Egitto, ingabbia i Diritti
Il presidente egiziano Al Sisi ha affermato che in un paese in guerra contro il terrorismo, come l’Egitto, non si possono applicare i Diritti umani come vengono intesi dall’Occidente, un concetto preso da esempio e praticato , con sempre meno prudenza, anche dal presidente turco, che alle parole fa seguire i fatti.
Fatti che hanno causato dal 2015 centinaia di scomparsi e che Amnesty International denuncia in un recente rapporto, citando anche il caso di Giulio Regeni, dal titolo esplicativo: “Egitto: ufficialmente tu non esisti”.
Ad Amnesty International fa eco la Commissione Egiziana dei Diritti e delle Libertà che ha contato 544 casi di sparizioni forzate avvenute tra i primi di agosto 2015 e il 31 marzo 2016, arrivando sino a definire criminali le attività dei servizi di sicurezza egiziani.
Anche se la maggior parte degli scomparsi sono sostenitori del deposto presidente Mohammed Morsi, la stessa sorte è stata riservata anche ad attivisti laici e magari anche ai loro familiari, come Mina Thabet, attivista dei diritti umani e direttore del Programma per i Diritti delle Minoranze della Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà (ECRF), una Ong impegnata nella consulenza legale della famiglia Regeni.
Tra i detenuti anche il presidente della Commissione egiziana per i diritti umani Ahmad Abdallah e consulente legale della famiglia di Giulio Regeni, in custodia cautelare dal 25 aprile scorso, picchiato in cella il 18 agosto, è stato scarcerato, ma sarà tenuto sotto controllo dalle autorità e non potrà lasciare l’Egitto.
Anche lo scrittore trentenne Ahmed Naji, autore di Istikhdam al-Hayah (Usare la vita), non è gradito all’autorità giudiziaria egiziana che lo hanno condannato a due anni di carcere. La corte li ha motivati per commesso il reato di “pubblica indecenza”, usando“termini ripugnanti” e per essersi “divertito a ripeterli continuamente in tutti capitoli del romanzo”, pubblicato sulla rivista letteraria governativa Akhbar al-Adab l’anno scorso.
Ma sugli organi d’informazione ha grande risalto l’attività repressiva messa in atto da Erdogan in Turchia e la scelta di mettere in libertà decine di migliaia di detenuti per far posto nelle carceri ai suoi oppositori, riuscendo a far passare inosservata la reiterata violazione dei Diritti umani in Egitto.
Inizialmente era la Turchia a incarcerare e magari far sparire con moderazione gli esponenti in disaccordo con il Presidente, ora è Al Sisi a muoversi con cautela, cercando di far passare inosservata la repressione verso le opposizioni.
I Diritti in Egitto non appaiono tra le urgenze dell’Europa da quando è la Turchia a preoccupare maggiormente la Ue per tutte le implicazioni geopolitiche future con il riavvicinamento di Erdogan a Putin.
D'altronde il modello presidenzialista di Erdogan è quello russo, non di certo quello francese o statunitense, che permette di agire ancor prima di aver pensato.
Sia Erdogan che Al Sisi non amano i contraddittori e tanto meno l’umorismo, ne è la dimostrazione il pupazzo messo alla sbarra per aver offeso la dignità dei politici egiziani targandoli come degli «ottusi».
Il pupazzo, stile Muppet, protagonista sul canale privato Cbs nella trasmissione «Live from the Duplex», in onda da oltre 5 anni, è conosciuto come Abla Fahita (zia Fahita).
Il regime egiziano fa finta di nulla, finché la disinibita zia Fahita parla di sesso o alcol, ma quando non risparmia critiche ai politici si dimostra particolarmente permaloso.
L'informazione non appare molto attenta neanche nei confronti della repressione in Etiopia verso gli Oromo, impegnati a protestare contro il piano del governo di espropriare le loro terre. Una repressione che ha portato all’uccisione di centinaia di Oromoi durante le manifestazioni o in prigione, per poi perire in un sospetto incendio nel carcere di Addis Abeba.
Altrettanto repressivo è il comportamento del presidente eritreo Isaias Afewerki, che dal 1991, anno in cui il paese del Corno d’Africa ha conquistato l’indipendenza, tiene il paese isolato, come una personale proprietà, tenendo gli eritrei in schiavitù, obbligandoli a un servizio militare interminabile.
Nel Rapporto della Commissione d'inchiesta per i diritti umani in Eritrea si evidenzia come i funzionari governativi eritrei praticano un diritto di proprietà nei confronti dei cittadini, esercitando una riduzione in schiavitù.
Due esempi di paesi repressivi che, oltre ad essere eternamente sull'orlo della guerra, passano inosservati su gran parte degli organi d’informazione.
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