Carcere Verità
Io sono una persona cattiva.
Almeno da quando ho deciso di assumere il nome che sta scritto a sinistra della pagina:
Carcere Verità.
Ma non lo sono sempre stata. Nasco come una persona normale: estratta a sorte dalla schiera di persone “
perbene”; brava ragazza; cittadina italiana tipo; una laurea con 110 e lode; un master e un posto fisso; tasse pagate; due multe in sedici anni di patente.
Non posso invece dire lo stesso per mio
marito. E’ evidente che ci siamo scelti secondo la legge degli opposti che si attraggono: marocchino; immigrato irregolare; scolarizzato quanto basta; pessimo carattere; lavori precari o inesistenti; master in vita di strada. “Malik al-mulk”: il re del regno e il suo regno erano due dei posti più “shic” di
Milano: via Padova e piazzale Corvetto (chi li conosce, mi ha già capita).
Finale della bella favola d’amore? Un giorno davanti a un giudice: condanna a nove anni, svariati mesi e qualche giorno… e vissero felici e contenti… lei a casa e lui in galera.
Più che il finale, questo è l’inizio della storia.
Che io fossi la buona e lui il cattivo, è stato chiaro fino al sesto anno di carcere, quando per voglia o per forza, sono stata costretta a guardare in faccia una realtà, che di solito le persone “perbene” come me, non conoscono:
la realtà di violenza, sottomissione e omertà, che passa davanti dagli occhi di chi il carcere lo guarda da dentro a fuori.
Da quel momento ho capito che non potevo restare a guardare, incastonata nel mio ruolo di persona buona: era necessario diventare cattiva.
Era necessario abbandonare quelle miniere di silenzio accumulate e cominciare a parlare. Così ho deciso di crearmi un piccolo orto di parole.
Questo blog è il mio orto.
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