economia in fase altamente drammatica e incapacità dei partiti di rendersi conto della sua gravità. "La metafora del ballo nel salone delle feste del Titanic è logora" scrive Sartori sul Corriere "ma non so trovarne una più adatta".
Per far ripartire l'economia sarebbe necessario rilanciare i consumi (non tagliare stipendi, pensioni e investimenti pubblici). E questo si può fare solo abbassando la tassazione.
Ma per questo servono risorse. Il che, sembrerebbe possibile, solo agendo su un limitato pacchetto di possibilità fra cui tassare grandi patrimoni e transazioni finanziarie. Più un’ampia serie di misure minori, ma nell’insieme non trascurabili. Le cose più importanti, significative non solo economicamente ma anche come segno di equità sociale, però non sono praticabili per l’opposizione di Berlusconi.
Quindi potrebbe essere necessario davvero superare questa impasse politica e andare a elezioni, come sostiene Fassina. Sperando di vincerle e sperando di mettere insieme un pacchetto di proposte efficaci e condivise (il che, dato lo stato confusionale cronico della sinistra non è affatto scontato).
Ma se si affermasse Grillo con il suo “ottimismo della catastrofe” e il Movimento Cinque Stelle vincesse le elezioni, magari in combutta con l’IDV e raccogliendo i voti di un certo numero di arrabbiati sfasciatori di sinistra, più la vasta platea di destra ormai in libera uscita, con chi lo farebbero il governo? Con quali ministri, sottosegretari, dirigenti, funzionari? Con quale teoria economica, con quale cultura sociale ? Dopo aver contribuito ad abbattere l'esistente come potrebbero gestire la situazione drammatica che si verrebbe a creare?
A parte gli inquietanti filmati apocalittici della Casaleggio & C. (l'eminenza grigia di G. che sembra essere, non a caso, un appassionato di Gengis Khan) - su cui scrisse un interessante approfondimento Micromega già un paio di anni fa - nel quello che si conosce è il Programma, scaricabile dal sito M5S, un elenco di cose da fare o da abolire, alcune condivisibili, altre meno.
Ma non è l'elenco dei "mi piace" che preoccupa. E' il metodo di un partito-non partito, di uno statuto-non statuto, di un leader-non leader, di un movimento che, a conti fatti, non si può muovere se il padre-padrone non dà l'ok (di persona o tramite il Richelieu di turno). Ed è il metodo che insiste sul ritenere defintivamente superata la differenza fra destra e sinistra, dimenticandosi che sono stati i partiti - forse - ad aver annacquato per strada le differenze, non che la tradizione culturale di sinistra sia davvero equiparabile a quella di destra. Qualunquismo, quindi, alla fine.
Poi, soprattutto, questa strana, sospetta ambiguità: “l’ottimismo della catastrofe” che sembra fondarsi prima di tutto proprio sulla "catastrofe". Senza questa non c'è quello. Non so se Grillo la voglia, ma dice Di Pietro "Grillo intende buttare giù il Palazzo", non lavorare per trasformare.
La difficilissima strada sterrata che stiamo percorrendo, determinata da altri nel corso di decenni, si inerpica in una sfiancante salita, fiancheggiata da profondi abissi e lastricata di ghiaccio su cui si può scivolare, finendo nel vuoto.
E’ l’episodio di cui Beppe Grillo è stato protagonista nella realtà.
Episodio noto, che lui non ha mai negato (non si vede come potrebbe, c'è una sentenza della Cassazione) e di cui ho parlato: Grillo alla guida ha provocato per negligenza l’incidente in cui hanno perso la vita tre persone. Per la sua responsabilità è stato condannato in via definitiva per omicidio colposo plurimo. Forse le sue parole “ottimismo della catastrofe” derivano dalla propria reazione a questa sua personale tragedia.
Può darsi che lui si sia ripreso dopo l'incidente, glielo auguro, e sembra che sia così a giudicare dalla sua affermazione successiva: "si va giù e si ricomincia".
Sarà, ma gli altri intanto ci hanno lasciato le penne. Adesso forse pensa che la cosa funzioni, e che possa funzionare in ogni circostanza della vita. Si va giù e si ricomincia. Certo non la famiglia che ha distrutto. Quella non ricomincia.
La domanda che mi pongo è: le sue affermazioni politiche sono la trasposizione pubblica dei suoi drammatici trascorsi privati?
In altri termini: vuole indicare al paese una possibile risalita dopo essere caduti nell'abisso? Se fosse così avrebbe detto che ci vuole dell'ottimismo "nella" catastrofe, non "della" catastrofe. Che cosa significa avere l'ottimismo "della" catastrofe?
Insomma è un taumaturgo, oppure un catastrofista del tanto peggio-tanto meglio che vuole determinare il collasso ripetendo la storia personale, con tutti noi come impotenti comprimari, perché concepisce la possibilità di un nuovo inizio solo dopo una catastrofica distruzione dell'esistente?
Permettete che la cosa mi allarmi un po’? Questa è l'inquietante “luna” che vorrei indicare, c’è qualcun altro che vuole continuare a guardare il dito?
Insomma l'ottimismo "della" catastrofe proprio non mi piace; preferirei l'ottimismo di una consapevole, responsabile, impegnata e difficile, molto difficile, ricostruzione politica, sociale, culturale ed economica. Che sa fare senza distruggere, che sa proporre, senza annullare, che sa modificare senza abbattere. Che sa agire, con calma, nella eventuale, possibile, catastrofe.
La trasformazione dell'esistente è resa complicata dall'insostenibile leggerezza di una sinistra evanescente ed è resa impossibile dal devastante populismo della destra. Quello stesso che, guardacaso, ha regalato ai grillini il governo di Parma.
Questo paese, da sempre, si rifugia sotto l'ala del Risolutore di turno. O accanto al suo predellino o sotto il suo balcone, come ha suggerito Beppe Severgnini sul Financial Times.
Sarà forse la tradizione cattolica per cui bisogna sempre affidarsi ad un santo padre a garanzia di tutto, ma come si sviluppano poi certe storie, ormai lo sappiamo: ripeterle, in una situazione che sempre più ricorda i primi anni venti e la repubblica di Weimer, sarebbe davvero diabolico.
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